Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5072 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5072 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10448/2022 R.G. proposto da:
INFORMARE AZIENDA SPECIALE CAMERA DI COMMERCIO FROSINONE E LATINA (già RAGIONE_SOCIALE – Azienda Speciale RAGIONE_SOCIALE Innovazione Camera di Commercio di Frosinone), nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME già elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE COGNOME ed attualmente domiciliata per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi i predetti legali;
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME e COGNOME NOME, quali eredi di NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME già elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato COGNOME ed
attualmente domiciliati per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di tutti i predetti legali;
-controricorrentiavverso la SENTENZA del TRIBUNALE di FROSINONE n. 134/2022 depositata l ‘ 08/02/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal
Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Su ricorso dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE Camera di Commercio di Frosinone (ASPIIN), che allegava relazione ispettiva 13 maggio 2009 del M.E.F. (dalla quale sarebbe emersa la ‘indebita corresponsione dell’indennità di carica ai componenti del C.d.A. in difformità alle disposizioni statutarie vigenti’), il Giudice di pace di Frosinone con decreto n. 374/2017 ingiungeva a NOME COGNOME di restituire all’Azienda la somma dallo stesso percepita a titolo di indennità quale componente del Consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE negli anni 2003 e 2004.
Il COGNOME proponeva opposizione avverso il suddetto decreto, eccependo in via preliminare la prescrizione del credito, ex adverso azionato, risalente agli anni 2003/2004; e, nel merito, sosteneva l’infondatezza della domanda avversaria, anche richiamando la sentenza n. 456/2013 del giudice contabile nelle more passata in giudicato (nella quale veniva espressamente affermato che nel 2001 lo Statuto RAGIONE_SOCIALE, all’epoca vigente, non prevedeva in alcun modo l’espressa gratuità delle funzioni di componenti del C.d.A. e del Segretario dell’Azienda speciale).
Nel contraddittorio delle parti, il Giudice di pace di Frosinone con sentenza n. 791/2019, in parziale accoglimento dell’opposizione, dichiarava prescritto il diritto della ASPIIN di ripetere la somma di € 1.859,24 percepita dal COGNOME NOME nell’anno 2003, ma, al contempo, accertava e dichiarava il diritto della stessa ASPIIN di ottenere la
restituzione della somma di € 1.859,24 dallo stesso COGNOME percepita nel 2004 per la medesima carica, con conseguente condanna al pagamento.
Avverso la sentenza di primo grado il COGNOME proponeva appello, chiedendo che la pronuncia fosse riformata con integrale accoglimento delle conclusioni formulate in primo grado, ossia con il totale rigetto della domanda di pagamento in restituzione avanzata dell’azienda. Secondo l’appellante, il giudice di primo grado: a) aveva erroneamente qualificato le aziende speciali delle CCIAA (e nello specifico la ASPIIN) quali pubbliche amministrazioni, anziché soggetti di diritto privato, con conseguente inapplicabilità della disciplina del pubblico impiego; b) aveva erroneamente ritenuto applicabile la prescrizione decennale, anziché quinquennale ex artt. 2948 e 2949 c.c., al credito dedotto in giudizio, relativo all’indennità di carica dei consiglieri di amministrazione dell’azienda speciale, con conseguente prescrizione integrale del diritto azionato, risalendo il primo atto interruttivo alla raccomandata a.r. del 25.8.2014 (ricevuta in data 17.9.2014); c) aveva omesso di pronunciare sull’argomento principale dell’opposizione, con cui era stata evidenziata l’inapplicabilità al caso specifico dell’art. 4 dello statuto dell’ente, nel testo modificato con deliberazione della Giunta Camerale n. 273 del 9.11.2004, a valere dal 2005, prevedente la gratuità della carica di consigliere di amministrazione, poiché l’indennità era stata erogata in base ad una precedente delibera del Consiglio Camerale della CCIAA di Frosinone, la n. 9 del 12.11.2001, che era stata adottata in un momento storico in cui lo statuto dell’azienda non prevedeva la gratuità della carica, sicché la percezione dell’indennità, per attività svolta negli anni 2003 e 2004, non poteva ritenersi indebita; d) aveva erroneamente ritenuto irrilevante la sua buona fede, in considerazione della sua posizione di terzietà rispetto alla delibera n. 9/2001, asseritamente contraria allo statuto, che aveva stabilito il compenso.
