Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24623 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24623 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 10703/2019 R.G.) proposto da:
COGNOME NOME , nata a Napoli il DATA_NASCITA e residente in Castel Volturno (INDIRIZZO), al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata in Napoli, al INDIRIZZO, presso lo studio de ll’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende, giusta procura speciale rilasciata su foglio separato, ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c. (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL ‘ );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ), con sede in Caserta, alla INDIRIZZO (Partita I.V.A.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore e COGNOME NOME , nata a Napoli il DATA_NASCITA (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE);
-intimate –
nonché
COGNOME NOME , nato ad Aversa (CE) il DATA_NASCITA (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME , nata a Napoli il DATA_NASCITA (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE);
– intimati –
n. 10703/2019 R.G.
COGNOME.
Rep.
C.C. 29/5/2024
Mutuo – Domanda di restituzione di somme di denaro.
avverso l a sentenza della Corte d’ Appello di Napoli n. 4394/2018, pubblicata il 3 ottobre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione del 6 agosto 2007 la società RAGIONE_SOCIALE (oggi società RAGIONE_SOCIALE), in persona dell’amministratore unico sig.ra NOME COGNOME, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE), i sigg. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al fine di sentir emettere i seguenti provvedimenti: « I. accertare e dichiarare il diritto della RAGIONE_SOCIALE al rimborso della somma data a mutuo ai sigg.ri NOME, NOME e NOME COGNOME di € 683.325,00, ovvero della somma ritenuta di giustizia secondo le rispettive quote di partecipazione, per i motivi di cui in premessa; II. per l’effetto condannare il sig. NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 281.871,56 oltre interessi di legge ovvero della somma ritenuta di giustizia; per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 128.123,44 oltre interessi di legge, ovvero della domanda ritenuta di giustizia; IV per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 128.123,4 4 oltre interessi di legge, ovvero della domanda ritenuta di giustizia; IV in via subordinata ed in caso di mancato accoglimento delle domande sopra formulate: A) – accertare e dichiarare il diritto della società istante al rimborso delle somme erogate per la gestione degli affari dei sigg.ri COGNOME NOME, NOME e NOME per i motivi di cui in premessa; B) per l’effetto condannare il sig. NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 281.871,56, oltre interessi di legge, ovvero alla somma ritenuta di giustizia; C) – per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 128.123.44 oltre interessi di legge ovvero alla somma ritenuta di giustizia; D) – per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al
pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 128.123,44 oltre interessi di legge, ovvero della domanda ritenuta di giustizia. In via ulteriormente subordinata ed in caso di mancato accoglimento delle domande sopra formulate: 1. accertare e dichiarare l’ingiustificato arricchimento dei sigg.ri COGNOME NOME, NOME e NOME per i pagamenti eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE per i motivi di cui in premessa; 2 – per l’effetto condannare il sig. NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 281.871,56, oltre interessi di legge, ovvero alla somma ritenuta di giustizia; 3 – per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 128.123.44 oltre interessi di legge ovvero alla somma ritenuta di giustizia; 4 – per l’effetto condannare la sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 128.123,44 oltre interessi di legge, ovvero della domanda ritenuta di giustizia. In ogni caso condannare i Sigg.ri NOME, NOME e NOME COGNOME al pagamento di tutte le spese, diritti e onorari del presente giudizio oltre spese generali, IVA e C.P.A., come per legge ».
A fondamento della pretesa, la società attrice assumeva: di aver concesso negli anni 2004 – 2005 un prestito in favore dei convenuti per la complessiva somma di € . 683.325,00 (euro seicentottantatremilatrecentoventicinque/00) per l ‘ estinzione di debiti personali facenti capo alla famiglia COGNOME; di aver prelevato i predetti importi dalle casse della società con regolare iscrizione nei bilanci al 31 dicembre 2004 e 21 dicembre 2005 alla voce ‘ crediti verso terzi ‘; di aver ricevuto approvazione dei citati bilanci dall’unanimità dei soci tra i quali COGNOME NOME (41,25%), COGNOME NOME (18,75%) e COGNOME NOME (18,75%); di aver dovuto erogare gli importi al fine sia di estinguere una complessa posizione debitoria dei germani COGNOME verso l’AVV_NOTAIO per l’ammontare di € . 120.000,00 (euro centoventimila/00), che per pagare una consistente parte delle imposte gravanti sui germani COGNOME per la successione del defunto padre COGNOME NOME per € . 543.000,00 (euro cinquecentoquarantatremila/00), oltre ulteriori spese di famiglia per l’importo di € . 17.825,00 (euro diciassettemilaottocentoventicinque/00).
