Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7097 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7097 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26694/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, t itolare della impresa individuale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
Avverso la sentenza del Tribunale di Padova n. 598/2021 depositata in data 31/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato in fatto che
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto n.622/2019 che gli ingiungeva di pagare ad RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) la somma di euro 2.820,67, per canoni insoluti (degli anni 2007/2008, 2008/2009 e 2009/2010 (euro 2697,00) relativi al contratto di Abbonamento pay-tv per la visione via satellite di un pacchetto di canali per adulti (TARGA_VEICOLO, con codifica TARGA_VEICOLO), per la penale per la mancata restituzione della Smart-Card (euro 100,00) e per rimborso di spese postali (euro 23,67);
a tal fine adduceva l’estinzione del credito per intervenuta prescrizione, l’inesistenza del credito, la nullità/inefficacia della clausola di tacito rinnovo del contratto, l’erronea quantificazione del credito;
l’opposta domandava il rigetto dell’opposizione oppure il riconoscimento della differente minor somma dovuta in ragione del suddetto contratto di abbonamento, da accertarsi in corso di causa e, in via riconvenzionale, il pagamento della ulteriore somma di euro 300,00 (a forfait ), per rifusione delle spese extragiudiziali di recupero del credito ed a titolo di risarcimento del danno ex art.96 cod.proc.civ.;
il Giudice di Pace di Padova, con la sentenza n.1295 del 25.10.2019, rigettava l’opposizione e disattendeva la domanda riconvenzionale, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo e regolava le spese di lite;
NOME COGNOME impugnava, dinanzi al Tribunale di Parma, la decisione del Giudice di Pace, confutando la ritenuta validità della clausola di rinnovo tacito del contratto, la statuizione sulla durata del rinnovo contrattuale nonché la valutazione della effettiva fruizione del servizio nel triennio;
il Tribunale ha accolto l’appello ed ha revocato il decreto ingiuntivo;
avverso detta decisione ricorre per cassazione NOME COGNOME, titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, formulando due motivi;
resiste con controricorso NOME COGNOME;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.;
Considerato in diritto che
1) con il primo motivo, rubricato ‘ Error in iudicando in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli articoli 115, comma 1, c.p.c., 165, comma 1, c.p.c., 166 c.p.c., 347, comma 1, c.p.c., 359 c.p.c.; dell’articolo 2697 cod. civ.; e dei principi del giusto processo ex articolo 111 Cost.’, viene attinta da censura la statuizione con cui il Tribunale ha ritenuto che il mancato deposito del fascicolo di parte relativo al giudizio di primo grado, essendo esclusa la trasmissione d’ufficio al secondo giudice, unitamente al fascicolo d’ufficio, anche dei fascicoli di parte, abbia impedito l’esame del contratto di abbonamento al fine di verificare se esso prevedesse la possibilità di un tacito rinnovo in maniera chiara e distinta rispetto alla previsione della durata contrattuale e se la clausola sul tacito rinnovo fosse stata specificamente sottoscritta secondo modalità in grado di assicurare l’adeguata attenzione da parte del contraente debole;
la tesi sostenuta è che il giudice a quo abbia erroneamente applicato alla fattispecie per cui è causa il principio di diritto di cui a
Cass. n. 8528 del 12/04/2006 e che l’abbia gravata di un onere che spettava all’appellante soddisfare;
con il secondo motivo, rubricato ‘ Nullità della sentenza, per motivazione illogica e contraddittoria. Violazione e falsa applicazione degli articoli 132 cpc, 118 disp. att. cpc; violazione dei principi del giusto processo ex articolo 111 Cost.’, parte ricorrente critica la statuizione con cui il giudice a quo ha accolto la difesa dell’appellante in ordine all’inadeguatezza del richiamo cumulativo di clausole ed all’adeguatezza in concreto del meccanismo del ‘non rifiuto’ ad assicurare le finalità di cui all’art. 1341 cod. civ.;
secondo parte ricorrente, il Tribunale, in modo illogico ed incongruente, dopo aver ritenuto impossibile esaminare il contratto di abbonamento sottoscritto dall’appellante, ha accolto le deduzioni di quest’ultimo quanto all’asserita nullità del contratto di abbonamento per il richiamo a clausole di contenuto ‘misto’ ed ha escluso di poter esaminare se, invece, fosse conforme all’art. 1341 cod. civ. (o meno) il c.d. meccanismo del ‘non rifiuto’ mediante l’informativa al contraente della facoltà di accettare, ovvero di rifiutare, taluna delle clausole stampigliate sul retro dello stesso modulo;
i motivi che possono essere oggetto di uno scrutinio congiunto sono entrambi fondati;
il Tribunale è incorso in un errore di sussunzione, allorché ha ritenuto che spettasse all’appellato depositare il fascicolo di parte relativo al giudizio di primo grado al fine di dimostrare i suoi assunti e che, in conseguenza del mancato deposito del fascicolo di parte di primo grado contenente il contratto di abbonamento da parte dell’appellato, l’appello meritasse accoglimento;
infatti, ha in tutta evidenza violato e falsamente applicato i principi enunciati nelle sentenze delle Sezioni unite n. 28498 del
23/12/2005 e n. 3033 dell’8/2/ 2013, di recente confermati dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 4835 del 16/02/2023;
segnatamente, il Tribunale ha erroneamente accolto le censure formulate dalla parte soccombente nel giudizio di prime cure, le quali imponevano comunque il riesame dei documenti posti a fondamento della decisione del Giudice di Pace e non ha considerato che i fatti storici dimostrati dai documenti prodotti in primo grado ed acquisiti come fonti di conoscenza erano stati apprezzati nella pronuncia impugnata, la cui presunzione di legittimità non poteva dirsi superata dalla mancata allegazione del fascicolo della parte appellata che li conteneva; così facendo il giudice a quo non ha adempiuto al suo dovere di ricomporre altrimenti il contenuto della rappresentazione dei fatti già stabilmente acquisita al processo, sulla base di quanto comunque risultava dal provvedimento o dagli atti del processo;