Nel costituirsi in giudizio la RAGIONE_SOCIALE (che nelle more mutava denominazione in RAGIONE_SOCIALE Azienda Speciale Camera di Commercio Frosinone Latina per l’Internazionalizzazione, la Formazione e l’Economia del Mare, di seguito, per brevità, ‘Informare’), oltre a chiedere il rigetto dell’appello principale, spiegava appello incidentale per la riforma della pronuncia del giudice di primo grado, nella parte in cui era stata accolta l’eccezione di prescrizione per l’annualità 2003, stante la mancata prova (che lo stesso giudice aveva riconosciuto, in via di principio, a carico dell’opponente) della data esatta di decorrenza del termine di prescrizione, coincidente con la data di pagamento delle somme controverse. Concludeva chiedendo che venisse integralmente confermato il decreto ingiuntivo emesso.
A seguito del decesso della parte appellante, il giudizio veniva proseguito dagli eredi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Tribunale di Frosinone, quale giudice di appello, con sentenza n. 134/2022:
in accoglimento dell’appello principale ed in riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo;
rigettava l’appello incidentale;
condannava l’azienda appellata a rifondere a parte appellante le spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso Informare.
Hanno resistito con controricorso gli eredi del COGNOME
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte mentre il Difensore dell’azienda camerale ricorrente ha insistito nell’accoglimento del ricorso, anche allegando sentenze dello stesso Tribunale di Frosinone, che, in cinque precedenti giudizi paralleli, aveva statuito in suo favore.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Nella sentenza impugnata, il Tribunale di Frosinone, quale giudice di appello, rovesciando il dictum della sentenza di primo grado, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha ritenuto quest’ultimo fondato sulla base delle seguenti argomentazioni:
il giudice di pace non aveva motivato sul punto decisivo della controversia, e cioè sul fatto che: a1) parte opponente fin dal primo grado di giudizio aveva sostenuto che, negli anni 2003 e 2004, non era ancora in vigore la previsione della gratuità della carica di consigliere, di cui all’art. 4 dello statuto ASPIIN (introdotta soltanto con una modifica statutaria adottata con delibera della giunta camerale n. 273 del 9 novembre 2004), mentre era in vigore l’art. 14 dello statuto originario dell’ente, che detta gratuità non prevedeva; con la conseguenza che la delibera n. 9/2011 del Consiglio Camerale della CCIAA di Frosinone, nel prevedere l’erogazione di una indennità per i consiglieri, non si era posta in contrasto con lo statuto; a2) a fronte di tale opposizione, l’azienda avrebbe dovuto provare che il suo statuto, già in quegli anni, escludeva la possibilità di attribuire un’indennità di carica ai componenti del consiglio di amministrazione; a3) l’azienda non aveva fornito tale prova, ma si era limitata a richiamare la documentazione allegata al ricorso ingiuntivo;
il giudice di pace, nel rimarcare il contrasto della delibera n. 9/2001 (che stabiliva l’indennità) con l’art. 4 dello statuto (che prevedeva la gratuità), aveva omesso di considerare che detto articolo era stato introdotto successivamente alla menzionata delibera e non era stato provato che già in precedenza fosse in vigore una analoga previsione statutaria;
in relazione alla indennità di carica corrisposta nel 2003, era comunque decorso il termine decennale di prescrizione, in quanto il
primo atto interruttivo era stata la lettera di messa in mora del 25 agosto 2014 (ricevuta dal destinatario il successivo 17 settembre).
2.Informare articola in ricorso quattro motivi. Precisamente:
con il primo motivo, che formula ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., denuncia la violazione degli artt. 115, 1 co, e 116 c.p.c. e dell’art. 2700 cc nella parte in cui il giudice di appello (p. 4 cpv 1, 2 e 3), rovesciando la sentenza di primo grado, non ha posto a fondamento della decisione ‘le prove proposte dalle parti o i fatti non specificamente contestati’. In particolare, l’azienda ricorrente, che sottolinea di essere ente pubblico economico, si duole che il giudice di appello si è limitato ad aderire alla tesi del COGNOME (per il quale la non previsione di gratuità equivaleva a legittimazione al compenso), senza indicare sulla base di quale norma ha ritenuto che fosse previsto un corrispettivo per i consiglieri di amministrazione;
con il secondo motivo, che formula sempre ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., denuncia la violazione degli artt. 115, 1 co, dell’art. 2697, 2 co., c.c. e dell’art. 60, comma 5 del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui il giudice di appello (p. 4 cpv 1 e 2), omettendo di esaminare le prove da essa azienda camerale prodotte, ha ritenuto che <>; osserva che il giudice di appello <>, come era avvenuto nel caso in esame;
con il terzo motivo di ricorso, che formula ancora ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., denuncia la violazione degli artt. 115, 1 co, dell’art. 2697, 2 co., c.c. in relazione alla presunta prova della fondatezza dell’eccezione di prescrizione e al rigetto dell’appello
incidentale, nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto (pagina 5 capoverso 1) che <>. Secondo la ricorrente, non vi è prova della decorrenza del termine prescrizionale decennale decorrente dalla erogazione, in quanto la lettera di messa in mora del 25 agosto 2014 non avrebbe valore confessorio in ordine alla data di erogazione delle somme;
con il quarto motivo di ricorso, che formula ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.c., denuncia: <> nella parte in cui ha omesso di valutare la rilevanza probatoria della relazione MEF.
Il ricorso non è fondato.
3.1. Non fondato è il primo motivo.
Il giudice di appello – avendo ritenuto non applicabile alle annualità 2003 e 2004 l’art. 4 dello Statuto dell’Ente, che, nella forma modificata del novembre 2004, trovava applicazione dal 1° gennaio 2005 – ha ritenuto non provato che negli anni 2003-2004 fosse già prevista la gratuità della carica di consigliere di amministrazione.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’azienda, il giudice di appello ha correttamente applicato il principio dell’onere della prova, in quanto ha posto l’onere di provare il fatto costitutivo del diritto alla ripetizione a carico del creditore istante.
3.2. Non fondato è il secondo motivo.
Come già rilevato, il Tribunale – avendo ritenuto che la novella statutaria del novembre 2014 trovava applicazione a partire dalla annualità del 2005, ha correttamente ritenuto che l’azienda, attrice in senso sostanziale, avrebbe dovuto provare che il suo statuto, anche
negli anni antecedenti a detta novella statutaria, prevedeva la gratuità della carica di consigliere di amministrazione. In difetto di tale prova, ha correttamente ritenuto che la deliberazione del 2001, che prevedeva l’erogazione dei compensi ai consiglieri di amministrazione, non era in contrasto con lo Statuto all’epoca vigente, con la conseguenza che, poiché i compensi oggetto di causa riguardano l’attività svolta dal COGNOME negli anni 2003 e 2004, detti compensi, in quanto legittimamente percepiti, non erano ripetibili.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Secondo l’azienda ricorrente che la lettera di messa in mora del 25 agosto 2014 non avrebbe valore confessorio in ordine alla data di erogazione delle somme, ma la ricorrente inammissibilmente non riporta il contenuto di detta lettera, rendendo così il motivo non autosufficiente.
3.4. Infondato è il quarto motivo.
Contrariamente a quanto deduce la ricorrente, il Tribunale ha considerato la relazione del MEF, ma ha ritenuto che le valutazioni in detta relazione contenute, in ordine alla non debenza della indennità di carica, non fossero applicabili al caso di specie, in quanto ha ritenuto, peraltro in linea con l’esito del giudizio contabile nelle more intervenuto, che la delibera n. 9/2001 non poteva essere in contrasto con l’art. 4 dello statuto, nella forma che sarebbe stata introdotta nel novembre 2004 e che avrebbe trovato applicazione soltanto a decorrere dal 1° gennaio 2005 (e, quindi, successivamente al periodo in cui il COGNOME era stato consigliere di amministrazione dell’azienda).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’azienda ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per
legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna l’azienda ricorrente alla rifusione, in favore di parte resistente, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dell ‘azienda ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025, nella camera di consiglio