Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27534 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27534 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4884/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO N. 133/177, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di n.4469/2019 depositata il 2.7.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica del l’ 11.9.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
ROMA udienza
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’8.1.2013, l’AVV_NOTAIO conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il RAGIONE_SOCIALE Leone di Roma INDIRIZZO, per sentirlo condannare al pagamento del corrispettivo spettante per l’attività professionale, giudiziale (svolta contro l’AVV_NOTAIO nel procedimento n. 10149/2011 RG del Tribunale di Roma, ed in difesa del RAGIONE_SOCIALE convenuto dal condomino NOME nel procedimento n.29274/2010 RG del Tribunale di Roma nel quale contro il RAGIONE_SOCIALE era intervenuto anche COGNOME NOME, nonché nel giudizio davanti al Giudice di Pace di Roma in cui il RAGIONE_SOCIALE era stato convenuto dal condomino NOME, giudizio poi sfociato in un atto transattivo) e stragiudiziale (attività volte ad accertare la responsabilità degli ex amministratori condominiali NOME e NOME con diffida rivolta agli stessi e consultazioni con l’amministratore condominiale ing. COGNOME e con la commissione dei condomini, redazione di lettere di costituzione in mora dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, del direttore dei lavori AVV_NOTAIO COGNOME e del condomino COGNOME, redazione del parere per la delibera condominiale del 22.12.2010, esame della documentazione contrattuale concernente il direttore dei lavori straordinari delle facciate condominiali), svolta in campo civile in favore del RAGIONE_SOCIALE fino alla revoca di incarico, per contestata inerzia, del gennaio 2012, indicato in € 15.096,32 per onorari, € 2.812,00 per competenze ed € 1.608,30 per spese, ai quali andava detratto l’acconto ricevuto di € 2.500,00, residuando un credito di €17.017,02, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15%, oltre rivalutazione monetaria ed interessi. A corredo della richiesta
AVV_NOTAIO produceva i prospetti di parcella e 71 documenti, riportati analiticamente nell’indice del fascicolo di parte, senza operare uno specifico riferimento degli stessi alle molteplici attività giudiziali e stragiudiziali svolte.
Costituendosi in giudizio, il RAGIONE_SOCIALE domandava la reiezione delle avverse pretese, contestando la rilevanza della documentazione ex adverso prodotta in relazione alle attività giudiziali e stragiudiziali asseritamente svolte, negava che il legale avesse chiesto decreto ingiuntivo a carico di COGNOME NOME per conto del RAGIONE_SOCIALE, eccepiva la prescrizione e sosteneva di avere versato al professionista € 6.000,00 per l’attività effettivamente svolta.
Con la memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. l’AVV_NOTAIO negava di avere ricevuto acconti per € 6.000,00, ribadiva di aver chiesto il decreto ingiuntivo a carico del COGNOME e si riportava alla documentazione prodotta senza specificarne la riferibilità alle varie attività asseritamente svolte a favore del RAGIONE_SOCIALE, specificazione alla quale provvedeva nella comparsa conclusionale di primo grado.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 6662/2017, pur ritenendo indubbio che l’AVV_NOTAIO avesse prestato la propria opera a favore del RAGIONE_SOCIALE e ricevuto acconti, respingeva le domande attoree, non rinvenendosi le evidenze documentali contabili relative ad ogni singola posizione, necessarie a riscontrare la correttezza della somma cumulativamente richiesta.
Il soccombente proponeva appello avverso la prefata decisione, reiterando in sede d’impugnazione i riferimenti dei singoli documenti prodotti alle attività svolte a favore del RAGIONE_SOCIALE, e nella resistenza di quest’ultimo, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4469/2019 del 2.7.2019, rigettava il gravame, confermando la carenza di allegazioni specifiche per le singole attività stragiudiziali e giudiziali in relazione ai documenti
depositati, allegazioni non compiute entro la scadenza del termine dell’art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. e non effettuabili per la prima volta con l’atto di appello, che non poteva introdurre un novum iudicium, e sottolineando che la prova testimoniale richiesta nuovamente con l’impugnazione col teste COGNOME NOME, nulla avrebbe potuto dimostrare in ordine alle attività effettivamente svolte dall’AVV_NOTAIO, e che l’invocata CTU non poteva supplire agli oneri di allegazione e prova non assolti dal NOME. A ciò seguiva la condanna del soccombente alla rifusione delle spese del grado.
