Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26970 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26970 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2708/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE QUALE RAPPRESENTANTE DI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1674/2021 depositata il 10/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali fideiussori della società RAGIONE_SOCIALE (fallita dopo l’instaurazione del giudizio che nei suoi confronti veniva dichiarato estinto), hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui la Banca dell’Adriatico s.p.a. aveva ingiunto alla società, quale debitrice principale e ai suoi fideiussori, il pagamento dei seguenti importi: 63.722,11 euro (dovuti al 25 luglio 2011 per saldo passivo del conto corrente), 267.283,83 euro (a titolo di saldo passivo del conto anticipi fatture s.b.f.) 96.273,90 euro (a titolo di residuo credito del finanziamento concesso). Gli opponenti hanno dedotto la carenza di prova scritta del credito, la illegittimità degli addebiti relativi alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, degli interessi usurari in numerosi trimestri e alla clausola di massimo scoperto, individuando complessivamente la differenza a credito del correntista per 55.749,62 euro. Inoltre hanno eccepito la nullità delle rispettive fideiussioni in quanto prestate per obbligazioni generiche e senza determinazione dell’importo massimo garantito nonché la loro inefficacia non avendo la banca mai informato i fideiussori dell’aggravamento delle condizioni di rischio con riguardo alle condizioni del debitore principale.
La banca ha contestato la fondatezza delle ragioni di opposizione.
2.- Il Tribunale di Pescara, ha respinto l’ordine di esibizione richiesto dagli opponenti in quanto costoro già erano in possesso gli estratti conto – tutti, invero, esaminati dal loro CTP – mentre i contratti fonte delle obbligazioni dedotte in giudizio erano già stati prodotti dalla banca. Ciò premesso ha ritenuto: (a) che fossero validi i contratti fideiussione che recavano l’indicazione del limite massimo garantito; (b) che nessuna violazione dell’art. 1956 c.c.
era ravvisabile, emergendo dagli atti che le iscrizioni immobiliari pregiudizievoli sui beni della società erano state effettuate nel 2011, in epoca ben successiva all’ultimo finanziamento concesso risalente a ottobre 2007, quando, peraltro, dall’ultimo estratto disponibile prima della stipula del contratto di finanziamento, risultava un saldo positivo; inoltre che i fideiussori COGNOME e COGNOME erano gli unici soci della RAGIONE_SOCIALE (oltre che, rispettivamente, l’A.D. e il presidente del C.d.A. della stessa), mentre la sig.ra COGNOME era la moglie del sig. COGNOME; (c) che nessuna delle contestazioni circa addebiti illegittimi riguardava il contratto di finanziamento; (d) che, con riguardo al conto anticipi -del cui saldo passivo in linea capitale la banca aveva offerto prova anche tramite ricognizione di debito della società debitrice le contestazioni si riferivano alla pretesa natura usuraria degli interessi, risultata infondata alla luce delle risultanze documentali e dei tassi applicati; (e) che, quanto al conto corrente, le eccezioni circa l’anatocismo e l’usura erano risultate infondate, mentre quella circa la nullità della c.m.s. andava accolta perché pattuita solo quanto alla misura percentuale; perciò, sulla base dei dati ricavabili dalla stessa CTP, il saldo del conto corrente andava epurato dell’importo di euro 11.804,43.
3.La Corte d’Appello di L’Aquila, ha confermato la sentenza impugnata dai fideiussori-opponenti osservando: (a) che, come correttamente il primo giudice aveva evidenziato, gli opponenti erano onerati della prova fatti posti a fondamento della domanda di accertamento negativo del credito ingiunto e di rideterminazione del saldo avanzata in via riconvenzionale, e che andava confermato il rigetto dell’ordine di esibizione degli estratti conto di cui i fideiussori avevano dimostrato di essere già in possesso; (b) che, quanto all’onere probatorio della banca, l’onere di produrre tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto in conseguenza delle contestazioni mosse dagli opponenti, nella specie sarebbe stato
rilevante solo a fronte dell’unica nullità accertata -tra quelle contestate – della clausola relativa al c.m.s., rispetto alla quale, tuttavia, agli effetti del ricalcolo del saldo, il Tribunale aveva ritenuto idonea la prova offerta dagli stessi opponenti, decurtando la pretesa della banca degli addebiti illegittimi appostati a tale titolo e individuati nella CTP sulla base di tutti gli estratti conto, esaminati dal consulente dei fideiussori stessi; (c) che del tutto nuova era la contestazione formulata in appello circa il difetto di prova dell’effettiva applicazione di un’uniforme periodicità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi; (d) che correttamente il primo giudice aveva rilevato che due dei fideiussori erano gli unici soci dell’impresa di cui erano anche ARAGIONE_SOCIALE. e presidente del CdA, ed escluso, quindi, che gli stessi ignorassero le condizioni economiche della società, valorizzando, altresì, correttamente- sempre al fine di escludere l’ignoranza delle condizioni economiche e patrimoniali della società – il fatto che il terzo fideiussore, NOME COGNOME, fosse la moglie del socio e presidente del RAGIONE_SOCIALE; (d) che gli opponenti non avevano dimostrato che il creditore, successivamente alla prestazione della fideiussione, avesse fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle condizioni economiche, risultando le iscrizioni immobiliari pregiudizievoli ben successive all’ultimo finanziamento erogato, ed essendo rimaste privi di riscontro gli ulteriori rilievi circa il peggioramento delle condizioni economiche della debitrice principale in data antecedente alla concessione di nuove linee di credito; (e) che il motivo d’appello circa l’omessa pronuncia sulla dedotta nullità degli atti ricognitivi di debito era inammissibile per difetto di interesse una volta che il primo giudice aveva a questi fatto riferimento solo «in aggiunta», dopo aver valutato le prove a fondamento delle eccezioni di nullità sollevate dagli opponenti con riguardo alle poste asseritamente indebite per anatocismo, usura, e c.m.s.; e che, in ogni caso, gli
opponenti non avevano indicato né dimostrato le ragioni di fatto e di diritto a sostegno della domanda di nullità neppure nell’atto di gravame; mentre palesemente infondata era la domanda di nullità delle dichiarazioni fideiussorie che erano state legittimamente stipulate con riferimento ad obbligazioni future con determinazione l’importo massimo garantito.
4.- Avverso detta sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso affidandolo a due motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a., incorporante la Banca dell’Adriatico s.p.a.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c, 2697 c.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c. Il motivo censura la decisione sotto tre profili: (a) in quanto nella sentenza gravata la Corte d’Appello, pur affermando che era onere della banca dimostrare l’entità del proprio credito e produrre tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto, non aveva concluso in linea con le premesse respingendo la domanda per difetto di prova dato che tutti gli estratti conto non erano stati prodotti; ed aveva, quindi, errato nella valutazione dell’onere probatorio a fronte dell’orientamento consolidato per cui la banca che vanti un credito, deve fornire la prova del fatto costitutivo attraverso la produzione dell’intera documentazione contrattuale e contabile; (b) in quanto la Corte di merito erroneamente aveva ritenuto «nuova» la questione posta circa «il difetto di prova dell’applicazione dell’effettiva uniforme periodicità della capitalizzazione degli interessi», poiché nella relazione peritale prodotta il consulente tecnico aveva osservato che la Delibera C.I.C.R. impone la stessa periodicità dell’anatocismo degli interessi a debito e credito che deve essere espressamente prevista nel contratto, ed aveva perciò
ricalcolato il saldo estrapolando gli addebiti trimestrali « in quanto – non risulta un contratto in cui sia espressamente prevista l’uniforme periodicità degli interessi a debito e credito »; (c) infine in quanto la sentenza avrebbe escluso in modo apodittico e non motivato la natura usuraria degli interessi convenzionali applicati ai rapporti di conto corrente e conto anticipi con un mero richiamo alla sentenza del Tribunale, omettendo la decisione richiesta e pervenendo a una sentenza «perplessa».
1.1- Anche volendo prescindere dalle carenze della formulazione stessa del motivo nel suo complesso, che manca di specificità in violazione dell’art. 366 co. 1 n. 4 e 6 c.p.c., con riguardo ai due diversi vizi tipici invocati, oltre che dell’illustrazione della ragione della violazione delle norme invocate -il primo profilo di censura risulta comunque inammissibile, perché non coglie l’effettiva ratio decidendi della Corte d’appello, che non ha contraddetto le premesse del proprio ragionamento in punto onere probatorio della banca, ma, partendo dalle stesse, ha osservato che la contestazione del saldo preteso dalla Banca (effettuata sulla base di una consulenza tecnica che contemplava tutti gli estratti conto) riguardava specifici addebiti sulla base, tuttavia, di censure di nullità risultate tutte infondate salvo che con riguardo alla c.m.s., le appostazioni debitorie relative alla quale il Tribunale aveva espunto dal saldo sulla base dello stesso ricalcolo effettuato dal consulente degli opponenti.
