Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16633 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16633 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26908/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore unico p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 536/22, depositata il 23 settembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice dei lavori per l’adeguamento funzionale dell’impianto di depurazione sito in località San Leonardo di Cutro, convenne in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, subappaltatrice dei medesimi lavori, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 202/11, con cui il Tribunale di Matera le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 136.953,84, a titolo di saldo dell’importo delle fatture n. 210 del 18 settembre 2009 e n. 173 del 31 ottobre 2010.
A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì la violazione della disciplina dei pagamenti e la non corretta esecuzione dei lavori, nonché il mancato completamento degli stessi.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo che la fattura n. 210 era stata parzialmente pagata, e precisando di vantare un residuo credito di Euro 60.653,84, comprovato dal IV stato di avanzamento dei lavori e da un verbale di accertamento del 21 ottobre 2010; aggiunse di avere nel frattempo eseguito altri lavori, non ancora contabilizzati, per il cui corrispettivo, unitamente allo svincolo delle ritenute, si riservò di agire separatamente.
1.1. Con sentenza del 10 novembre 2015, il Tribunale di Matera accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, rilevando che l’opposta non aveva prodotto il fascicolo del procedimento monitorio.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Potenza con sentenza del 23 settembre 2022.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che, nonostante l’avvenuta produzione del fascicolo del procedimento monitorio, ammissibile anche in sede di gravame, non fosse stata fornita la prova del credito azionato. Precisato infatti che l’oggetto del giudizio consisteva nel verificare se il IV SAL avesse fatto sorgere un credito ulteriore rispetto agl’importi già liquidati al 15 dicembre 2009, ha rilevato che le fatture nn. 210 e 173 non facevano alcun riferimento al verbale di accertamento del 21 ottobre 2010, aggiungendo che ulteriori pagamenti avrebbero potuto essere richiesti soltanto a seguito dell’emissione di un altro SAL. Precisato infatti che, ai sensi dell’art. 5 del contratto
stipulato tra le parti, i pagamenti dovevano aver luogo a fronte dell’emissione dei SAL, a seguito dei quali dovevano essere emessi degli stati di avanzamento interni (SIL), ha rilevato che il IV SAL era stato seguito dal SIL al 19 luglio 2010, il quale comprendeva i lavori in esso contabilizzati, con la conseguenza che, essendo pacifico l’avvenuto pagamento di tutti i SIL intermedi, null’altro era dovuto alla subappaltatrice, salvi gli ulteriori lavori. Ha osservato comunque che il verbale di accertamento del 21 ottobre 2010, redatto al fine di dirimere il contenzioso tra le parti, oltre a non costituire documento utile ai fini della contabilità dei lavori, non attestava affatto l’avvenuto completamento delle opere, recando anzi l’espressa indicazione dei lavori ancora da eseguire.
Avverso la predetta sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La Lista RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di valutare il contratto di subappalto, il verbale di accertamento del 21 ottobre 2010 ed il IV SAL, dal cui confronto sarebbe emersa la realizzazione di tutti i lavori ad essa commissionati. Afferma in proposito l’irrilevanza della mancata emissione di un altro SIL da parte dell’appaltatrice, osservando che gli organi del Comune avevano contabilizzato tutti i lavori eseguiti nel IV SAL, avente ad oggetto le opere realizzate fino al 15 ottobre 2009.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è infatti deducibile in sede di legittimità soltanto ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o comunque una risultanza probatoria, non abbia operato, in assenza di diversa indicazione normativa, secondo il suo prudente apprezzamento, ma abbia preteso di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola
di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento, la censura è proponibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nei ristretti limiti in cui tale articolo, così come riformulato dall’art. 54, primo comma, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. V, 9/06/2021, n. 16016; Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092). Tale disposizione, com’è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento un vizio specifico riguardante la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito, e consistente nell’omesso esame di un fatto la cui esistenza risulti dal testo della sentenza impugnata o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. III, 11/04/2017, n. 9253; Cass., Sez. VI, 27/11/2014, n. 25216). Dovendo trattarsi di un fatto storico, principale o secondario, ovverosia di un preciso accadimento o una circostanza in senso storico-naturalistico, il predetto vizio non può risolversi nel mero fraintendimento di elementi istruttori (cfr. Cass., Sez. II, 31/03/2022, n. 10525; 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. I, 16/03/2022, n. 8584), la cui omessa o inadeguata valutazione, a meno che non si sia tradotta nella pretermissione di un fatto (cfr. Cass., Sez. III, 26/06/2018, n. 16812; Cass., Sez. VI, 28/09/2016, n. 19150; Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n. 11863), resta censurabile soltanto nei ristretti limiti risultanti dall’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., ovverosia per carenza di motivazione, configurabile esclusivamente in caso d’inesistenza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, mera apparenza, perplessità, incomprensibilità o grave contraddittorietà della motivazione, tale da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, con la conseguente irrilevanza della semplice insufficienza della motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 3/03/2022, n. 7090; Cass., Sez. VI, 25/09/ 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940).
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza
impugnata per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte territoriale non ha tenuto conto dell’art. 2 del contratto di subappalto, da cui risultava che i lavori indicati come non eseguiti dal verbale di accertamento del 21 ottobre 2020 erano a carico dell’appaltatrice.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La questione in esame, asseritamente sollevata in sede di gravame, non risulta infatti trattata nella sentenza impugnata, e non può quindi trovare ingresso in questa sede, implicando l’interpretazione del contratto di subappalto, che integra un’indagine di fatto, volta a ricostruire la comune intenzione delle parti, e non avendo la ricorrente precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di appello l’abbia proposta (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430).
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., ribadendo di aver fornito la prova documentale della corretta esecuzione dei lavori previsti dal contratto di subappalto, contabilizzati dal direttore dei lavori nel IV SAL. Aggiunge che l’opponente non aveva mai eccepito l’inadempimento di essa subappaltatrice, essendosi il giudizio incentrato sull’accertamento dell’obbligo di corrispondere il residuo dovuto sull’importo della fattura n. 210, già parzialmente pagata, e quello della fattura n. 173, recante l’espresso riferimento al IV SAL.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In quanto imperniata sull’avvenuta dimostrazione della corretta esecuzione dei lavori commissionati, la censura non attinge infatti la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, ai fini del rigetto della domanda di pagamento del corrispettivo, non ha affatto escluso che la subappaltatrice avesse adempiuto la propria prestazione, ma ha affermato che i lavori contabilizzati nel IV SAL erano stati interamente pagati, essendo stato emesso il relativo SIL, mentre ulteriori lavori (eseguiti o da eseguirsi, non essendo stata ancora completata l’opera commissionata) avrebbero dovuto essere contabilizzati con altro SAL.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è d’altronde deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia posto l’onere della prova a carico di una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia compiuto delle prove proposte dalle parti (cfr. Cass., Sez. V, 15/10/2024, n. 26739; Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092; Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9/01/2025