Avverso tale sentenza l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a nove censure, mentre il RAGIONE_SOCIALE si è costituito con controricorso.
Nelle more del giudizio di legittimità, a seguito del decesso dell’AVV_NOTAIO, originario legale del ricorrente, si è costituito l’AVV_NOTAIO con memoria e procura in calce.
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
AVV_NOTAIO, per il ricorrente, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre rilevare che l’erronea adozione in primo grado del rito civile ordinario, anziché di quello speciale previsto dall’art. 14 del D. Lgs. 1.9.2011 n. 150, con quanto ne scaturisce circa la composizione dell’organo giudicante e il regime impugnatorio, non è più rilevabile in questa sede.
Sotto il primo profilo, va detto che la violazione delle disposizioni degli articoli 50-bis e 50-ter c.p.c. sulla composizione monocratica o collegiale del Tribunale chiamato a decidere, non si considera attinente alla costituzione del giudice in base all’art. 50 quater c.p.c., e alla relativa nullità si applica l’art. 161 comma primo c.p.c., per cui questa può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello, o del ricorso per cassazione. E anche
ove non si ritenga applicabile l’art. 50 quater c.p.c. perché nella specie la collegialità deriva dalla previsione speciale dell’art. 14 del D.Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D.Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n.197, e non dall’art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art. 14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n. 11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione (vedi in tal senso Cass. 14.5.2025 n.12905), mentre nel caso in esame il suddetto vizio non è stato fatto valere nel giudizio di secondo grado, sicché non può essere rilevato d’ufficio nel giudizio di legittimità.
Sotto il secondo profilo, va osservato che al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia promossa ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. per la liquidazione dei compensi maturati dal legale per prestazioni professionali, assume rilevanza, per il principio della c.d. apparenza e ultrattività del rito, la forma di sentenza od ordinanza adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento. Ne consegue che ove, come nella specie, il giudice di prima istanza abbia consapevolmente trattato la causa con il rito ordinario di cognizione, il provvedimento conclusivo deve essere impugnato con il rimedio previsto dal rito erroneamente adottato ossia con l’appello (cfr. n. 31431/24).
Col primo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente si duole della violazione dell’art. 163, comma 3°, nn. 3), 4) e 5) c.p.c. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente affermato il difetto di
specificità delle domande del professionista, malgrado l’allegazione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni delle domande fosse stata oltremodo chiara e specifica fin dall’atto di citazione iniziale.
Detto motivo è infondato.
Il giudice di secondo grado, nella pur stringata motivazione svolta, non ha ritenuto che le domande di pagamento dei compensi professionali avanzate dall’AVV_NOTAIO nei confronti del RAGIONE_SOCIALE per le attività giudiziali e stragiudiziali riportate nella descrizione del fatto, fossero carenti sotto, il profilo del petitum e della causa petendi, dell’indicazione dei fatti costitutivi e delle ragioni giuridiche delle domande (il ricorrente ha invocato per tutte le attività svolte le tariffe del D.M. n. 127/2004) e dell’indicazione dei mezzi di prova richiesti. La Corte d’Appello di Roma, pur avallando la decisione di primo grado, ha piuttosto respinto tali domande nel merito per difetto di allegazione e prova delle specifiche attività nelle quali sarebbero consistite le attività giudiziali e stragiudiziali indicate in citazione, senza esaminare la rilevanza probatoria dei 71 documenti che fin dall’inizio del giudizio erano stati prodotti.
Ed infatti, mentre il giudice di primo grado con espressione equivoca, che poteva essere intesa anche nel senso che i documenti non fossero presenti nel fascicolo di causa perché non prodotti, smarriti, o sottratti, aveva dichiarato ‘ non si rinvengono le evidenze documentali contabili relative ad ogni posizione, indispensabili ai fini di riscontrare il quantum ‘, la Corte distrettuale ha respinto il gravame per difetto di prova, ritenendo (erroneamente, per quanto di seguito si dirà in ordine ai motivi terzo, quarto e quinto) di non essere tenuta a valutare d’ufficio il concreto peso probatorio dei 71 documenti tempestivamente prodotti, relativi a fatti costitutivi tempestivamente allegati, perché su tale peso e rilievo il professionista si era soffermato unicamente
nella comparsa conclusionale di primo grado e nell’atto di appello e non entro il termine dell’art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c.
Attraverso la seconda doglianza il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. per mancata o apparente motivazione. Il Giudice di seconde cure avrebbe apoditticamente dichiarato la carenza dei presupposti e di una sufficiente chiarezza e specificità delle domande avanzate, omettendo di argomentare sul punto.
