Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28583 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28583 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21067/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, già elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata sono ora domiciliati per legge; -ricorrente-
contro
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 991/2022 depositata il 20/06/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2025 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2015 NOME NOME ed NOME convenivano in giudizio NOME COGNOME per sentirlo condannare alla restituzione in loro favore della somma di € 7.250,00, dovuta per avere incassato un assegno, portante una somma a lui non dovuta.
Si costituiva in giudizio il COGNOME il quale in via preliminare chiedeva che: a) la domanda venisse dichiarata improcedibile, per il mancato svolgimento della procedura di negoziazione assistita; b) venisse dichiarato il proprio difetto dì legittimazione; c) venisse dichiarata la litispendenza con altra procedura, pendente illo tempore innanzi al Tribunale di Modugno; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda perché infondata e non provata, con condanna al pagamento delle spese di lite ed al risarcimento danni ex art. 96 c.c.
Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 2957/2018, rigettava la domanda, ritenendo che gli attori non avevano provato il rapporto causale tra le somme di cui all’assegno incassato dall’NOME e l’acquisto di un immobile contrattato con un soggetto terzo. Al rigetto della domanda seguiva la condanna al pagamento delle spese di lite.
Avverso detta sentenza proponevano appello i soccombenti, che articolavano istanza di sospensione ex art. 283 c.p.c.
Si costituiva in giudizio il COGNOME, il quale in via preliminare: eccepiva la irrilevanza, inammissibilità ed irricevibilità dell’atto di appello per violazione del giusto processo, atteso che lo stesso si presentava irrispettoso del principio di sinteticità degli atti; eccepiva la inammissibilità del gravame ex art. 348bis e 348ter c.p.c.; eccepiva la novità della domanda di accertamento negativo del credito contenuta a pag. 48, righi uno e due, in quanto spiegata in violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che la domanda originaria era di restituzione di indebito. Nel merito, si opponeva all’appello e alla richiesta di sospensione.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 991/2022, rigettava l’impugnazione e condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME
sia al pagamento delle spese di lite in favore di COGNOME NOME, con attribuzione in favore del Difensore, dichiaratosi anticipatario; sia, ai sensi dell’art. 96 III comma c.p.c., al pagamento in favore di COGNOME NOME della somma di € 1.888,50.
Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto ricorso COGNOME NOME e NOME.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME, chiedendo la condanna dei ricorrenti al risarcimento dei danni, da liquidarsi in via equitativa, per responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c., nonché la distrazione delle spese in favore del proprio difensore antistatario.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il difensore di parte resistente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie conclusioni (anche richiamando l’ordinanza n. 5208/25 emessa da questa Corte) e, in particolare, nella richiesta distrazione delle spese processuali.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME NOME e NOME articolano in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo i coniugi ricorrenti denunciano: <> per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c., in quanto la sentenza di merito è stata deliberata da un collegio diverso, in più di uno dei suoi tre componenti, da quello innanzi al quale, prima della data del 25.06.2021, sono state precisate le conclusioni in violazione dell’art. 276, primo comma, c.p.c.
Osservano che la corte territoriale – in composizione collegiale nelle persone dei seguenti Magistrati: dott. NOME COGNOME, Presidente, dott. NOME COGNOME, Consigliere, AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, Giudice Ausiliario Relatore – che ha emesso la sentenza impugnata è diversa dal collegio – così composto nelle persone dei seguenti Magistrati: dott. NOME COGNOME, Presidente, dott. NOME COGNOME, Consigliere, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, Giudice Ausiliario Relatore – innanzi al quale, prima della data del 25.06.2021, erano state precisate le conclusioni in violazione dell’art. 276, primo comma, c.p.c.
1.2. Con il secondo motivo i coniugi ricorrenti denunciano <<in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2033 del codice civile (che, in merito all'indebito oggettivo, prevede che l'attore abbia l'onere di dimostrare l'inesistenza di un titolo giustificativo del pagamento mentre il convenuto abbia l'onere di dimostrare che il pagamento avvenuto sia sorretto da una giusta causa), nonché degli artt. 1992 e 1993 c.c., nella parte in cui la corte territoriale ha trascurato di valutare che nel caso di specie il NOME non aveva fornito la prova dell'esistenza di una causa giustificatrice del pagamento effettuato in suo favore dai coniugi COGNOMENOME a mezzo dell'assegno bancario n. 2098377423-12 dell'importo di € 7.250,00, che risulterebbe essere stato tratto sul c/c n.1626 ad essi coniugi intestato e che risulterebbe essere stato girato dallo stesso COGNOME.