a tale conclusione si perviene in applicazione dei principi di diritto più volte enunciati da questa Corte che devono essere in questa sede ribaditi:
la sentenza n. 28498/2005 ha affermato che, essendo l’appellante tenuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata, il cui riesame è chiesto per ottenere la riforma del capo decisorio appellato, l’appello da lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma sostitutiva dei capi di sentenza appellati, ‘quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale”; dovendosi conciliare tale interpretazione con la disciplina che regola il ritiro del fascicolo di parte e con il principio di “acquisizione” delle prove, le Sezioni Unite hanno raccomandato di non intendere “con eccessiva larghezza” la facoltà offerta dagli artt. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c., in quanto “la mancata restituzione del fascicolo, in violazione dei doveri di lealtà e di
probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., potrebbe porre la controparte nell’impossibilità di fornire quelle prove che in precedenza, alla stregua delle risultanze desumibili dal fascicolo avversario, dovevano ritenersi superflue”. Ciò giustificherebbe la “imposizione, a carico della parte che nel corso del processo chieda il ritiro del proprio fascicolo, dell’onere di depositare copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti”, così da “far salva la piena attuazione del principio di acquisizione delle prove”;
la sentenza n. 3033/2013 ha ritenuto anche per “ragioni di continuità dell’applicazione giurisprudenziale e di affidabilità della funzione nomofilattica”, di mantenere fermo il principio enunciato nella sentenza n. 28498 del 2005, alla luce altresì della fisionomia del giudizio di appello risultante dal sopravvenuto intervento riformatore operato da D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella l. n. 134 del 2012; costituendo il processo d’appello “una seconda e solo eventuale fase “del giudizio di merito, il ruolo dell’appellante è quello di “parte processualmente attrice (quale che sia stata la sua posizione nel giudizio di primo grado, che l’ha vista totalmente o parzialmente soccombente)”, perciò tenuta “ad approntare ogni mezzo processuale posto a sua disposizione dall’ordinamento (così, dunque e segnatamente, ad avvalersi della facoltà prevista dall’art. 76 disp. att. c.p.c. di ottenere dalla cancelleria copia dei documenti prodotti dalle altre parti) ed indipendentemente dalla, più o meno prevedibile, condotta processuale della controparte, al fine di dimostrare l’ingiustizia o l’invalidità della sentenza impugnata”; se quindi, “l’appellante assuma che l’errore del primo giudice si annidi nell’interpretazione o valutazione di un documento, il cui preciso contenuto testuale non risulti dalla sentenza impugnata, ovvero, pacificamente, dagli atti delle parti”, è suo onere “metterlo a disposizione del giudice di appello, perché possa procedere al richiesto riesame anche nei casi in cui lo stesso sia stato in
precedenza prodotto dalla controparte, risultata vincitrice in primo grado”; trovano così applicazione i criteri di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., “ma non nella tradizionale ottica sostanziale, bensì sotto il profilo processuale, in virtù del quale è l’appellante, in quanto attore nell’invocata revisio , a dover dimostrare il fondamento della propria domanda, deducente l’ingiustizia o invalidità della decisione assunta dal primo giudice, onde superare la presunzione di legittimità che l’assiste”;
sempre detta pronuncia ha precisato che, quando si assume che la prova, una volta entrata nel processo, vi permane e può essere utilizzata anche dalla parte diversa da quella che l’ha prodotta, il principio cosiddetto “di immanenza della prova” va inteso con riferimento non al documento materialmente incorporante la prova, bensì all’efficacia spiegata dal mezzo istruttorio, virtualmente a disposizione di ciascuna delle parti, delle quali, tuttavia, quella che ne invochi una diversa valutazione da parte del giudice del grado successivo non è esonerata dall’attivarsi perché lo stesso possa concretamente procedere a richiesto riesame; con la conseguenza che per quanto riguarda le prove documentali, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorché non materialmente più presenti in atti, continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice, la cui presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante; questi, rimasto inerte, pur disponendo di un adeguato mezzo processuale (la richiesta di cui all’art. 76 disp. att. c.p.c.) per prevenire la sopra esposta situazione di carenza documentale, deve, pertanto, considerarsi soccombente, in virtù del principio actore non probante, reus absolvitur ;
la recente pronuncia n. 16/02/2023, n.4835 ha confermato detti principi e, per quanto è rilevante in questa sede, ha ribadito e rafforzato il principio di acquisizione delle prove documentali e degli
strumenti, che già le precedenti pronunce contemplavano, idonei a consentire al giudice d’appello la ricostruzione della portata dimostrativa di tali prove in funzione di una concezione del processo che “fa leva sul valore della giustizia della decisione (Cass. Sez. Unite, 7 maggio 2013, n. 10531 )’, ribadendo che la valenza probatoria del documento esibito (ovvero la sua natura di fonte di conoscenza per il giudice e di fissazione formale della verità legale circa l’esistenza o l’inesistenza dei fatti controversi) non si esaurisce nel singolo grado di giudizio e non può dipendere dalle successive scelte processuali della parte che lo abbia inizialmente prodotto; il fatto storico rappresentato dal documento prodotto si ha per dimostrato, essendo stato ultimato il procedimento strumentale che assicura l’acquisizione processuale della fonte di conoscenza;
ne conseguono l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova, in persona di diverso Magistrato appartenente al medesimo Ufficio giudiziario, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Padova, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 21/12/2023 dalla Terza