Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1206 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1206 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6991/2016 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che, unitamente all’avvocato NOME COGNOME lo rappresenta e difende per procura speciale estesa in calce al ricorso ricorrente
contro
Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.aRAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore generale pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente avverso la sentenza n. 1530/2015 della Corte di appello di Firenze, pubblicata il 2 settembre 2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 febbraio 2021 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza pubblicata il 29 giugno 2010 il Tribunale di Pisa rigettò la domanda di NOME COGNOME per la condanna della Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.a., asseritamente inadempiente agli obblighi derivanti da intercorso contratto di sconto titoli, alla restituzione di somma di danaro equivalente all’ammontare delle somme incorporate in titoli cambiari e assegni consegnati per lo sconto alla banca senza che costei ne avesse curato l’incasso.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 2 settembre 2015, rigettò l’appello proposto da COGNOME per la riforma della citata sentenza di primo grado.
2.1. Questa, in sintesi, è la motivazione della sentenza di appello:
la sentenza di primo grado rigettò la domanda alla luce del contenuto di ‘copiosa documentazione’, depositata dalla banca, da cui si desumeva la non sussistenza dell’inadempimento della banca al contratto di sconto di titoli cambiari intercorso fra le pa rti;
il motivo di appello ‘verteva…sul travisamento della documentazione sull’incapacità patrimoniale dei debitori cartolari portati dalla banca all’attenzione del Tribunale’;
la banca non ha depositato nel giudizio di appello il proprio fascicolo di parte acquisito agli atti del giudizio di primo grado;
l’appellante COGNOME avrebbe dovuto supplire a tale omissione mediante deposito di copia d ei documenti contenuti tale fascicolo;
in assenza dei documenti in questione è preclusa alla Corte di appello ‘la verifica dell’asserito nella valutazione delle prove’;
essendo rimasto fermo l’accertamento che nulla la banca poteva fare per riscuotere le somme di danaro incorporate nei titoli a causa dell’incapienza dei debitori cartolari, ‘rimane ferma pure l’efficacia della prova liberatoria dell’appellata dall’imputabilità dell’inadempimento, a prescindere dalla questione della sua mancata concreta attivazione’.
NOME COGNOME chiede la cassazione di tale sentenza con ricorso contenente quattro motivi di impugnazione, assistiti da memoria.
La Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.a. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La controricorrente eccepisce l’inesistenza, ovvero l’irregolarità, della notificazione del ricorso, eseguita dal difensore con procura del ricorrente a mezzo posta elettronica certificata, per non avere l’avvocato notificante attestato, nella relazione di notificazione, che l’atto che ne costituisce l’oggetto è copia fotoriprodotta conforme all’originale da cui è stata estratta, in violazione dell’art. 3 -bis , comma 2, della legge n. 53 del 1994 e dell’art. 16 -undecies del d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 212 del 2012: non vi è dunque certezza dell’esistenza dell’originale e comunque della conformità all’originale della copia notificata.
L’eccezione è manifestamente infondata.
Premesso che l’affermazione in fatto della controricorrente è vera e che l’attestazione di conformità all’originale del ricorso notificato è contenuta in foglio allegato alla copia cartacea dell’atto depositata al momento della (tempestiva) costituzione de l ricorrente, la violazione nel caso concreto delle sopra citate disposizioni di legge speciale costituisce mera irregolarità, sanata dalla conoscenza da parte del destinatario del contenuto dell’atto in questione (in questo senso, cfr., in argomento: Cass. S.U. n. 7665 del 2016; Cass. n. 14818 del 2018).
Con il primo motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata è nulla, per violazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., risolvendo essa la controversia su questione (mancato deposito da parte della banca nel giudizio di appello dei documenti da questa depositati nel giudizio di primo grado) non emersa, né tampoco discussa, nel corso del giudizio di appello.
La censura è infondata, in quanto per aversi nullità della sentenza derivata da lesione di diritto di difesa delle parti su questione, di fatto ovvero mista (di fatto e di diritto) dal giudice di merito officiosamente rilevata che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti nelle rispettive difese, è necessario che il quadro fattuale entro il quale le difese sono state sviluppate sia alterato in conseguenza del rilevo giudiziale (giurisprudenza di legittimità costante).
Nel caso di specie, invece, dalla sentenza impugnata risulta che: il rigetto della domanda del ricorrente fu dalla sentenza di primo grado essenzialmente fondato sul contenuto dei documenti dalla banca depositati nel processo con tale sentenza definito; nel motivo di appello il ricorrente dedusse che il Tribunale di Pisa avrebbe malamente valutato il contenuto dei documenti in questione, da cui ‘non emergerebbe quanto sostenuto dal primo giudice in motivazione’; il giudice di appello non venne però posto in condizione di valutare la fondatezza della censura in discorso (erronea valutazione del contenuto di documenti in funzione della prova) non avendo le parti (in particolare, quella interessata alla riforma della impugnata decisione di segno negativo) depositato nel giudizio di appello i documenti in parola.
La sentenza impugnata si è dunque limitata a pronunciarsi sul motivo di appello traendo le conseguenze dal mancato deposito (necessariamente, su iniziativa delle parti) nel giudizio di appello dei documenti sul cui contenuto si appuntava la censura del ricorrente; senza alcuna introduzione di fatti relativi al merito della lite dalle parti non evidenziati.
Con il secondo motivo la sentenza impugnata è dal ricorrente ritenuta nulla per non avere esaminato, in violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., un motivo di appello che ‘non richiedeva in alcun modo l’esame della documentazione prodotta in primo grado dalla Banca’; avendo egli dedotto che la prova (insussistente) relativa alla generale incapacità dei debitori cartolari a far fronte alle proprie obbligazioni non era idonea a escludere l’inadempimento della banca alle obbligazioni da lei assunte per effetto della stipulazione del contratto di sconto, essendo incontestato che essa non ‘ha mai richiesto e/o intimato ai debitori ceduti il pagamento dei titoli di credito che le erano stati consegnati dal COGNOME, ma, anzi con la propria inerzia, ha lasciato che gli stessi si prescrivessero’.
6. Il vizio, per come dedotto, non sussiste.
Risulta dal contenuto della sentenza impugnata (pag. 3) che con essa è presa in esame la parte di motivo di appello dedicata all’affermato comportamento omissivo dell’istituto di credito: l’atto contiene infatti l’affermazione secondo cui, una volta ‘ri masto fermo l’accertamento che nulla poteva fare la Cassa per riscuotere l’importo degli effetti a causa
dell’incapienza dei debitori cartolari, rimane ferma pure l’efficacia della prova liberatoria dell’appellata dall’imputabilità dell’inadempimento, a prescindere dalla questione della sua mancata concreta attivazione’.
La questione relativa all’esistenza delle dedotte omissioni della banca è dunque dalla sentenza considerata con chiarezza irrilevante in funzione della decisione di conferma del rigetto della domanda del ricorrente: tanto basta per escludere la sussistenza del denunciato vizio.
7. La sentenza di appello è poi dal ricorrente censurata (terzo motivo) per avere omesso l’esame di fatti decisivi oggetto di contestazione fra le parti, avendo egli, con la citazione pel giudizio di appello, censurato la sentenza di primo grado sotto i l profilo dell’idoneità dei fatti noti (risultanti dal contenuto dei documenti depositati dalla banca) a risalire a quello ignoto (art. 2729 cod. civ.) affermato dal Tribunale: id est , la generale incapacità dei debitori cambiari ‘a far fronte ai debiti assunti anche nel periodo intermedio’.
Il ricorrente infatti deduce che nell’atto di appello egli ebbe a descrivere analiticamente senza contestazione specifica da parte della banca -i fatti risultanti da detti documenti, escludendo che dagli stessi fosse desumibile ‘quanto ritenuto dal Tribunale’.
Secondo il ricorrente, l’analitica descrizione del contenuto dei documenti esaminati dal giudice di primo grado ‘ben consentiva alla Corte d’Appello a prescindere dal suo esame diretto -di valutare se il Tribunale aveva correttamente fatto uso del meccanismo delle presunzioni semplici ritenendo che: a) l’esistenza di protesti elevati da 4 ad 8 anni dopo, rendesse superfluo chiedere (anche solo il chiedere) il pagamento 4-8 anni prima!; b) il sollecito nel 1989 del pagamento di un effetto escludesse l’ utilità di qualsiasi iniziativa nel 1993, e così pure la escludesse una transazione intervenuta nel 2000′.
Infine, il ricorrente sostiene che, a volere seguire il principio (fatto proprio da Cass. S.U. n. 28498 del 2005 e da Cass. S.U. n. 3033 del 2013) secondo cui nel giudizio di appello la regola dell’onere della prova si applica all’appellante (attore ten uto a dare prova della fondatezza della sua impugnazione), tenuto a dimostrare, mediante il deposito dei documenti sui quali si fonda la decisione del giudice di primo grado (anche se depositati dalla controparte), la fondatezza delle censure mosse alle conclusioni caratterizzanti la sentenza di primo grado, tale principio ‘impone di ritenere applicabili tutti gli istituti attraverso i quali la prova può essere fornita, in primis la non contestazione ‘. La conseguenza è che avendo esso ricorrente esplicitato, senza contestazioni di sorta, il contenuto dei documenti fondante la sentenza appellata, la Corte di appello ‘era tenuta a valutare se quel contenuto consentiva di pervenire alle conclusioni alle quali, ai sensi degli artt. 27272729 cod. civ., era pervenuto il Tribunale’.
8. Il motivo, per come dedotto, è infondato; non potendo le contestazioni alla sentenza di primo grado dal ricorrente mosse avanti la Corte di appello prescindere dal contenuto dei documenti che questa non ebbe modo di esaminare perché non depositati da alcuno nel giudizio
avanti a lei svoltosi, mentre l’accertamento compiuto dal giudice di primo grado si fondava proprio sul contenuto dei documenti da lui direttamente esaminati.
In buona sostanza, secondo il ricorrente, la Corte di appello, avrebbe dovuto decidere della causa ‘al buio’, prescindendo dal contenuto dei documenti sui quali il giudice di primo grado ebbe a compiere il proprio accertamento: e ciò non è consentito dalle disposizioni rispettivamente recate dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo che essa, nel conformarsi al principio affermato da Cass. S.U. n. 28498 del 2005 e da Cass. S.U. n. 3033 del 2013, è caratterizzata da violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 342 nonché all’art. 88 cod. proc. civ., al principio di acquisizione della prova, all’art. 76 disp. att. cod. proc. civ.; risultando tale principio affatto criticabile per le ragioni nell’atto illustrate.
La sentenza impugnata è -come dal ricorrente lealmente evidenziato – conforme al principio affermato da Cass. S.U. n. 28498 del 2005 e poi reiterato da Cass. S.U. n. 3033 del 2013.
Con tali sentenze le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che: «nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata ( ‘ novum judicium ‘ ), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata ( ‘ revisio prioris instantiae ‘ ). Ne consegue che l’ appellante assume sempre la veste d i attore rispetto al giudizio d’ appello, e su di lui ricade l’ onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’ erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’ onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. cod. proc. civ. e di produrli in sede di gravame».
La successiva giurisprudenza di legittimità si è conformata al principio espresso da tali arresti (nello stesso senso, cfr.: Cass. n. 11797 del 2016; Cass. n. 21557 del 2018; Cass. n. 15883 del 2019; Cass. n. 30738 del 2019).
Il ricorrente critica tale principio, sollecitando -in sostanza -una ulteriore rimessione del ricorso alle Sezioni Unite in applicazione dell’art. 374, terzo comma, cod. proc. civ., ma non offre alcun argomento rilevante in funzione di una tale decisione.
Non vi sono tuttavia i presupposti per una decisione di questo tipo.
In particolare:
la questione dei rapporti fra i contenuti precettivi rispettivamente recati dall’art. 2697 cod. civ. e dal’art. 76 disp. att. cod. proc. civ. è riesaminata da Cass. S.U. n. 3033 del 2013;
lo stesso è da dire quanto al principio di ‘immanenza della prova’ nel senso indicato da Cass. S.U. n. 28498 del 2005, avendo la successiva sentenza del 2013 avuto modo di precisare che tale principio «va inteso con riferimento non al documento materialmente incorporante la p rova, bensì all’efficacia spiegata dal mezzo istruttorio, virtualmente a disposizione di ciascuna
delle parti, delle quali tuttavia, quella che ne invochi una diversa valutazione da parie del giudice del grado successivo non è esonerata dall’attivarsi perché lo stesso possa concretamente procedere a richiesto riesame. Ne consegue che, mentre nessun problema si pone per quelle prove, orali e verbalizzate o comunque acquisite al fascicolo di ufficio (destinato in base alle norme di rito a pervenire al giudice di secondo grado), per quanto riguarda quelle documentati, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorché non materialmente più presenti in atti (per la contumacia dell’appellato o per l’insindacabile scelta del medesimo di non più produrle), continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice, la cui presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’ appellante.
Questi, rimasto inerte, pur disponendo di un adeguato mezzo processuale (la richiesta di cui all’ art. 76 disp. att. c.p.c.) per prevenire la sopra esposta situazione di carenza documentale, deve considerarsi soccombente, in virtù del principio, desumibile dall’ art. 2697 c.c., secondo cui actore non probante, reus absolvitur »;
quanto, infine, al rilievo nel caso di specie del precetto recato dall’art. 88 cod. proc. civ., sempre Cass. S. U. n. 3033 del 2013 ha avuto modo di precisare che le considerazioni che si leggono nel paragrafo 8.1 di Cass. S.U. n. 28498 del 2005 «non risultano funzionali, nel contesto complessivo della pronunzia, alla decisione adottata, che si basa invece esclusivamente sul principio di diritto» sopra trascritto.
Il motivo è in conclusione infondato.
In applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente deve essere condannato a rimborsare alla parte vittoriosa le spese da costei anticipate nel presente giudizio nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione da costei anticipate, liquidate: in euro duecento per esborsi; in euro cinquemila per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile, il 17 febbraio 2021.