Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16137 – 2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa con l’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 155/2018 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO, pubblicata il 14/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2024 dal consigliere NOME COGNOME lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 10 dicembre 2014, NOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Bolzano, RAGIONE_SOCIALE chiedendo la risoluzione per inadempimento del contratto d’opera intercor so con la società convenuta, la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno e la condanna al pagamento delle spese.
In particolare, NOME dedusse che aveva prestato servizi di medicina estetica presso l’RAGIONE_SOCIALE di Merano, in esecuzione di un contratto di prestazione d’opera, inizialmente di durata annuale, poi prorogato di anno in anno tacitamente, secondo cui per ogni prestazione resa avrebbe trattenuto il 70% dell’incasso, spettando il residuo 30% alla società; repentinamente, in violazione del convenuto termine di preavviso di tre mesi, la società le aveva precluso l’accesso alla strutt ura, interrompendo ogni rapporto.
Costituendosi, RAGIONE_SOCIALE eccepì l’inadempimento dell’attrice, rappresentando di aver scoperto che ella aveva posto in essere, in suo danno, una ingente truffa mediante l’ incasso diretto, in nero, utilizzando il suo POS personale, di incassi per circa 7 milioni di lire, senza alcuna corresponsione in suo favore della percentuale dovutale e che perciò aveva interrotto con lei ogni rapporto, senza preavviso; quindi, nelle memorie ex art. 183 cod. proc. civ., chiese accertarsi l’intervenuta r isoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. o, in subordine ex art. 1460 cod. civ.
Con sentenza n. 227/2017 il Tribunale di Bolzano rigettò la domanda di risoluzione, ravvisato l’inadempimento dell’attrice e dichiarò inammissibile perché proposta soltanto con le memorie ex art. 183 cod. proc. civ. la domanda di risoluzione formulata dalla convenuta, condannando NOME al pagamento delle spese di lite.
Con sentenza n. 155/2018 la Corte d’appello di Trento , in parziale accoglimento dell’appello principale di NOME e in rigetto dell’appello incidentale della società, confermò nel merito la decisione del Tribunale che riformò soltanto in punto di spese.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello rigettò l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale sollevata da NOME COGNOME per asserita violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., escludendo che fossero stati dedotti fatti nuovi; quindi, ribadendo che era NOME COGNOME ad essere onerata della prova dell’esatto adempimento, attesa l’eccezione di parte convenuta, confermò il giudizio di gravità dell’inadempimento dell’attrice già formulato in primo grado, per inosservanza del dovere di lealtà ex art. 1375 cod. civ.
Avverso questa sentenza NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha prospettato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. per avere la Corte di merito disatteso l’eccezione di inammissibi lità dell’appello incidentale, ritenendo come già elencate e descritte negli atti di primo grado le allegazioni contenute nella comparsa di risposta
del giudizio d’appello invece di considerarne la novità e, perciò, l’inammissibilità .
1.1. Il motivo è evidentemente inammissibile per difetto di interesse: l’appello incidentale è stato, invero, rigettato e in ogni caso, anche a voler considerare la denuncia come limitata alla violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo con cui si censuri una violazione processuale non correttamente valutata dal giudice d’appello, allorché essa non rientri tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice e non si sia tradotta in un effettivo pregiudizio per il diritto di difesa, atteso che in tal caso, convertendosi l’eventuale nullità della sentenza in motivi di impugnazione, l’impugnante deve, a pena d’inammissibilità, indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall’invocato vizio processuale (Cass. Sez. 2, n. 20834 del 30/06/2022); questa indicazione è del tutto mancata nella specie.
Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella valutazione della diversa modalità d’incasso degli importi in nero e del coinvolgimento dei vertici aziendali; inoltre, con altro profilo, la Salvatore ha sostenuto che la ritenuta ripartizione di questi incassi in nero al 50% con NOME COGNOME non risulterebbe dagli atti processuali e sarebbe stata smentita in sede penale.
2.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
Innanzitutto, è precluso ex art. 348 ter IV comma cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis per essere stato l’appello introdotto nel 201 7: l’appello è stato, infatti, rigettato sulla base dello stesso iter logico della sentenza resa in primo grado, sicché ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», non
ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6 – 2, n. 7724 del 09/03/2022).
A ciò, comunque, si aggiunga la considerazione che i fatti asseritamente omessi sono stati in realtà valutati dalla Corte d’appello, sebbene in modo differente da quello auspicato dalla ricorrente e un loro riesame è evidentemente precluso in sede di legittimità.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. : la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere provato l’incasso di euro 7.443.000,00 perché tale fatto sarebbe contenuto in un documento prodotto dal legale rappresentante della originaria convenuta, privo di alcuna sottoscrizione ed erroneamente assunto come riconducibile a lei.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha ritenuto di poter ricavare la prova dell’incasso di un importo pari a totali euro 7.443.000 dal «prospetto da lei stessa predisposto e consegnato al comm. COGNOME in uno degli incontri di luglio 2014»; hanno confermato poi la circostanza le dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME sentito in s.i.t. il 26/10/2015.
Per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio); la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre è, invece inammissibile perché questa attività valutativa è consentita
dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 30/09/2020).
Inammissibile è, poi, la censura che proponga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, perché nel giudizio di legittimità è precluso un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 10927 del 23/04/2024).
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1453 cod. civ. in riferimento all’art. 2697 cod. civ., per non avere il giudice di appello ritenuto che fosse onere della originaria convenuta provare di aver comunicato il recesso dal contratto o, alternativamente, i fatti posti a fondamento dell’eccezione di inadempimento.
4.1. Il motivo è infondato. Per principio consolidato, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, e il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto
adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (Cass. Sez. 3, n. 3373 del 12/02/2010; Cass. Sez. 6 – 3, n. 3587 del 11/02/2021).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di NOME al rimborso delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro16.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 19 settembre 2024.
La Presidente NOME COGNOME