I ricorrenti sostengono che avrebbero dimostrato l'insussistenza di un loro debito nei confronti di NOME, mentre quest'ultimo – su cui incombeva l'onere di provare che il pagamento avvenuto fosse sorretto da una giusta causa – non avrebbe fornito la prova della esistenza di una causa giustificatrice del pagamento effettuato nei suoi confronti dai coniugi.
Si dolgono del fatto che la corte territoriale non ha tenuto conto: né del fatto che l'art. 2033 del codice civile presuppone che il debito non deve oggettivamente esistere, con riferimento esclusivo a due soggetti (colui che corrisponde il pagamento indebito e colui che lo riceve); e neppure del fatto che l'assegno bancario n. 2098377423·12 dell'importo di € 7.250,00 – che era stato tratto sul c/c n.1626 intestato ad essi coniugi e che risultava essere stato girato dallo stesso COGNOME – non era stato incassato dal NOME NOME base di una giusta causa (sottostante nel rapporto tra attore-solvente COGNOME NOME NOME NOME convenuto-accipiente COGNOME NOME), con la conseguenza che l'insussistenza del rapporto causale dovrebbe togliere effetto alla pretesa creditoria cartolare.
In definitiva, secondo i ricorrenti, il versamento della somma di € 7.250,00 sarebbe indebito, non avendo il creditore NOME (da ritenersi onerato della relativa prova) dimostrato la riferibilità di tale pagamento ad una sua interna giusta causa e avendo invece i coniugi COGNOME dimostrato l'insussistenza di un loro debito nei confronti di NOME.
1.3. Con il terzo motivo, che articolano subordinatamente al secondo motivo, i coniugi ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che il COGNOME avesse assolto all’onere della prova della esistenza di una causa giustificatrice del pagamento effettuato nei suoi confronti dai coniugi COGNOME–NOME per il solo fatto che era stato <>.
In sintesi, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale, a continuazione di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie: a) ha erroneamente ritenuto che il COGNOME, per il solo
fatto di essere nel legittimo possesso del titolo, avesse assolto all’onere della prova della esistenza di una causa giustificatrice del pagamento effettuato a suo favore; b) ha erroneamente omesso di considerare che, come da essi dedotto in sede di atto di appello: b1) il possessore di un assegno privo di efficacia cartolare può essere anche persona diversa da quella in cui favore l’assegno era stato consegnato dal traente; b2), non operando a favore del COGNOME l’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 1988 c.c. (che agisce soltanto a beneficio di colui il quale abbia ricevuto in proprio favore la promessa di pagamento), il COGNOME aveva l’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico dal quale promanava l’obbligazione del promittente, non essendo riconducibile al solo fatto del possesso del titolo univoco significato ai fini della legittimazione, in quanto non era possibile escludere che il titolo di credito sia stato carpito illegalmente.
Il ricorso dev’essere rigettato.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. (ord. N. 18574/2019) che: <>.
In applicazione del suddetto principio è stata esclusa la nullità della sentenza di secondo grado emessa da un collegio che era subentrato al precedente, in virtù di specifico provvedimento di sostituzione risultante dal verbale di udienza, dopo che le parti avevano
precisato le conclusioni ma prima che la causa venisse trattenuta in decisione.
Orbene, nel caso di specie (analogo a quello sotteso a Cass. n.20523/2025), per quanto evincibile dagli atti, è fuori discussione che l’udienza di p.c., svoltasi in forma cartolare, si sia tenuta e perfezionata in data 25 giugno 2021, e che ad esito della stessa la corte territoriale non ha trattenuto la causa in decisione.
Ciò è avvenuto soltanto successivamente (e precisamente in data 28.06.2021), allorquando la corte di merito ha riservato la causa per la decisione, nominando, quale relatore, il giudice ausiliario avvocato NOME COGNOME, in sostituzione di quello precedentemente designato, assegnando alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi dell’art. 190 c.p.c.
