Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5777 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5777 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12340/2021 R.G. proposto da
PRIVITERA NOME , elettivamente domiciliati in SIRACUSA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
Oggetto: Contratti bancari -Mutuo -Interessi -Superamento tasso soglia — Istanza ex art. 210 c.p.c. -Condizioni Art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993
R.G.N. 12340/2021
Ud. 26/02/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1886/2020 depositata il 05/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1886/2020, pubblicata in data 5 novembre 2020 , la Corte d’appello di Catania, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso l’ ordinanza del Tribunale di Catania in data 11 febbraio 2017, la quale, a propria volta, aveva respinto le domande proposte dai medesimi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questi ultimi avevano adito ex art. 702bis c.p.c. il Tribunale di Catania riferendo in fatto di avere concluso con RAGIONE_SOCIALE un contratto di mutuo fondiario, due contratti di mutuo chirografario ed un contratto di conto corrente.
Avevano dedotto che: nei mutui, la sommatoria dei tassi di interesse (corrispettivo e di mora) e degli altri costi comportava il superamento del tasso soglia di legge; il piano di ammortamento alla francese doveva ritenersi illegittimo; al rapporto di conto corrente risultava applicato l’anatocismo.
Avevano quindi chiesto la condanna della Banca alla restituzione di tutte le somme a loro dire indebitamente incassate.
La Corte d’appello di Catania ha disatteso il gravame, osservando, in sintesi che:
-i motivi di ricorso finalizzati a dedurre il superamento del tasso soglia di legge nella determinazione dei soli interessi corrispettivi risultavano del tutto generiche, non avendo gli appellanti assolto l’onere di provare tale superamento deducendo il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso in concreto applicato nonché ‘l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento’ , laddove nella specie gli odierni ricorrenti si erano limitati a produrre una consulenza di parte che argomentava il superamento del tasso soglia di legge unicamente sommando matematicamente interessi corrispettivi, interessi di mora, indennità di estinzione anticipata e commissione per rinegoziazione, con un criterio che il giudice di prime cure aveva ritenuto illegittimo con motivazione non oggetto di impugnazione;
-la doglianza relativa al mancato espletamento di consulenza tecnica d’ufficio non meritava accoglimento , in quanto con la stessa erano state introdotte questioni mai sollevate in precedenza , come l’ indeterminatezza delle pattuizioni relative alla determinazione degli interessi e l’ eventuale violazione di clausole contrattuali;
-parimenti era da disattendere la doglianza riferita al mancato accoglimento dell’istanza di esibizione degli estratti conto, in quanto riferita alla capitalizzazione trimestrale degli interessi che tuttavia era stata dedotta dagli appellanti in modo del tutto generico e senza considerare che per il periodo successivo al luglio 2000 veniva ad operare il nuovo disposto dell’art. 120 TUB.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.; 210 c.p.c.; 119, D. Lgs. n. 385/1993.
Si censura la decisione impugnata per non aver accolto il motivo di gravame con il quale veniva riproposta l’istanza di emissione di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. e si richiama sul punto il disposto di cui all’art. 119 TUB.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.; 61, 62, 194 e 210 c.p.c.; 119, D. Lgs. n. 385/1993.
Si censura la decisione impugnata perché la stessa avrebbe ritenuto non provate le domande di declaratoria delle nullità delle clausole pattizie contenenti la determinazione di interessi extralegali ed anatocistici e di restituzione delle somme indebitamente pagate, senza, tuttavia, né dare corso alla consulenza tecnica d’ufficio né accogliere l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c.
I ricorrenti argomentano di avere regolarmente prodotto i contratti di mutuo, di finanziamento e di conto corrente e di avere specificamente allegato gli elementi da quali era possibile desumere i tassi di interesse praticati.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente: ‘violazione dell’art. 1, comma quarto, legge n. 108 del 1996, dell’art. 1, comma 1, d.l. 29.12.2000, n. 394, convertito con modificazioni dalla legge 28.2.2001, n. 24, nonché vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.’
Si deduce che erroneamente -e con motivazione apparente – la Corte di Appello di Catania avrebbe ritenuto non sussistente il superamento del tasso soglia da parte degli interessi di mora per non esservi stato alcun ritardo nel pagamento dei ratei di mutuo, omettendo di esaminare le deduzioni dei ricorrenti.
Si argomenta, per contro, che le clausole contrattuali avrebbero consentito alla controricorrente di cumulare gli interessi moratori con quelli convenzionali.
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso, inammissibili.
2.1. Il primo motivo di ricorso, infatti, non si confronta con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha osservato che, pur avendo gli odierni ricorrenti dedotto, in relazione al rapporto di conto corrente, l’applicazione dell’anatocismo , gli stessi, tuttavia, non solo non avevano neppure precisato i contenuti della clausola dalla quale sarebbe derivata l’applicazione del meccanismo di capitalizzazione ma anche avevano omesso di dedurre – per il periodo successivo al luglio 2000, nel quale la legge consentiva l’anatocismo purché alle condizioni di cui al novellato art. 120 TUB -l’assenza delle condizioni c ui la legge subordinava l’operatività della capitalizzazione.
Tale ratio non solo vale ed evidenziare l’infondatezza della censura di motivazione apparente, apoditticamente formulata nel motivo di ricorso, ma vale a superare di slancio anche il tema del mancato accoglimento dell’ordine di esibizione, dal momento che, a fronte di
una serie di carenti allegazioni, lo stesso ricorso allo strumento di cui all’art. 210 c.p.c. sarebbe stato del tutto sterile.
Conclusione, questa, che -in relazione all’invocata applicazione dell’art. 119 TUB – non esime questa Corte dal richiamare comunque il principio per cui il diritto del cliente di ottenere, ex art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385/1993, la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio può essere esercitato, nei confronti della banca inadempiente, attraverso un’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. nel corso di un giudizio, a condizione che la documentazione invocata sia stata precedentemente fatta oggetto di richiesta – non necessariamente stragiudiziale – e siano decorsi novanta giorni senza che l’istituto di credito abbia proceduto alla relativa consegna (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24641 del 13/09/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 23861 del 01/08/2022; Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 9082 del 31/03/2023; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9807 del 2024).
Condizioni, queste, la cui sussistenza nella specie non è stata neppure dedotta nel motivo di ricorso, dal quale sembra emergere, per contro, proprio l’esatto opposto, e cioè che l’istanza ex art. 210 c.p.c. era stata formulata in assenza del preventivo ricorso alla tutela di cui all’art. 119 TUB, tutela da parte ricorrente confusa e sovrapposta con lo strumento processuale di cui all’art. 210 c.p.c.
2.2. A non dissimili conclusioni si deve prevenire con riferimento al secondo motivo di ricorso, il quale, ancora una volta, non si confronta efficacemente con la ratio della decisione impugnata.
Quest’ultima, infatti, non solo conformandosi all’orientamento fissato da questa Corte con la decisione Cass. Sez. U – Sentenza n. 19597 del 18/09/2020 (seguita, tra le altre, da Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 26525 del 11/10/2024) – ha evidenziato le carenze
fondamentali dell’originaria domanda dei ricorrenti – la quale, tra l’altro, veniva a fondarsi sulla non corretta tesi secondo la quale la verifica del rispetto del tasso-soglia di legge deve avvenire sommando gli interessi convenzionali con gli interessi moratori (tesi, questa, la cui correttezza è stata reiteratamente esclusa da questa Corte: cfr. Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 7352 del 07/03/2022; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 23866 del 01/08/2022) -ma anche ha sottolineato che dette carenze erano già state rilevate dal giudice di prime cure, senza che tale statuizione venisse censurata in appello.
La Corte d’appello, quindi, ha in primo luogo evidenziato un profilo di carenza strutturale dello stesso gravame, in quanto privo di adeguata censura della ratio della decisione di prime cure.
Tale carenza si è riverberata anche nella presente sede, in quanto era, semmai, onere dei ricorrenti dedurre -peraltro nel pieno rispetto del canone di completezza e specificità di cui all’art. 366 c.p.c. di avere invece adeguatamente censurato col proprio atto di appello la ratio del giudice di prime cure, anziché riproporre col ricorso censure -peraltro non fondate -in ordine alla (presunta) non corretta applicazione della regola di distribuzione degli oneri probatori.
Censure, peraltro, promiscue, in quanto riferite anche al mancato espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, in ordine alla quale, tuttavia, non possono che ribadirsi i principi reiteratamente affermati da questa Corte, e cioè che:
-il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio è rimesso esclusivamente al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. Sez. L Sentenza n. 25281 del 25/08/2023; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7472 del 23/03/2017);
-conseguentemente, la consulenza tecnica d’ufficio non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 10373 del 12/04/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017; Cass. Sez. 6 -L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011), risultando, pertanto, incensurabile la decisione -anche implicita – del giudice di merito di non procedere a consulenza tecnica d’ufficio, una volta constatata l’inadeguatezza delle allegazioni e delle prove offerte dalla parte.
A tali principi la decisione della Corte territoriale si è pienamente conformata, escludendo la possibilità di dar corso a consulenza tecnica in assenza di adeguate allegazioni, con affermazione che i ricorrenti censurano in modo inammissibile, limitandosi ad un anodino richiamo ai propri atti processuali, con totale omissione sia della riproduzione sia della localizzazione, in radicale trasgressione dell’art. 366 c.p.c.
2.3. Plurimi, poi, sono i profili di inammissibilità del terzo motivo.
In primo luogo, il motivo medesimo si caratterizza per una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, la cui inammissibilità è stata da questa Corte reiteratamente dichiarata qualora tale mescolanza precluda la possibilità di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
In secondo luogo, quanto alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., si deve rilevare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2017, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
In terzo luogo , quanto alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., il motivo di ricorso -nei suoi riferimenti, peraltro generici, al corredo documentale che avrebbe assistito l’originaria domanda – si traduce in un inammissibile sindacato delle valutazioni delle prove operate dalla Corte d’Appello, ponendosi in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004), dovendosi qui
ribadire il principio per cui il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.000,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima