Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7437 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7437 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14567/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D ‘ APPELLO VENEZIA n. 1157/2020 depositata il 28/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’ambito di un contenzioso originato da un contratto quadro di intermediazione finanziaria stipulato da COGNOME NOME con la Unicredit Spa in data 30 giugno 1992, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 1 luglio 2014, confermando le sentenze impugnate (non definitiva e definitiva) del Tribunale di Verona, rigettò le domande di risoluzione del contratto quadro per inadempimento e di condanna della banca al risarcimento del danno, reputandole del tutto generiche, senza precisare quali fossero i titoli acquistati, quali le ragioni della inadeguatezza delle informazioni fornite all’investitore e quale il danno subìto.
Le predette sentenze furono impugnate e, in accoglimento del settimo motivo di ricorso del COGNOME, furono cassate da questa Corte di legittimità con ordinanza n. 30879 del 2018.
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte veneziana, con sentenza del 20 aprile 2020, ha confermato il rigetto del gravame di COGNOME, ritenendo le sue domande non provate e, quindi, infondate.
Avverso questa sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a un motivo, resistito da Unicredit. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c. e nullità della sentenza impugnata per grave illogicità e contraddittorietà, ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in considerazione del mancato rispetto delle seguenti statuizioni che questa Corte avrebbe espresso nell’ordinanza n. 30879 del 2018: a) le operazioni contestate dovevano ritenersi individuate nei documenti allegati alla citazione in opposizione a decreto ingiuntivo; b) l’investitore aveva contestato l’inadempimento agli obblighi informativi (attivi e passivi) a carico della banca; c) tutte le
operazioni dovevano ritenersi inadeguate per non avere la banca provato di avere acquisito e fornito al cliente le informazioni dovute; inoltre, il ricorrente afferma di avere precisato di avere depositato in banca tutto il proprio patrimonio che all’epoca ammontava a circa un miliardo di lire, andato disperso, al fine di effettuare gli investimenti, così assumendo di avere dimostrato il danno risultante dal saldo passivo del conto che derivava anche dagli investimenti effettuati utilizzando le aperture di credito concesse dalla banca.
Il motivo è infondato.
Con l’ordinanza n. 30879 del 2018 questa Corte, accogliendo il ricorso di COGNOME, si è limitata a censurare la sentenza d’appello del 2014 per avere dichiarato la sostanziale inammissibilità della domanda attorea per indeterminatezza, mentre la domanda era sufficientemente determinata quanto al petitum (la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno attestato dal saldo passivo del conto riferibile all’esito negativo degli investimenti) e alla causa petendi (era dedotto l’inadempimento della banca agli obblighi informativi nei confronti del cliente circa le caratteristiche dei titoli acquistati, individuati nei documenti contabili allegati all’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo a favore della banca).
Al giudice di rinvio era rimesso il compito di esaminare nel merito le domande di risoluzione e risarcimento tramite analisi della documentazione richiamata dal ricorrente a sostegno dei propri argomenti difensivi, ma ‘la cui verificazione in fatto – come puntualizzato dalla Corte di legittimità – è, ovviamente, questione di fondatezza della domanda, non già di determinatezza della stessa’.
L’ordinanza cassatoria non ha quindi espresso, neppure indirettamente, alcuna valutazione circa l’assolvimento dell’onere probatorio da parte della banca e/o circa l’adeguatezza o
inadeguatezza delle informazioni rese dalla stessa, rimettendo al riguardo ogni valutazione al giudice di rinvio.
Di conseguenza, la Corte veneziana ha accertato in fatto che l’attore non aveva indicato quali fossero le informazioni omesse dalla banca in relazione ai tanti titoli acquistati (nel lungo periodo dal 1997 al 2002) e quali tra questi fossero rischiosi e per quali ragioni, avendo lamentato l’inadeguatezza delle sole azioni Tim senza allegarne la rischiosità, e quindi non aveva provato il carattere pregiudizievole degli investimenti, non potendosi identificare il danno con il saldo passivo del conto corrente ove erano contabilizzate anche le aperture di credito, gli interessi passivi e le uscite per spese personali. La Corte ha aggiunto che tra i titoli nel portafoglio della banca (tra i quali le azioni Tim) alcuni avevano realizzato incrementi di valore, come sarebbe dimostrato dal fatto che, a fronte di una esposizione debitoria consistente del cliente (€ 1241371,05), la banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per un importo sensibilmente inferiore (€ 300000,00), essendo in possesso di titoli che avevano incrementato il loro valore e che quasi coprivano quella esposizione.
La Corte di merito ha quindi accertato in concreto l’infondatezza della domanda per non avere l’attore assolto all’onere allegativo e probatorio su di esso incombente, all’esito di un accertamento di fatto incensurabile, in quanto plausibilmente argomentato e in linea con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità.
E’ infatti acquisito il principio secondo cui nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall’investitore il riparto dell’onere della prova si atteggia nel senso che l’investitore ha l’onere di allegare specificamente l’inadempimento delle obbligazioni da parte dell’intermediario mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e
danno, che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole ; l’intermediario, a sua volta, ha l’onere di provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la diligenza richiesta (Cass. n. 14335/2019, n. 10111/2018, n. 4727/2018 ).
In conclusione, il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in € 4200,00, di cui € 200,00 per esborsi , oltre agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 30/01/2024.