Il vizio lamentato dai ricorrenti potrebbe dunque configurarsi solo se, dopo il 28 giugno 2021 (allorché la causa venne effettivamente introitata a sentenza dal Collegio che l’ha poi decisa), il collegio decidente fosse mutato.
Prima di detta data, il Presidente del collegio decidente aveva piena facoltà di modificare il relatore, designando altro componente del collegio prima di assegnare la causa a sentenza, come appunto avvenuto nella specie.
In definitiva, nessuna violazione del principio di immutabilità del giudice d’appello, ex art. 352 c.p.c., s’è verificata nel giudizio di secondo grado.
2.2. Inammissibile è il secondo motivo.
Invero parte ricorrente introduce per la prima volta davanti a questa Corte la questione della natura di “promessa di pagamento” dell’assegno. Si tratta di un tema di contestazione nuovo, non trattato nel giudizio di merito, come correttamente eccepito da parte resistente. I ricorrenti avrebbe avuto l’onere di indicare in quale atto del giudizio
di merito avevano sollevato la questione, ma detto onere non è stato assolto.
Se mai fosse ammissibile, il motivo sarebbe comunque infondato. La corte territoriale ha correttamente applicato il principio, secondo cui nell’azione di ripetizione di indebito oggettivo, l’attore ha l’onere di provare sia l’avvenuto pagamento sia l’inesistenza di una giusta causa; e, ad esito di una incensurabile valutazione delle risultanze processuali, ha ritenuto che gli allora attori non avevano fornito tale prova, avendo anzi escluso ogni rapporto con il convenuto e indicato un diverso soggetto (il procuratore della società venditrice) quale presunto accipiens dell’assegno.
In definitiva, il motivo si basa sull’apodichia dell’affermazione che il resistente avrebbe ricevuto l’assegno, girato in bianco, dall’NOME, là dove la sentenza ha statuito che di ciò mancava la prova.
2.3. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
Secondo parte ricorrente, la corte di merito avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo consistente nel mancato assolvimento, da parte del convenuto NOME, dell’onere di provare la causa giustificatrice del pagamento.
Senonché il motivo, come articolato, non denuncia un “omesso esame” di un fatto storico, principale o secondario, come richiesto dal nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ma critica la valutazione delle prove operata dal giudice di merito e ne sollecita una rivalutazione, preclusa in questa sede. Lo fa invocando nell’illustrazione preliminarmente la violazione dell’art. 2697 c.c., ma essa prospettando solo dopo un’argomentazione come si è detto diretta a sollecitare rivalutazione delle emergenze probatorie e, dunque, in modo palesemente difforme dai criteri di deduzione della violazione di quella norma siccome individuati – in motivazione espressa, sebbene non
massimata sul punto – da Cass., sez. Un., n. 16598 del 2012, ribaditi, ex multis , da Cass. n. 26769 del 2018.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Ai sensi dell’art. 96, 3° comma, cod. proc. civ., ricorrono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento, a favore di parte resistente, di una somma ulteriore.
Come statuito anche di recente da questa Sezione (cfr. tra le tante Cass. n. 14548/2022): “Nel giudizio di cassazione, ai fini della condanna ex articolo 96, terzo comma, del c.p.c., può costituire abuso del diritto alla impugnazione la proposizione di un ricorso basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo dell’autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia. Parimenti, la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (articolo 6 Cedu) e dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come abuso del processo, poiché determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’articolo 96,
comma 3, cod. proc. civ., la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell’avere agito o resistito pretestuosamente”.
Nel caso di specie, l’abuso del processo, nei termini sopra delineati di “ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali”, consiste nel fatto della avvenuta proposizione, da parte dei ricorrenti, di una impugnazione inammissibile e/o manifestamente infondata, dell’introduzione per la prima volta davanti a questa Corte della questione della natura di “promessa di pagamento” dell’assegno, nonché del fatto che già la corte territoriale aveva censurato di temerarietà l’appello.
L’importo, dovuto a parte resistente, viene determinato, in via equitativa, in euro 1.500,00.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 3.100 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
-distrae le spese, come sopra liquidate, a favore del difensore di parte resistente, che si è dichiarato antistatario;
-condanna altresì parte ricorrente ex art. 96, terzo comma, c.p.c. al pagamento in favore della parte resistente di una somma che liquida in euro 1500 a favore di parte resistente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente ed a favore del competente
ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2025, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Presidente
NOME COGNOME