Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20051 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20051 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
R.G.N. 27884/19
C.C. 12/7/2024
ORDINANZA
Vendita -Fornitura materiale -Inadempimento -Pagamento corrispettivo sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3051/2019, pubblicata l’8 maggio 2019, notificata a mezzo PEC il 18 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 10 maggio 2011, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Cassino, AVV_NOTAIO, al fine di sentire condannare il convenuto al pagamento della complessiva somma di euro 6.947,48, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 15 settembre 2010 al saldo, a titolo di corrispettivo per l’acquisto di materiale edile consegnato dalla società attrice presso il cantiere del convenuto, sito in Rocca d’Evandro.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale chiedeva che la domanda spiegata fosse rigettata, poiché non aveva mai ordinato i NOME oggetto della richiesta. In specie, esponeva che, nell’anno 2008, non si era rivolto alla ditta RAGIONE_SOCIALE al fine di commissionare le forniture per la RAGIONE_SOCIALE del suo immobile, ma semplicemente per acquistare alcuni NOME, in ordine ai quali aveva provveduto all’integrale pagamento del prezzo ancor prima della consegna, senza che avesse rilasciato alcun progetto alla ditta fornitrice.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1514/2017, depositata il 20 dicembre 2017, condannava COGNOME NOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro
6.947,48, oltre interessi legali dal 15 settembre 2010 sino al soddisfo.
2. -Con atto di citazione notificato il 26 giugno 2018, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado COGNOME NOME, il quale lamentava: 1) l’erroneità della decisione assunta, poiché dalla documentazione offerta in produzione nonché dalle deposizioni testimoniali rese non era emerso che il COGNOME fosse a conoscenza delle forniture di materiale di RAGIONE_SOCIALE che la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe eseguito in favore di COGNOME NOME; 2) la non utilizzabilità delle bolle di consegna e delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE; 3) la carenza di alcuna prova del legame tra COGNOME NOME, quale sottoscrittore delle bolle di consegna, e COGNOME NOME, quale titolare della ditta appaltatrice dell’opera commissionata dal COGNOME; 4) la mancata valutazione della testimonianza resa da COGNOME NOME, secondo cui questi aveva ritirato il materiale per esigenze personali della ditta.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva che l’appello fosse dichiarato inammissibile ovvero respinto nel merito.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di pagamento proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME NOME, condannando la RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, avendo la RAGIONE_SOCIALE allegato di aver venduto a COGNOME NOME NOME edili
occorrenti per l’edificazione di un fabbricato in INDIRIZZO, NOME descritti nelle tre bolle di consegna del 16 marzo 2010, del 25 marzo 2010 e del 3 maggio 2010, con relative fatture del 16 marzo 2010, del 25 marzo 2010 e del 4 maggio 2010, sarebbe stato suo onere provare la stipulazione del contratto di vendita di tale merce in favore del COGNOME o di suoi rappresentanti, nonché la relativa consegna; b ) che le predette fatture non avevano alcun valore probatorio, in quanto contestate, mentre le bolle di consegna erano state sottoscritte per accettazione dal COGNOME; c ) che, sebbene la consegna del materiale presso il cantiere -dove era in RAGIONE_SOCIALE il fabbricato di proprietà del AVV_NOTAIO -fosse stata dimostrata dalle deposizioni testimoniali rese da COGNOME NOME, quale autista della RAGIONE_SOCIALE, ciò non era sufficiente a ritenere provato che la merce fosse stata acquistata e ricevuta dal AVV_NOTAIO, sia perché tale teste non aveva riferito di averla a lui consegnata, sia perché le bolle di consegna erano state firmate dal COGNOME; d ) che non era dimostrato che COGNOME NOME si fosse effettivamente recato nell’esercizio commerciale della RAGIONE_SOCIALE per ordinare il materiale in nome e per conto del COGNOME, anche all’esito della deposizione testimoniale di COGNOME NOME, quale dipendente della RAGIONE_SOCIALE; e ) che, del resto, COGNOME NOME, sentito quale teste, aveva sostenuto che aveva chiesto del ferro alla RAGIONE_SOCIALE per esigenze personali della ditta; f ) che anche il teste COGNOME NOME, figlio di NOME e titolare formale della ditta esecutrice dei lavori, aveva riferito che non si era mai recato presso la RAGIONE_SOCIALE e che il materiale prelevato serviva per altre lavorazioni, diverse quindi dai lavori attinenti al fabbricato AVV_NOTAIO.
3. -Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimato COGNOME NOME.
4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di omessa pronuncia della sentenza di secondo grado con error in procedendo , per avere la Corte di merito omesso di pronunciarsi sulle due preliminari eccezioni di inammissibilità dell’atto di appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e, in subordine, per violazione dell’art. 348 -bis c.p.c., come sollevate dalla parte appellata davanti al giudice del gravame.
Obietta la ricorrente che, a fronte delle eccezioni di mancanza di specificità dei motivi, per carenza dei profili volitivo, argomentativo censorio e causale, e in subordine di inverosimiglianza dell’atto di appello, con la conseguente probabilità della sua infondatezza, la sentenza resa aveva accolto nel merito l’impugnazione proposta, senza affrontare affatto dette eccezioni preliminari.
1.1. -Il motivo è infondato.
E ciò perché l’accoglimento nel merito del gravame ha implicato, seppure implicitamente, il rigetto di tali eccezioni di inammissibilità, sicché non vi è stata alcuna omessa pronuncia.
Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione
adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo, come accade appunto nel caso di valutazione nel merito dei motivi di gravame, rispetto alla censura di inammissibilità dell’impugnazione per carenza di specificità dei motivi o per l’improbabilità del suo accoglimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017; Sez. 1, Sentenza n. 10636 del 09/05/2007).
Ebbene, la scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l’accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell’art. 348 -ter , primo comma, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l’appello, che è l’unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, in procedendo o in iudicando , e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate (Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 37272 del 29/11/2021).
2. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c. per travisamento della prova, per avere la Corte territoriale ritenuto che la consegna della merce non provasse la stipulazione del contratto di vendita, travisando così completamente le risultanze di prova, le quali, se fossero state valutate correttamente, avrebbero condotto al riconoscimento del debito a carico del COGNOME.
E ciò perché dagli atti di causa sarebbe emerso che, a fronte della lettera a.r. di sollecito del pagamento del 15 settembre 2010, ricevuta il 1° ottobre 2010, non vi era stato alcun riscontro, il che avrebbe confermato l’esistenza del contratto e la conoscenza, da parte del COGNOME, della fornitura effettuata.
Ad avviso dell’istante, tanto avrebbe implicato una valutazione non prudente della prova sulla riRAGIONE_SOCIALE degli accadimenti storici, con la loro errata riRAGIONE_SOCIALE, grave e determinante ai fini della risoluzione di questioni di fatto.
2.1. -Il motivo è infondato.
Ora, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019; Sez. 6-L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016).
Segnatamente, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli
(salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
Ed ancora, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 63, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Ed infatti, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116, primo comma, c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome ‘suo’ è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che ‘la legge disponga altrimenti’.
In ultimo, in ordine ai fatti sostanziali, l’asserito travisamento del contenuto oggettivo della prova -ossia la svista concernente la ricognizione del fatto probatorio in sé ( demonstratum ) e non la verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio ( demonstrandum ) -, allorché abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (ovvero se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti) e sia decisivo, può essere sindacato solo ai sensi del vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024), vizio nella fattispecie non dedotto.
Peraltro, la sentenza impugnata ha valorizzato le deposizioni testimoniali rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME, secondo cui il materiale ordinato sarebbe stato funzionale alla soddisfazione di esigenze personali di quest’ultimi, e non del AVV_NOTAIO.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione di legge in ordine alla liquidazione delle spese, per avere la Corte distrettuale liquidato le spese legali nell’importo complessivo di euro 4.835,00, oltre accessori, per il primo grado e di euro 5.887,50,
oltre accessori, per il secondo grado, a fronte di una pretesa avente ad oggetto il recupero di un credito nella misura di euro 6.947,48.
Sicché attraverso tale liquidazione sarebbe stata riconosciuta, a titolo di spese, una somma raddoppiata rispetto al valore della controversia; e ciò benché il giudice d’appello avesse specificato sia le tabelle di riferimento, sia lo scaglione applicato per la liquidazione delle spese (tabelle 2 e 12, terzo scaglione, compensi medi di cui al d.m. n. 55/2014).
Tuttavia, lo scaglione di riferimento, relativo alle controversie di valore compreso tra euro 5.200,01 ed euro 26.000,00, avrebbe dovuto implicare una liquidazione sulla scorta dei parametri prossimi al minimo, stante il valore della causa di euro 6.947,48, e non di euro 8.947,48, quale dato utilizzato dalla Corte d’appello per la liquidazione.
3.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la liquidazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio è avvenuta in conformità agli scaglioni correttamente individuati sulla scorta del valore della causa, espressamente indicato in euro 6.947,48, applicando i parametri medi.
Ora, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55/2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021; Sez. L, Ordinanza n. 12537 del 10/05/2019).
4. -In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda