Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33929 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33929 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13803/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’Avv. COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) e dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), in virtù di procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC dei difensori e
-ricorrenti –
Oggetto: contratti
bancari
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE e dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC dei difensori e
-Controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 556/2023, pubblicata il 5 aprile 2023, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2024 dal Consigliere Relatore NOME COGNOME .
RILEVATO CHE
La de cuius degli odierni ricorrenti, COGNOME NOMECOGNOME ebbe a convenire in giudizio BANCA RAGIONE_SOCIALE DI BARI davanti al Tribunale di Bari, deducendo di avere sottoscritto in data 31 dicembre 1999 presso il proprio domicilio, tramite funzionario della banca convenuta ivi recatosi, un contratto di negoziazione di strumenti finanziari in obbligazioni argentine per € 175.000,00 , unitamente a un contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione, senza che le fosse stata fornita adeguata informazione sul profilo di rischio dei titoli negoziati; l’attrice chiedeva, pertanto, la risoluzione del contratto di negoziazione titoli e la condanna della banca alla restituzione della somma di € 175.000,00.
La convenuta, costituendosi in giudizio, aveva richiesto il rigetto della domanda, allegando che l’attrice dove sse inquadrarsi in un profilo di investitore qualificato, come dimostrato dall’assortimento di titoli da essa detenuti in deposito a custodia, nonché allegando che i titoli erano stati negoziati l’anno precedente e versati su un diverso dossier titoli;
fermo il rigetto della domanda, la convenuta aveva richiesto in via gradata, la restituzione delle cedole incassate dall’attrice.
Il Tribunale di Bari ha rigettato la domanda per carenza di prova, ritenendo che non fosse stato prodotto il contratto di negoziazione dei bond argentini, ma il solo contratto quadro.
La Corte di Appello di Bari, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello proposto dagli odierni ricorrenti, eredi dell’attrice . Ha ritenuto il giudice di appello che l’acquisto dei titoli argentini è avvenuto in epoca precedente al contratto di negoziazione del 31 dicembre 1999; ha, poi, ritenuto che la nullità del contratto del 31 dicembre 1999 non avrebbe potuto spiegare effetti sulle negoziazioni di titoli avvenute in precedenza. Infine , la sentenza impugnata ha ritenuto che l’originaria attrice fosse operatore esperto, essendo in possesso di un dossier titoli composto da azioni e obbligazioni.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi dell’attrice , affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la banca.
E’ stata emessa proposta di definizione accelerata, opposta dai ricorrenti. I ricorrenti hanno depositato memoria (dove, tra l’altro, si chiede fissarsi discussione in pubblica udienza). Il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo del ricorso si deducono una pluralità di censure e, in particolare , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e malgoverno degli artt. 1362 e ss. cod. civ. nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza in violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per la discussione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che dalla nullità del contratto sottoscritto in data 31 dicembre 1999 non
potesse discendere la nullità di precedenti atti di negoziazione di titoli. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello avrebbe mal interpretato la domanda dell’originaria attrice, la quale aveva ad oggetto la responsabilità della banca per omissione delle informazion imposte agli operatori finanziari in particolare dal Regolamento Consob 11522/1998, con conseguente risoluzione sia del rapporto di negoziazione di ordini su strumenti finanziari, sia del deposito titoli a custodia oltre che del contratto sottoscritto il 31 dicembre 1999.
C on il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, pri mo comma, n. 3, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e malgoverno degli artt. 2697 cod. civ., 21 e 23 d. lgs. n. 58/1998 (TUF) e dell’ art. 28 Reg. Consob n. 11522/1998 nonché ulteriormente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto gravare sul correntista l’onere della prova della nullità dei contratti di intermediazione finanziaria; i ricorrenti deducono che l’onere della prova e, in particolare, l’onere di assolvimento nei confronti del cliente degli obblighi di adeguata informazione preventiva (nella specie, in occasione dell’investimento operato in data 31 dicembre 1999 ) deve gravare sull’intermediario .
La proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato ha concluso per l’inammissibilità di entrambi i motivi. Quanto al primo motivo, è stato evidenziato un generico richiamo alle norme di interpretazione contrattuale, l’inesistenza di una omessa pronuncia e l’inammissibilità del vizio di omesso esame di fatto decisivo per doppia conforme. Quanto al secondo motivo, è stato osservato che la decisione impugnata è incentrata sulla mancata prova del difetto di forma scritta e non sul diligente adempimento degli obblighi informativi, per cui il ricorso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Il Collegio ritiene che i due motivi sono infondati. Quanto al primo motivo, la censura di omesso esame di fatto decisivo si rivela inammissibile, non essendo stato indicato che le ragioni del primo e del secondo giudice fossero diverse, né risulta indicato un fatto storico, né tanto meno la sua decisività. Lo stesso ricorrente in memoria -la quale, essendo meramente illustrativa, non può in ogni caso sanare vizi originari del ricorso – evidenzia genericamente che le questioni affrontate dal giudice di appello erano fondate su « nuovi e differenti argomenti di valutazione dei fatti processuali» , senza ulteriore specificazione e senza indicazione dei fatti storici addotti in ricorso.
Quanto, poi, al dedotto error in procedendo (omessa pronuncia sulla domanda di risoluzione), il suddetto profilo dedotto anch’esso con il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità a termini dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il motivo di ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame è inammissibile ove detti motivi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove, al fine di poter valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass., n. 28072/2021; Cass., n. 17049/2015).
6. Inammissibile è, in conformità alla PDA, la censura di violazione di legge per violazione della disciplina dell’interpretazione dei contratti. L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito per cui il ricorrente per cassazione, ove voglia far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 e ss. cod. civ., al fine di evitare che il ricorso venga dichiarato inammissibile per rivalutazione dell’accertamento in fatto, deve -da
un lato -indicare le norme asseritamente violate e -dall’altro indicare in quali termini il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati (Cass., n. 9461/2021). La censura contenuta nel primo motivo si dimostra, inoltre, inammissibile perché si risolve -come indicato nella PDA -nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e di quella accolta nella sentenza impugnata.
7. Il secondo motivo è duplicemente inammissibile, sia in quanto -come osservato nella PDA -il motivo « non coglie e non censura la ‘ ratio decidendi ‘, che è incentrata sulla mancata prova del difetto di forma scritta e non attiene al diligente adempimento degli obblighi informativi », sia in quanto il motivo non censura l’autonoma ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto che la de cuius dei ricorrenti avesse la competenza per orientarsi nel mercato dei prodotti di rischio, stanti i titoli da essa già detenuti in dossier (« la COGNOME, pur definitasi persona inesperta del settore, era titolare di un pacchetto titoli di tutto rispetto, composto da azioni e/o obbligazioni RAGIONE_SOCIALE MORGAN GIAR., BERS. ITL. PARMALAT, MEXICO 10%, ARGENTINA 8.5 %, W.B. 11 %., BEI 11%, IFC. La varietà ed onerosità degli investimenti non sono caratteristici di un operatore del settore sprovveduto »).
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato in conformità alla proposta di definizione accelerata, con condanna alle spese liquidate come da dispositivo e raddoppio del contributo unificato. La condanna alle somme di cui al terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ. consegue alla conferma della proposta di definizione accelerata, quantificata in via equitativa in relazione alla liquidazione delle spese legali (Cass., Sez. U., n. 32001/2022; Cass., n. 34693/2022), come da dispositivo, così come viene equitativamente determinata la somma di danaro di cui al quarto comma del medesimo articolo, anch’essa come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 7.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge; condanna, altresì, i ricorrenti al pagamento dell’importo di € 7.600,00 a termini dell’art. 96, terzo comma cod. proc. civ., nonché all’importo ulteriore di € 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ri corrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 6 dicembre 2024