Il secondo motivo è infondato.
Come si evince da quanto già esposto nella trattazione del primo motivo, e dalla circostanza che la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante la prova testimoniale con l’ex amministratore condominiale COGNOME, riproposta dall’appellante in secondo grado, perché inidonea a dimostrare le attività effettivamente e personalmente svolte dall’AVV_NOTAIO per il RAGIONE_SOCIALE, ed anche la CTU richiesta dall’appellante, che non avrebbe potuto supplire alle carenze di allegazione delle attività svolte per le prestazioni giudiziali e stragiudiziali oggetto delle domande e della relativa prova, la motivazione dell’impugnata sentenza, ancorché molto sintetica, non può dirsi mancante, o meramente apparente (secondo Cass. sez. un. 9.10.2019 n. 25392 si ha motivazione apparente quando pur essendo graficamente presente la motivazione, la stessa è inidonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento), essendo in grado di far comprendere le ragioni poste a base della decisione adottata.
Col terzo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.4) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato la carenza di indicazione, nel giudizio di primo grado, dei documenti prodotti a supporto delle sue pretese dal COGNOME, malgrado detta indicazione fosse contenuta nell’atto introduttivo del giudizio e nella
comparsa conclusionale in primo grado e fosse stata altresì reiterata nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale in sede di gravame.
Col quarto motivo ci si duole, in relazione all’art. 360, comma 1°, n.4) c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1° c.p.c. (principio non contestazione) e dell’art. 1175 cod. civ. (principio di correttezza e buona fede). Il Giudice del gravame avrebbe erroneamente addebitato all’appellante l’insussistenza di una specifica indicazione dei documenti probatori riferiti ad ogni singola prestazione, benché tale presunta carenza di indicazione non fosse mai stata contestata dal RAGIONE_SOCIALE.
Con la quinta censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., si lamenta la violazione degli artt. 342-345 c.p.c. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto, che la reiterata e più specifica indicazione della correlazione dei documenti prodotti alle singole attività nelle quali le prestazioni giudiziali e stragiudiziali legali oggetto della richiesta di pagamento si erano estrinsecate, in sede di gravame, costituisse una violazione del divieto di nova in appello e non, per converso, una mera reiterazione degli argomenti già svolti in prime cure.
Attraverso la sesta doglianza il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., la violazione dell’art. 2909 cod. civ. ed ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 c.p.c. e 1988 cod. civ. Il Giudice di seconde cure avrebbe omesso di considerare il giudicato interno formatosi sulla sussistenza dei mandati e dell’attività professionale svolta dal COGNOME, nonché la carenza di contestazione da parte del RAGIONE_SOCIALE in ordine all’esistenza e all’ammontare dei crediti vantati dal professionista, che rendeva quest’ultimo esonerato dal fornire ogni ulteriore prova al riguardo.
Col settimo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., si lamenta la violazione e mancata applicazione
degli artt. 22222233 cod. civ. e dell’art. 1 D.M. n. 127/2004 (determinazione onorari, diritti e indennità spettanti agli avvocati) e degli artt. 1-4-5-6-14 cap I di detto decreto. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto determinare, in assenza dell’accordo delle parti, il compenso e le spese da rimborsare al professionista, sulla scorta delle tariffe inderogabili vigenti al tempo dei fatti e dei progetti di parcella presentati al RAGIONE_SOCIALE e versati in atti.
Con l’ottava doglianza, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione del diritto di difesa. Il Giudice del gravame avrebbe, per un verso, rigettato l’istanza di ammissione della prova per testi, formulata in via subordinata dal professionista e, per altro verso, addebitato allo stesso il mancato assolvimento dell’onere probatorio in relazione alle prestazioni azionate in giudizio.
Con la nona censura il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., della violazione dell’art. 91 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe erroneamente condannato l’appellante al pagamento delle spese di lite, malgrado la legittimità e la fondatezza delle sue domande.
Vanno a questo punto esaminati congiuntamente il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, coi quali si sostiene che la sentenza impugnata abbia violato l’art. 115 c.p.c., omettendo completamente e dichiaratamente di valutare i 71 documenti tempestivamente prodotti dal ricorrente a corredo delle attività giudiziali e stragiudiziali svolte a favore del RAGIONE_SOCIALE, violando il principio di non contestazione dello svolgimento di quelle attività sempre in violazione dello stesso articolo, e ritenendo erroneamente che l’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO avesse proposto domande nuove in appello in violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere unicamente riproposto in sede d’impugnazione la spiegazione della rilevanza dei 71 documenti già tempestivamente prodotti in
Tribunale, fornita nella comparsa conclusionale di primo grado, ai fini dell’accoglimento delle già avanzate domande di compenso professionale per le attività giudiziali e stragiudiziali svolte.
Innanzitutto per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio vedi ex multis Cass. sez. lav. ord. 24.7.2024 n. 20525), per cui già sotto questo profilo la censura è fondata.
La sentenza impugnata, infatti, pur riconoscendo che i 71 documenti dettagliatamente elencati nell’indice del fascicolo dell’originaria parte attrice, attuale ricorrente, erano stati prodotti già in sede di costituzione in Tribunale, e che, pertanto, non si trattava di documenti nuovi prodotti in appello in violazione dell’ultimo comma dell’art. 345 c.p.c. ratione temporis vigente; e pur non avendo ritenuto in alcun modo modificate le molteplici domande di condanna del RAGIONE_SOCIALE per il pagamento dei residui compensi professionali dovuti; ha tuttavia erroneamente ritenuto, in violazione dell’art. 345 c.p.c., che l’AVV_NOTAIO illustrando nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale di secondo grado, come già in quella di primo grado, la rilevanza dei documenti già prodotti in relazione alle singole domande di pagamento delle attività professionali giudiziali e stragiudiziali già allegate, abbia inammissibilmente introdotto una questione nuova. Si tratta di un doppio errore.
In primis , perché domanda e questione non sono sinonimi. Ferma l’intangibilità della domanda così come formatasi e precisata in primo grado entro la memoria assertiva ex art. 183, sesto comma, n. 1) c.p.c., nel testo in allora vigente, e di riflesso l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., di domande nuove, le questioni nuove implicanti accertamenti di fatto sono precluse soltanto in sede di legittimità, non essendo questa Corte suprema giudice di merito. Esse, invece, non sono precluse (né in primo, né) in secondo grado, per la semplice ragione che il giudice d’appello (a differenza della Corte di cassazione) ha cognizione estesa al merito al pari di quello di prime cure, sicché egli è tenuto ad esaminarle, ove rilevanti.
In secondo luogo, le illustrazioni di parte volte a dimostrare l’attinenza del materiale istruttorio alle pretese azionate, per argomentarne la fondatezza, non costituiscono neppure questioni, bensì mere difese, ammissibili senza limiti nelle fasi di merito.
Avendo quindi erroneamente ritenuto che l’AVV_NOTAIO avesse introdotto un novum iudicium in secondo grado, in violazione del divieto dell’art. 345 c.p.c., la Corte d’Appello ha totalmente omesso di valutare la rilevanza probatoria dei documenti tempestivamente prodotti dall’AVV_NOTAIO, documenti che avrebbe dovuto valutare anche d’ufficio, perfino nell’ipotesi in cui il professionista non ne avesse argomentato l’incidenza probatoria. In tal modo la Corte distrettuale ha dichiaratamente violato la regola di giudizio dell’art. 115 c.p.c., che impone al giudice di porre a base della sua decisione le prove proposte dalle parti, ed ha di fatto creato, per l’illustrazione della rilevanza dei documenti, una preclusione che il codice di rito ha stabilito solo per le domande ed eccezioni e l’allegazione dei fatti principali e secondari, nonché per l’articolazione dei mezzi istruttori e le produzioni documentali.
Questa Corte, del resto, ha stabilito che il potere dovere del giudice di esaminare i documenti versati in atti sussiste automaticamente
ove chi li ha prodotti, o chi comunque intende trarne un vantaggio, abbia formulato una domanda, o un’eccezione espressamente fondata sui documenti medesimi, purché resti nei limiti delle domande ed eccezioni proposte ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e non attribuisca ai documenti una rilevanza probatoria che determini il superamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi tempestivamente allegati dalle parti (Cass. 24.10.2007 n. 22342; Cass. 12.12.1994 n. 1419).
Per effetto dell’accoglimento nei termini indicati del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso, devono ritenersi assorbiti i successivi motivi dal sesto al nono.
La Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, quale giudice di rinvio, provvederà in base all’esito finale della lite, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, infondati il primo ed il secondo motivo, ed assorbiti i restanti motivi, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio dell’11.9.2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME