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Onere della prova: il locatore deve provare il canone

La Corte di Cassazione interviene su un caso di locazione commerciale, stabilendo che l’onere della prova sull’ammontare del canone grava sempre sul locatore. Le sole fatture, anche se non contestate stragiudizialmente dal conduttore, non sono sufficienti a dimostrare un accordo per un canone superiore a quello pattuito nel contratto. La Corte ha dichiarato il ricorso improcedibile, ma ha colto l’occasione per ribadire questo fondamentale principio in tema di prova del credito.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova: Il Locatore Deve Dimostrare l’Ammontare del Canone

Nel contesto dei contratti di locazione, la determinazione del canone è un elemento centrale. Ma cosa succede se il locatore pretende somme superiori a quelle originariamente pattuite, basandosi solo su delle fatture? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sull’onere della prova che grava sul locatore, stabilendo principi chiari e a tutela del conduttore.

I Fatti del Caso: Una Locazione Commerciale e Canoni non Pagati

La vicenda ha origine da una locazione commerciale stipulata nel lontano 1989. Nel 2018, la società locatrice otteneva un decreto ingiuntivo contro il conduttore per una somma considerevole, a titolo di canoni non pagati dal 2009 al 2013. Il conduttore si opponeva, contestando l’esistenza stessa del credito.

Durante il giudizio, il conduttore decedeva e la causa veniva proseguita dai suoi eredi. Il Tribunale di primo grado dava ragione alla società locatrice, ma la Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione. Secondo i giudici d’appello, il locatore non aveva fornito alcuna prova che giustificasse la richiesta di un canone maggiore rispetto a quello iniziale. Le uniche prove prodotte erano fatture, considerate atti di parte e prive di valore probatorio diretto. Contro questa sentenza, gli eredi della società locatrice (nel frattempo cancellata) hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso improcedibile per una ragione formale: i ricorrenti non avevano depositato una copia autentica della sentenza impugnata, come richiesto dalla legge. Tuttavia, la Corte ha voluto comunque esaminare il merito della questione, specificando che, anche se il ricorso fosse stato procedibile, sarebbe stato comunque ritenuto inammissibile e infondato.

L’Onere della Prova sul Canone di Locazione

Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione di un principio cardine del nostro ordinamento: l’onere della prova. La Corte ha confermato la correttezza della decisione d’appello, sottolineando come spettasse esclusivamente al locatore dimostrare la fonte (contrattuale o legale) del suo diritto a percepire un canone maggiorato.

I giudici hanno chiarito che le fatture, essendo documenti creati unilateralmente dal creditore, non possono, da sole, provare l’esistenza e l’ammontare del credito. Esse non dimostrano un accordo tra le parti per modificare il canone originario.

Il Silenzio del Conduttore non Equivale ad Accettazione

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la condotta del conduttore. I ricorrenti sostenevano che il mancato reclamo immediato alla ricezione delle fatture e persino il pagamento di alcune di esse dovesse essere interpretato come una tacita accettazione dell’importo richiesto.

La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi. Il silenzio o l’inerzia mantenuti prima del processo non costituiscono un’accettazione tacita. Allo stesso modo, il pagamento di alcuni importi non preclude al conduttore la possibilità di contestare la debenza di tali somme in un successivo giudizio. In sostanza, il conduttore non perde il suo diritto di contestazione solo perché non ha reagito immediatamente alle richieste del locatore.

le motivazioni

La Corte Suprema ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente valutato l’insufficienza delle prove documentali presentate dai locatori. La critica mossa dai ricorrenti, secondo la Cassazione, si riduceva a una mera richiesta di riconsiderare i fatti e le prove, proponendo un’interpretazione probabilistica (basata su presunzioni) che il giudice di merito aveva motivatamente escluso. Il giudice non ha negato il valore dei fatti (invio fatture), ma ha negato che da essi si potesse desumere l’esistenza di un accordo per l’aumento del canone.

La violazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile è stata ritenuta infondata, poiché la valutazione delle prove è un’attività tipica del giudice di merito, sindacabile in Cassazione solo per vizi specifici e non per una generale rivalutazione della quaestio facti (la questione di fatto).

le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti implicazioni pratiche. Per i locatori, emerge la necessità di formalizzare sempre per iscritto qualsiasi modifica del canone di locazione. Non è prudente fare affidamento su comportamenti taciti o sull’invio di fatture per importi maggiorati, poiché in caso di contenzioso, l’onere di provare l’accordo ricadrà interamente su di loro. Per i conduttori, la sentenza rappresenta una garanzia: il pagamento di una fattura o la mancata contestazione immediata non sana un’eventuale richiesta illegittima, e il diritto di contestare la debenza delle somme rimane integro fino all’instaurazione di un giudizio.

Chi deve provare l’importo del canone di locazione in caso di contestazione?
L’onere della prova grava sempre sul locatore. È lui che deve dimostrare, con documenti idonei come il contratto o successive modifiche scritte, il fondamento della sua pretesa economica.

Le fatture inviate dal locatore sono sufficienti a provare l’aumento del canone?
No. Secondo la Corte di Cassazione, le fatture sono atti unilaterali del creditore e, di per sé, non hanno valore probatorio diretto per dimostrare un accordo sull’aumento del canone. Non possono sostituire la prova di una pattuizione contrattuale.

Il fatto che il conduttore paghi alcune fatture con un importo maggiorato o non le contesti subito significa che ha accettato l’aumento?
No. La Corte ha chiarito che né il silenzio serbato prima del processo, né il pagamento di alcune fatture con importi maggiorati, possono essere considerati come un’accettazione tacita dell’aumento. Il conduttore mantiene il diritto di contestare tali importi in sede giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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