Quindi il ragionamento decisorio -con cui i ricorrenti non si confrontano – si fonda sulla inutilità della produzione nella specie di tutti gli estratti conto di cui, di norma, la Banca è onerata, come la Corte di merito ha correttamente premesso in conformità ai criteri di distribuzione dell’onere della prova applicabili al caso e senza alcuna violazione dell’art. 2697 c.c.; e ciò ha ritenuto in ragione della contestazione specificamente formulata dagli opponenti.
Sicché la censura è inammissibile, tanto più per aver invocato, in modo del tutto inconferente la violazione dell’art. 115 c.p.c. che implica che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), il che qui non è neppure lamentato.
1.2 -Il secondo profilo di censura -ferma la carenza della sua formulazione già sopra evidenziato -è anche palesemente infondato, poiché i ricorrenti si dolgono dell’erronea affermazione della «novità» (e perciò dell’inammissibilità) della questione sollevata con riguardo alla effettiva applicazione dell’anatocismo e quindi (par di capire stante, come detto la carenza di illustrazione del motivo) dell’omessa pronuncia sul punto, invocando onde dimostrare che detta questione era stata già propostaun passaggio della relazione tecnica riportata in atti che, invece, comprova esattamente detta «novità» della questione, dal momento che in tale passaggio il consulente si limita a rilevare che « non risulta un contratto in cui sia espressamente prevista l’uniforme periodicità di interessi a debito credito », vale a dire, che la reciprocità dell’anatocismo non risultava espressamente pattuita come disposto dalla Delibera C.I.C.R., il che è del tutto diverso dal sostenere che la capitalizzazione trimestrale degli interessi non era stata applicata effettivamente a condizioni di reciprocità come asserito dalla banca.
1.3Inammissibile è, altresì, il terzo profilo, che censura l’omessa motivazione del rigetto della domanda di nullità riferita alla pretesa natura usuraria degli interessi applicati in alcuni trimestri, perché, nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale si esaurisce -all’esito del
novellato art. 360 c.p.c. – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (v. Cass. Sez. U n. 8053-14), essendo esclusa, dunque, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione che non rientri nel paradigma dell’art. 360 c.1 n. 5 c.p.c. e, cioè, non integri «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nella specie invece i ricorrenti si dolgono del fatto che la sentenza gravata «si sia limitata» a confermare sul punto controverso le argomentazioni rese dal Tribunale circa il mancato superamento della soglia d’usura affermando, altresì – come asseriscono gli stessi ricorrenti – che era, quindi, inutile procedere alla ricostruzione del rapporto. Quindi il motivo non si riferisce affatto ad una motivazione mancante contraddittoria o incomprensibile, e sotto l’apparente deduzione del vizio di mancanza assoluta di motivazione mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito non consentita in questa sede (v. Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019).
2.- Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione «degli articoli 1375-1175 c.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. Nonché omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 n. 5 c.p.c.».
Reputano i ricorrenti che la Corte d’Appello, a fronte delle censure rivolte alla sentenza del Tribunale – che aveva escluso la rilevanza della dolosa omissione di informazioni ai garanti in quanto gli stessi non poteva non essere a conoscenza delle condizioni economiche della società per il ruolo rivestito dai medesimi nella stessa – avrebbe meramente richiamato la sentenza di primo grado senza attribuire rilievo al fatto che « se alla data dell’ultimo estratto conto disponibile (30.9.2007) la società aveva un saldo positivo , dopo l’apertura di linee di credito con contratto del 2001 e le
note fideiussorie in pari data, erano state concesse senza autorizzazione del fideiussore ulteriori linee di credito per operazioni commerciali nel 2004 e in seguito il conto corrente era stato volturato a sofferenza ».
2.1- Il motivo è inammissibile sotto diversi profili: (a) perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ) e tra loro logicamente incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016;); (b) perché, pur invocando la violazione di legge con riguardo agli articoli indicati 1375, 1175 c.c., i ricorrenti non pongono affatto in discussione il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate, ma contestano (senza neppure illustrarne le ragioni) la concreta applicazione fattane dal giudice di merito in ragione delle risultanze istruttorie, pur essendo ben noto che dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n.8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313); (c) sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto asseritamente decisivo, attiene ad un aspetto della decisione di appello che conferma quella di primo grado per le stesse ragioni inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, sicchè è inammissibile ex art. 360 comma 4 c.p.c. se il ricorrente non indica -come nella specie le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
3.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido fra loro, al pagamento delle spese in favore di Intesa SanPaolo s.p.a, liquidate nell’importo di euro 3.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’ 11.10.2024