Si costituivano in giudizio con separati atti, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali deducevano, in primo luogo, la necessità di autorizzare la chiamata in causa del terzo, COGNOME NOME, quale cessionaria delle quote di partecipazione sociale alla RAGIONE_SOCIALE, detenute dai medesimi e quindi delle relative obbligazioni. In secondo luogo, deducevano la necessità di nominare un curatore speciale della RAGIONE_SOCIALE stante la chiamata in causa e, nel merito, l ‘ inesistenza della obbligazione in capo ai germani COGNOME dal momento che il debito era originariamente imputabile alla impresa individuale COGNOME NOME il cui patrimonio era transitato, secondo la loro prospettazione, in quello dell’attuale attrice.
Autorizzata la chiamata in causa di COGNOME NOME , quest’ultima veniva evocata in giudizio al fine di manlevare i germani convenuti da ogni responsabilità. Si costituiva in giudizio NOME COGNOME con il patrocinio del medesimo difensore della società attrice e la sua costituzione veniva contestata dai convenuti sostenendo la sussistenza di un conflitto di interessi con la società attrice.
All’esito dell’istruzione il giudice di primo grado pronunciava la sentenza n. 3050/2011, pubblicata il 14 ottobre 2011, con la quale accoglieva parzialmente la domanda attorea e, per l’effetto, condannava COGNOME NOME al pagamento dell’importo di € . 232.371,50 (euro duecentotrentaduemilatrecentosettantuno/50), COGNOME NOME al pagamento dell’importo di € 105.623,4 0 (euro centocinquemilaseicentoventitre/40) e COGNOME NOME al pagamento dell’importo di € . 105.623,40 (euro centocinquemilaseicentoventitre/40), oltre interessi dalla domanda giudiziale e spese di lite; rigettava, inoltre, la domanda di manleva, compensando integralmente le spese tra i convenuti e la chiamata in causa.
2.- Con atto di citazione notificato il 12 luglio 2012, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la sentenza di primo grado sopra menzionata. A fondamento del proposto gravame, gli appellanti deducevano che la pronuncia impugnata era lacunosa, omissiva e del tutto insufficiente, posto che non erano state provate dall’attrice le seguenti circostanze di fatto oggetto di contestazione: 1) l’effettivo utilizzo per i pagamenti indicati di somme derivanti dalla gestione societaria; 2) l’esistenza di un accordo tra i soci
per l ‘ effettuazione dei prelievi e la destinazione specifica dei relativi importi; 3) l’utilizzo per finalità personali dei soci trattandosi di assegni circolari emessi direttamente dalla società in favore dei destinatari finali; 4) l’effettiva utilizzazione deg li importi prelevati per le imputazioni indicate da parte attrice; 5) la riconducibilità delle voci di bilancio qualificate come ‘ crediti verso terzi ‘ alle posizioni dedotte in giudizio. La difesa degli appellanti, inoltre, rimarcava l’erroneità della sentenza impugnata anche ribadendo che i debiti dedotti in giudizio erano incorporati nelle quote di partecipazione sociale nella società appellata facenti originariamente capo ai convenuti germani COGNOME e da questi poi cedute alla sig.ra COGNOME NOME, pur non coltivando ulteriormente la domanda di manleva nei confronti di quest’ultima.
Si costituivano nel giudizio d’appello sia COGNOME NOME che la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione. Quest’ultima proponeva altresì appello incidentale.
L a Corte d’ Appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale ; dichiarava la nullità della costituzione di COGNOME NOME nel giudizio di primo grado e compensava interamente le spese di lite.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava , per quanto di interesse in questa sede: a ) che il convincimento del primo giudice si era formato principalmente attraverso l’esame della documentazione prodotta dalla società attrice, rafforzandosi poi con le risultanze dell’interrogatorio formale e che le argomentazioni – sia pur succinte – della sentenza appellata chiarivano su quali basi la pronuncia era stata resa tanto da essere poi impugnata per quanto attiene proprio alla valutazione della documentazione probatoria fornita in prime cure; b ) che, dunque, al fine di esaminare il primo motivo dell’appello principale occorreva riesaminare il materiale probatorio documentale prodotto dalla società in primo grado (assegni, mastrino, bilanci, libro soci, verbali di approvazione bilanci, relazioni collegio sindacale); c ) che né gli appellanti, né gli appellati avevano provveduto a produrre tale documentazione nell’ambito del giudizio d’appello, né si erano premurati di richiedere la ricostruzione dei fascicoli di primo grado; d ) che « D’altronde non sussiste un obbligo, posto a carico della controparte, di deposito in grado di appello
del proprio fascicolo di primo grado, non trovando riscontro nelle norme processuali (la costituzione in grado di appello, ex art. 347 c.p.c., comma 1 che rinvia agli artt. 165 e 166 c.p.c. mediante deposito del proprio fascicolo di parte attiene al fascicolo contenente l’atto di appello e la sentenza appellata ovvero la comparsa di risposta, dunque soltanto gli atti predisposti per quel grado di giudizio, e non anche il fascicolo di parte del precedente grado di giudizio). » (cfr., la sentenza impugnata, alla pag. 6); e ) che « Appare inoltre consolidato l’indirizzo interpretativo della RAGIONE_SOCIALE che ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa, ma una ‘revisio’ fondata sulla denunzia di specifici ‘vizi’ di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata: ne consegue che è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare (cfr. Corte cass. Sez. U, sentenza n. 28498 del 23/12/2005; id. Sez. 3, sentenza n. 18205 del 28/08/2007; id. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 6018 del 15/03/2011; id. Sez. L, sentenza n. 1462 del 22/01/2013; id. Sez. U, sentenza n. 3033 del 08/02/2013; id. Sez. 3, sentenza n. 11797 del 09/06/2016). » (cfr. la sentenza impugnata, alle pagg. 6 – 7); f ) che, dunque, la circostanza che l’appello sia proposto dall’originario convenuto (anziché dall’originario attore), anche qualora sia rimasto soccombente, non determina alcuna violazione del riparto dell’onere probatorio, essendo pur sempre onerato il convenuto-appellante della prova dei fatti positivi che sorreggono i motivi di gravame, non determinandosi alcuna indebita sovrapposizione tra ” fatto costitutivo della pretesa ” (della prova del quale è onerata la parte che agisce in giudizio) e ” fatto posto a fondamento del motivo di gravame ” (della prova del quale è
onerata la parte appellante), e non apparendo corretta l ‘ equazione tra mancata prova del fatto che assiste il motivo di gravame ed ” automatica ” presunzione ” iuris tantum ” di esistenza dei fatti costitutivi della domanda – laddove con tale asserzione si intenda ipotizzare una illegittima ” relevatio ab onere probandi ” del soggetto cha ha agito in giudizio -, atteso che tra i due termini della relazione viene ad interporsi l’accertamento giudiziale nel merito della pretesa, compiuto dal giudice di prime cure, fondato sui fatti rappresentati in giudizio in quanto sottoposti alla verifica istruttoria ed alla valutazione di quel giudice, accertamento che, se non idoneamente inficiato dalle ragioni critiche esposte dall’appellante – e quindi dalla dimostrazione della diversa rappresentazione di quei fatti allegata dall’appellante – è destinato ad essere confermato dalla decisione di appello; g) che, dunque, era infondato il primo motivo dell’impugnazione principale; h) che anche il secondo motivo non poteva avere miglior sorte, giacché anche quest’ultimo presupponeva una rinnovata valutazione della medesima documentazione anche al solo fine di scardinarne la valenza sotto il profilo logico e argomentativo e, quindi, anche al solo fine di escluderne l ‘ utilità o per trarne diversi elementi di decisione (anche in senso divergente) per giungere a soluzioni motivazionali opposte; i) che, infatti, avendo il Tribunale accolto la tesi della società basandosi sui documenti prodotti dalla medesima, al fine di vincerne la rilevanza mediante un percorso argomentativo e presuntivo in punto di diritto diverso che mira a prescindere dai medesimi, occorreva che gli stessi fossero comunque esaminati; l) che, anche con riguardo a tale motivo, detta disamina non poteva aver luogo in ragione del fatto che la documentazione non era stata prodotta in appello.
3.Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la sig.ra COGNOME NOME.
Sono rimasti intimati la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ), nonché i sigg. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 1 56, comma 2, c.p.c..
Al riguardo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per il fatto che essa avrebbe omesso qualsivoglia riferimento al processo di primo grado, n. 8271/2007 R.G., celebrato dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nonché alla sentenza emessa all’esito di questo e oggetto di gravame, cioè la n. 3050/2011, pubblicata il 14 ottobre 2011, avendo invece fatto espresso e univoco riferimento ad altro giudizio di primo grado, iscritto al n. 2848/2005 R.G. e celebrato dinanzi al Tribunale di Napoli, ottava sezione civile, e alla sentenza emessa all’esito di questo, pubblicata il 22 settembre 2011, con il numero 10311/2011.
Deduce, all’uopo, che la sentenza d’appello non indic herebbe, in alcun punto, di essere stata pronunciata nella causa civile iscritta al n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO R.G. , di ‘ appello contro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 3050/2011, pubblicata il 14 ottobre 2011 nel giudizio rubricato al n. 8271/2007 R.G. ‘, in conformità alla domanda degli appellanti di cui all’atto d’appello notificato il 12 luglio 2012, affermando, anzi, nella parte epigrafica, di essere stata pronunciata nella causa civile iscritta al n. 847/2012 R.G.. Aggiunge, inoltre, che, né dallo ” svolgimento del processo “, né dai ” motivi della decisione “, sarebbe desumibile, in maniera chiara, inequivoca e immediata che la sentenza oggetto della pronuncia della Corte d ‘ Appello di Napoli, censurata in questa sede, coincida con quella indicata nell’atto introduttivo dell’appello (tra gli altri) dalla sig.ra COGNOME NOME, con conseguente incertezza assoluta in ordine alla domanda di appello esaminata ed alla sentenza scrutinata. Invero sebbene, com’è noto, l’art. 132 c.p.c. non preveda, per le sentenze di appello, né il requisito della indicazione della sentenza oggetto dell’appello né alcuna specifica ipotesi di nullità per tale mancanza, ben potrebbe secondo la prospettazione della ricorrente – determinarsi nullità della sentenza in commento ai sensi del secondo comma dell’art. 156 c.p.c. risultando essa, per quanto detto (e cioè anche per l’espressa contestuale indicazione di altro giudizio e altra sentenza), inidonea al raggiungimento dello scopo che le è proprio. L’omissione sud detta e la contestuale indicazione di altro giudizio di primo grado nonché di altra sentenza di primo grado quale oggetto della domanda e del conseguente giudizio d’appello nel corpo della sentenza impugnata, non consent irebbero, infatti, alla pronuncia di cui si tratta di svolgere la propria funzione essenziale di ” legge del caso concreto “, in quanto non sarebbe possibile
comprendere, dal contenuto complessivo della sentenza d ‘ appello in commento, quali siano gli atti di appello esaminati e quale la sentenza di primo grado alla quale essa si riferisce e, quindi, individuare le statuizioni confermate e su cui il giudicato sarebbe suscettibile di formarsi relativamente al rapporto tra la società RAGIONE_SOCIALE e la sig.ra COGNOME NOME. Sussisterebbe, pertanto, una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine all’oggetto e agli atti dell’appello, in particolare quello introduttivo, cui la decisione si riferisce.
2.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impug nata per violazione dell’art. 112 c.p.c..
Si censura la sentenza d’appello impugnata per aver violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. in quanto essa avrebbe pronunciato sulla sentenza del Tribunale di Napoli, ottava sezione civile, n. 10311/2011, pubblicata il 22 settembre 2011, nel giudizio rubricato al n. 2848/2005 R.G. e non sulla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, n. 3050/2011 pubblicata il 14 ottobre 2011, nel giudizio rubricato al n. 8271/2007 R.G., impugnata con l’atto d’appello dalla sig.ra COGNOME. Sarebbe, invero, pacifico, secondo la prospettazione della ricorrente, che l’appello proposto dall’odierna ricorrente sig.ra COGNOME NOME riguardi la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, n. 3050/2011 pubblicata il 14 ottobre 2011, emessa nel giudizio rubricato al n. 8271/2007 R.G., laddove, invece, con violazione del principio tra chiesto e pronunciato, la Corte d ‘ Appello di Napoli avrebbe dichiarato di pronunciarsi in ordine alla sentenza del Tribunale di Napoli, ottava sezione civile, n. 10311/2011, pubblicata il 22 settembre 2011, nel giudizio rubricato al n. 2848/2005 R.G.. In ciò, evidentemente, si concreterebbe il vizio di ultra o extra petizione ex art. 112 c.p.c., che ricorre quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato). La Corte d ‘ Appello di Napoli avrebbe pertanto violato le norme che regolano i principi fondamentali del processo civile, fra i quali
va compreso quello della corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..
3.- I predetti motiv i, senz’altro suscettibili di essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Se è certamente vero, infatti, che, nella parte epigrafica della sentenza impugnata, è contenuto un errore materiale relativo alla sentenza appellata, all’ ufficio giudiziario emittente e al numero di ruolo della causa di primo grado – giacché si fa riferimento non già alla sentenza n. 3050/2011 pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE), bensì alla sentenza n. 10311/2011 del Tribunale di Napoli – risulta nondimeno altrettanto innegabile come la sentenza impugnata, sia nella parte relativa allo svolgimento del processo, che nella motivazione, intendesse riferirsi alla sentenza effettivamente investita dall’appello dei germani RAGIONE_SOCIALE. Ne sono chiara dimostrazione sia le conclusioni relative all’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, riportate mediante apposito virgolettato a pag. 2 e che risultano pienamente conformi a quelle trascritte anche nelle pagg. 4 – 5 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, sia quanto evidenziato dalla corte territoriale a pag. 4 della sentenza impugnata, laddove viene chiarito com e l’atto di appello notificato dai germani COGNOME risultasse finalizzato a « veder riformata la sentenza n. 3050/11 del Tribunale di S. Maria Capua Vetere. ».
Infine, anche la lettura e disamina della motivazione della sentenza impugnata (cfr., all’uopo, le pagg. 5 e 6 di quest’ultima) permettono di acclarare l’esistenza di plurimi riferimenti alla vicenda fattuale esaminata dalla sentenza pronunciata in primo grado.
Ne deriva, con tutta evidenza, la radicale insussistenza dei vizi lamentati dalla ricorrente mediante i primi due motivi di censura.
3.- Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, in quanto contenente una motivazione apparente, ovvero perplessa ed obiettivamente incomprensibile, con violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118, commi 1 e 2, disp. att. c.p.c.. Ciò, in quanto la motivazione della sentenza consisterebbe « di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice, inibendo l’effettivo controllo
sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento seguito che ha condotto ad affermare il diritto della società appellata alla restituzione della somma di €. 105.623,40 da parte della sig.ra NOME COGNOME. » (cfr., all’uopo, la pag. 12 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
In particolare, la ricorrente deduce che la sentenza d ‘ appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che la documentazione su cui la società intimata ha fondato la propria domanda di condanna nei confronti della ricorrente non risultava essere stata prodotta in primo grado, né tanto meno esaminata dal giudice di prime cure, né infine da questi posta a base della sentenza con cui era stata riconosciuta la parziale fondatezza della pretesa creditoria.
In altri termini, la sentenza d’appello avrebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, « confermato, motivando “per relationem”, la suindicata decisione del giudice di prime cure, per un verso senza dar conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte … e, per un altro, omettendo, al pari di questa, di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione nonché di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta. » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alle pagg. 20 – 21).
Inoltre, la ricorrente sostiene che, nella sentenza impugnata, sarebbero mancati « sia l’individuazione della norma generale ed astratta regolatrice della fattispecie giudicata avendo riguardo agli schemi astratti dei fatti costitutivi in essa previsti (c.d. interpretazione della norma o giudizio di diritto), sia il riscontro che nel caso concreto si sono verificati i fatti costitutivi previsti in astratto dalla norma e affermati in concreto nella domanda (c.d. giudizio di fatto). » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 21).
In definitiva, la sentenza impugnata avrebbe violato gli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4), c.p.c., omettendo di « esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito dai Giudici dell’appello per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove essi hanno fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni sono pervenuti alla propria determinazione di confermare la condanna della sig.ra NOME COGNOME al pagamento della somma di
€.105.623,40 in favore della società appellata respingendo l’appello da questa promosso » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 22).
4.- La censura è infondata.
Ed invero, con essa la ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente lamentandone l’ apparenza, l’incomprensibilità e l’ insufficienza.
Nondimeno, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » .
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Tale sindacato, dunque, risulta oggi suscettibile di essere ammesso esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. (come, peraltro, richiesto dalla ricorrente) e, quindi, in termini di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., che, del resto, prescrivendo la necessità della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, si salda con il precetto costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost.. Tuttavia, come già detto, esso resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del cd. « minimo costituzionale » richiesto dalla disposizione costituzionale menzionata, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., in tal senso, la già citata Cass., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01).
Nel caso di specie, alcuna delle gravi anomalie motivazionali sopra indicate risulta ravvisabile , perché la Corte d’Appello ha congruamente motivato in relazione alle ragioni che avevano fondato il convincimento del giudice di prime cure, nonché con riguardo a quelle che le impedivano, in termini di valutazione probatoria, la disamina della documentazione prodotta nell’ambito del giudizio di primo grado .
In tal senso, dunque, la sentenza d’appello risulta, sia pur sinteticamente, dare conto delle ragioni relative all’infondatezza dei motivi di impugnazione, sicché dalla lettura di essa si ricava senz’altro un percorso argomentativo esaustivo e coerente, scevro da vizi risultanti dal testo della pronuncia medesima.
5.- Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1813 e 2697 c.c..
Si censura la sentenza impugnata laddove essa ha ritenuto parzialmente fondata la domanda di restituzione della somma di €.105.623,40 (euro centocinquemilaseicentoventitre/40), a prescindere dalla prova degli elementi costitutivi della pretesa creditoria.
Sostiene la ricorrente, al riguardo, che non vi sarebbe alcuna prova né traccia che il materiale probatorio al quale si riferisce la sentenza impugnata sia mai stato effettivamente prodotto nel giudizio di primo grado. Inoltre, neppure corrisponderebbe al reale svolgimento del giudizio di secondo grado, « l’affermazione della Corte territoriale secondo cui nessuna delle parti avrebbe chiesto la ricostruzione del fascicolo di primo grado della società intimata di I grado, tant’è che con ordinanza emessa fuori udienza e depositata in cancelleria il 28 gennaio 2013, la stessa Corte di Appello di Napoli ha rigettato la richiesta degli appellanti di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata e autorizzato la ricostruzione dei fascicoli di parte eventualmente smarriti » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alle pagg. 24 – 25).
Infine, sempre alla stregua della prospettazione della ricorrente, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, alcuno specifico riferimento avrebbe fatto il giudice di prime cure alla documentazione asseritamente prodotta, in primo grado, dalla società odierna intimata a sostegno della propria domanda, documentazione che, evidentemente, non era stata esaminata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE).
In definitiva, con la censura di cui si tratta, la ricorrente ribadisce che la documentazione su cui la società intimata ha fondato la propria domanda restitutoria non risultava essere stata prodotta in primo grado, né tanto meno esaminata dal giudice di prime cure, né infine da questi posta a base della sentenza con cui era stata riconosciuta la parziale
fondatezza della pretesa azionata mediante la proposizione della domanda giudiziale.
Peraltro, la ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo altresì la sua erroneità nella parte in cui la stessa ha ritenuto dimostrato l’assunto della società attrice ed odierna intimata , relativo alla consegna delle somme date a mutuo in favore dei germani COGNOME, nonché nella parte in cui essa non avrebbe preso in considerazione le risposte fornite dalla ricorrente sig.ra COGNOME NOME in sede di interrogatorio formale.
6.- Tale censura presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
Ed invero, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere comprovata la conclusione di un contratto di mutuo, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione
alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
A ciò aggiungasi come, nelle pagg. 5 – 6, la sentenza impugnata abbia espressamente chiarito come il convincimento del giudice di prime cure si fosse formato « principalmente attraverso l’esame della documentazione prodotta dalla società attrice rafforzandosi poi con le risultanze dell’interrogatorio formale. E le argomentazioni – sia pur succinte – della sentenza in esame chiariscono su quali basi la pronuncia è stata resa tanto da essere poi impugnata per quanto attiene proprio alla valutazione della documentazione probatoria fornita in prime cure. ».
Infine, circa la doglianza secondo la quale la documentazione su cui la società intimata ha fondato la propria domanda restitutoria non risulterebbe essere stata prodotta in primo grado, né tanto meno esaminata dal giudice di prime cure, né infine da questi posta a base della sentenza con cui era stata riconosciuta la parziale fondatezza della pretesa azionata mediante la proposizione della domanda giudiziale, non può non rilevarsi come essa non risulti essere stata proposta, in questi termini, nell’ambito del giudizio d’appello e sia quindi da considerarsi tardiva.
Invero, sia dalla sentenza impugnata, che dal ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità emerge, in maniera alquanto evidente, come attraverso il primo motivo d’appello, i germani COGNOME avessero censurato la sentenza di primo grado sotto il profilo della valutazione probatoria relativa alla documentazione prodotta in giudizio e, dunque, senza lamentare espressamente la radicale assenza di quest’ultima nell’ambito de l fascicolo della parte attrice.
Ne deriva, pertanto, la novità – e conseguente inammissibilità -del profilo di doglianza di cui si tratta.
Del resto, questa Corte non ha mancato di chiarire che « I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 907 del 17 gennaio 2018, Rv. 647127-02; cfr., altresì, Cass., Sez. 3, sentenza n. 9936 del 28 luglio 2000, Rv. 538898-01, secondo cui « I motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità situazioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame con l’atto di appello e siano quindi comprese nel tema del decidere del giudizio di secondo grado, quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti. »).
Si è precisato che « I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove, o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio. Qualora la questione sia stata già proposta, sia in primo grado che in appello, ed il giudice di merito non si sia pronunciato su di essa, essa può essere fatta valere non sotto il profilo della violazione di legge, ma solo come violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., cioè sotto il profilo della omessa corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. » (Cass., Sez. 3, sentenza n. 8247 del 24 maggio 2003, Rv. 563535-01) e che, in tal caso, onde evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura, il ricorrente che lamenti l’omessa pronuncia su una domanda (o su un motivo d’appello) , deve indicare in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l’abbia proposta dinanzi al giudice di merito (cfr., in tal senso, Cass., Sez. sentenza n. 7194 del 30 maggio 2000, Rv. 537054-01).
7.- Con il quinto (ed ultimo) motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’omess o esame di più fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Deduce, infatti, che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare le circostanze rappresentate da ll’avvenuta prosecuzione in forma societaria della comunione instauratasi tra gli eredi COGNOME e nella quale era confluito il patrimonio aziendale dell’impresa esercitata dal de cuius
sig. COGNOME NOME , nonché dalla cessione delle quote sociali da ll’odierna ricorrente COGNOME NOME all’intimata COGNOME NOMENOME chiamata in causa nel giudizio di primo grado.
Evidenzia, infatti, di aver dedotto tali elementi circostanziali fin dal giudizio di primo grado, quali fatti estintivi della pretesa creditoria della società RAGIONE_SOCIALE, derivanti, rispettivamente dalla « “confusione patrimoniale” tra il debito restitutorio oggetto di giudizio e il patrimonio della società, per essere quest’ultima la “continuazione” , sotto altra veste giuridica, della comunione ereditaria tra i germani COGNOME del defunto sig. NOME COGNOME » e dalla « novazione soggettiva dell’obbligazione restitutoria per effetto e in conseguenza della cessione delle quote sociali, in cui l’obbligazione era da ritenersi incorporata, in favore della sig.ra NOME COGNOME » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 31).
Sostiene di aver prodotto , a sostegno di tali assunti, sia nell’ambito del giudizio di primo grado che in appello, una serie di documenti, specificamente indicati nelle pagg. 32-33 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità. Da tali documenti sarebbe possibile, secondo la prospettazione della ricorrente, evincere che « la comunione ereditaria venutasi a creare tra i germani NOME dopo la morte del compianto padre NOME, aveva ad oggetto il patrimonio aziendale della ditta individuale ‘COGNOME NOME‘, dapprima transitato appunto nella comunione ereditaria e poi interamente confluito nella società istante … Dunque i ‘debiti’ sorti anteriormente alla costituzione della società e per la sua costituzione, come quelli asseritamente sorti in capo ai comunisti, e per quanto qui interessa alla sig.ra NOME COGNOME, per il pagamento delle imposte successorie funzionali al conseguimento del patrimonio sociale, sono confluiti nel patrimonio sociale della società istante, che peraltro, proprio secondo la narrazione di parte avversaria (v. pag. 1 e s. atto di citazione in primo grado) li ha assunti su di sé e fatti propri provvedendo direttamente al loro pagamento. Poiché, poi, com’è noto, le quote di partecipazione sociale rappresentano una frazione del patrimonio sociale (costituito da attività e passività) suscettibile di circolazione è di tutta evidenza che quand’anch e non ritenuto estinto il debito in parola esso avrebbe dovuto comunque essere considerato proporzionalmente incorporato nelle quote sociali, tra la altre, della sig.ra NOME COGNOME e,
con esse, per effetto della loro cessione, transitato in capo all’acquirente NOME COGNOME. » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 35).
Tuttavia, dopo che il giudice di prime cure aveva escluso che la cessione delle quote in favore della sig.ra COGNOME NOME comportasse, in assenza di specifica pattuizione, un accollo dei debiti personali della ricorrente, quali quelli che quest’ultima aveva nei confronti della società intimata, la corte di merito ha posto a base della sentenza impugnata l’impossibilità di riesaminare i suddetti documenti prodotti in primo grado, in ragione della loro mancata produzione in appello, così finendo con omettere totalmente di esaminare i fatti rappresentati da tali documenti, decisivi per escludere la sussistenza dell’obbligazione restitutoria a carico della ricorrente medesima.
8.- La censura presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
Anzitutto, come più volte chiarito da questa Corte, deve, ancora una volta ribadirsi che « Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 5947 del 28 febbraio 2023, Rv. 667202-01).
Nella specie, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente a pag. 35 del ricorso, le ragioni addotte dalla sentenza impugnata a sostegno del rigetto dell’appello non possono considerarsi differenti da quelle sviluppate dal giudice di prime cure, giacché la Corte territoriale ha evidenziato espressamente di non poter procedere ad una nuova valutazione della documentazione indicata dall’odierna ricorrente in ragione del fatto che gli appellanti (tra cui la ricorrente medesima) non avevano provveduto a produrre in giudizio la documentazione prodotta in primo grado dalla controparte a sostegno della pretesa creditoria azionata da quest’ultima e che il motivo di gravame presupponeva « sia pur in una prospettiva inversa – la cognizione da parte del Collegio della documentazione esaminata dal giudice di prime cure che in questa sede non è stata prodotta. La sentenza censurata ha accolto la domanda della società fondando la soluzione sulla valutazione di documentazione probatoria, pertanto la riforma della stessa
postula la rinnovata valutazione in questo grado di appello della medesima documentazione anche al solo fine di scardinarne la valenza sotto il profilo logico e argomentativo e, quindi, anche al solo fine di escluderne la utilità o per trarne diversi elementi di decisione (anche in senso divergente) per giungere a soluzioni motivazionali opposte .» (cfr., al riguardo, la sentenza impugnata, alle pagg. 8-9).
Tale conclusione risulta, peraltro, pienamente in linea con il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, secondo cui « Nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non ha ad oggetto un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (“novum judicium”), ma assume le caratteristiche di una “revisio prioris instantia”, cosicché l’appellante ha sempre la veste di attore rispetto al giudizio instaurato e con essa l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale assunta nel giudizio di primo grado, e ove si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 40606 del 17 dicembre 2021, Rv. 663229-01).
Del resto, non va trascurato il principio secondo cui « Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. » (Cass., Sez. 2, ordinanza n. 7724 del 9 marzo 2022, Rv. 664193-01).
Da ultimo, quanto alla doglianza attinente alla mancata disamina del fatto rappresentato dall’avvenuta cessione delle quote sociali in favore dell ‘odierna intimata COGNOME NOME (chiamata in causa nel giudizio di primo grado), non è chi non veda come la censura non si confronti con la sentenza impugnata, la quale ha espressamente chiarito che gli appellanti non avevano provveduto a riproporre, nel giudizio di secondo grado, la domanda di manleva già avanzata nei confronti della suddetta intimata,
cosicché, in assenza di tale riproposizione, la relativa questione doveva ritenersi abbandonata, essendosi formato il giudicato interno su di essa.
E ciò, non senza considerare come, del resto, sia la stessa ricorrente ad aver ammesso che il giudice di prime cure aveva escluso che la cessione delle quote in favore della sig.ra COGNOME NOME comportasse, in assenza di specifica pattuizione, un accollo dei debiti personali della ricorrente, quali quelli che quest’ultima aveva nei confronti de lla società intimata (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, a pag. 35).
9.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere respinto.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto alcuna attività difensiva.
10. – Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione