Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 28023  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19516/2021 R.G. proposto da :
NOME,  rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 576/2020 depositata il 03/06/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del  09/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione del 2.11.2006 il RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME per la dichiarazione di  parziale  inefficacia,  ex  art.  44  l.fall.,  dell’atto  di  compravendita dell’8.11.2004  (successivo  al  fallimento,  dichiarato  nel  2003)  con cui NOME COGNOME -già  amministratrice della società fallita -le aveva venduto arredi e suppellettili ricompresi nell’attivo
fallimentare.  La  convenuta  eccepì  che  all’epoca  del  fallimento  i mobili  erano  già  di  proprietà  esclusiva  dell’amministratrice  quale persona fisica, come da atto notarile di ricognizione del 7.6.1989.
1.1. -Il  Tribunale  di  Cosenza,  richiamati  gli  artt.  84  e  25, comma 1,  n.  2  l.fall.  e  ritenuto  non  superata  dalla  convenuta  la presunzione iuris tantum della proprietà in capo alla società fallita dei  mobili, «inventariati»  all’interno  di  due  appartamenti  che  la RAGIONE_SOCIALE aveva conferito alla società, dichiarò l’inefficacia dell’atto e la condannò alla loro restituzione  al RAGIONE_SOCIALE.
1.2. –NOME COGNOME propose appello lamentando che il tribunale non aveva tenuto conto dell’atto ricognitivo del 7.6.1989  menzionato  nella  comparsa  di  costituzione -al  tempo stesso  rappresentando  lo  smarrimento  del  proprio  fascicolo  di parte,  come  da  attestato  della  cancelleria -ed  aveva  valutato erroneamente  la  sentenza  penale  del  Tribunale  di  Cosenza  del 2.6.2009 che, proprio sulla scorta di detto atto ricognitivo l’aveva assolta dal reato di cui all’art. 232 l.fall.
1.3. -La C orte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’appello. Ha innanzitutto accertato come «l’atto ricognitivo del 7 giugno 1989, pur indicato come prodotto nella comparsa di costituzione del primo grado della COGNOME, non sia stato invece prodotto, come sostenuto in sentenza dal primo giudice» e che pertanto la sua produzione in grado di appello «deve ritenersi inammissibile ex art. 345 cod.proc.civ.». Ha poi aggiunto che, «anche a voler ritenere ammissibile tale produzione», la stessa sarebbe irrilevante, poiché, «come ritenuto dal primo giudice, con affermazione non impugnata, trova applicazione nella specie il principio giurisprudenziale» in tema di art. 103 l.fall. che applica alla rivendica in sede di fallimentare la disciplina delle opposizioni di terzo all’esecuzione, regolate dagli art. 619 ss. c.p.c., con conseguente onere del terzo rivendicante di dimostrare, con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non solo l’acquisto del la proprietà del bene ma anche il suo affidamento al fallito per un titolo diverso dalla proprietà o altro diritto reale. Ha quindi concluso che quell’atto ricognitivo non fosse decisivo «per superare la presunzione di appartenenza dei beni alla società
fallita, statuita dal primo giudice, mediante il richiamo alle previsioni  di  cui  agli  art.  84  e  25  della  legge  fallimentare,  non avendo la COGNOME dimostrato, altresì, che i beni non erano di proprietà della società per essere stati alla società stessa affidati in base ad un  titolo diverso dalla proprietà»,  con  conseguente ininfluenza anche della sentenza penale che ne faceva menzione.
1.4. -Avverso  detta  decisione  NOME  COGNOME  ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il RAGIONE_SOCIALE intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il  primo motivo denuncia la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. poiché, essendo stata chiesta la declaratoria di inefficacia di un atto di compravendita, avrebbero dovuto chiamarsi in giudizio non solo l’acquirente, ma anche la parte venditrice.
2.1. -La  censura,  che  denunzia error  in  procedendo, è infondata,  poiché  la  dedotta  violazione  del  contraddittorio  non ricorre con riguardo a un’azione di inefficacia relativa strumentale alla  corrispondente  pretesa  recuperatoria  (e  dunque  con  natura sostanziale di rivendica), sulla base di un accertamento finalizzato a sostenere il difetto di titolo, a fronte del quale legittimato passivo era solo chi si affermava proprietario in base all’atto.
-Il secondo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, poiché, in presenza di una domanda di inefficacia parziale dell’atto di compravendita, «il giudice del merito ha dichiarato inefficace l’intero atto».
3.1. -La censura è inammissibile, sia perché veicola una questione che non risulta prospettata in appello -nonostante l’asserito vizio di ultrapetizione riguardasse la sentenza di primo grado -sia perché postula un difetto di interpretazione del contenuto della domanda che, però, è operazione riservata al giudice del merito, in quanto implica un accertamento in fatto, come tale sindacabile in cassazione solo per vizio motivazionale, oggi ridotto all’alveo dell’art. 132 c.p.c., o in via residuale a ll’art. 360, n. 5), c.p.c., secondo il canone del cd. ‘minimo costituzionale’ (Cass., Sez. U, 8053/2014). D’altro canto, la ricorrente nemmeno
chiarisce bene quale fosse l’effettivo contenuto dell’atto di compravendita.
-Il terzo motivo lamenta la ‘erronea e falsa applicazione’ , ad un fallimento dichiarato nel 2003, de ll’ art. 25, comma 1, n. 2, l.fal. come riformato nel 2006, nonché degli artt. 84, 103 e 44 l.fall., norme ritenute non applicabili alla fattispecie in esame, sia per la presenza di diritti di terzi incompatibili con l’acquisizione di beni alla massa fallimentare, sia perché l’atto inefficace sarebbe stato compiuto da NOME COGNOME non quale legale rappresentante della società fallita, ma quale persona fisica.
4.1. -Anche questo motivo è inammissibile poiché fa leva su questioni nuove, che non risultano prospettate in appello.
Il motivo difetta anche di autosufficienza, poiché dagli atti di causa non emerge se vi sia stato o meno un atto di acquisizione dei beni alla  massa  ex  art.  25,  comma  1,  n.  2  l.fall.  incompatibile  con  il diritto  di  proprietà  rivendicato  sui  mobili  per  cui  è  causa,  ovvero l’apposizione di sigilli ex art. 84 l.fall.
Inoltre,  nella  sentenza  impugnata  si  afferma  chiaramente  che l’azione  di inefficacia  ex  art.  44  l.fall.  riguardava  un  « contratto stipulato  dall’amministratore  della  società  (…)  avente  ad  oggetto beni mobili presenti negli immobili di proprietà della RAGIONE_SOCIALE acquisiti all’attivo fallimentare ».
-Il quarto mezzo denunzia la violazione dell’art. 2697 c.c. per  avere  i  giudici  del  merito  ritenuto  che  fosse  onere  della convenuta, e  non  dell’attore ,  dare  la  prova  circa  la  proprietà  dei beni in questione.
5.1. -La censura è inammissibile perché del tutto fuori ratio , avendo  la  corte  d’appello  in  realtà  deciso  semplicemente in  base alla  valutazione  del  compendio  probatorio  acquisito  in  giudizio, senza dare luogo alla lamentata inversione dell’onere probatorio .
D’altro canto, della circostanza allegata per cui i  beni in questione si trovavano all’interno di immobili utilizzati non dalla società fallita, ma  personalmente  dalla  signora  NOME  COGNOME,  a  titolo di usufrutto, mentre all’attivo fallimentare ne sarebbe stata acquisita solo la nuda proprietà, non v’ è traccia nella sentenza impugnata.
-In definitiva, tutti i motivi sottendono una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rimettendo in discussione il quadro fattuale accertato nella decisione impugnata , ove tra l’altro si legge che, in sede di appello, la difesa della COGNOME si era incentrata sulla av venuta produzione dell’atto notarile di ricognizione dei beni del 7.6.1989. E però, il capo della decisione impugnata che accerta come il predetto atto ricognitivo, « pur indicato come prodotto nella comparsa di costituzione del primo grado della COGNOME, non sia stato invece prodotto », non è stato investito da alcun motivo di ricorso per cassazione.
6.2. -Le ulteriori osservazioni sono state svolte dalla corte d’appello solo ‘ ad abundantiam ‘ e per l’ipotesi , processualmente esclusa, che quella produzione fosse stata invece effettiva ed ammissibile, per evidenziarne comunque l’irrilevanza, per non avere la convenuta -equiparata al « terzo che rivendichi la proprietà o altro diritto reale sui beni compresi nell’attivo fallimentare » -in ogni caso « dimostrato, altresì, che i beni non erano di proprietà della società per essere stati alla società stessa affidati in base ad un titolo dalla proprietà ».
-Al rigetto del ricorso non segue la condanna alle spese, in assenza di difese del l’ intimato. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1-bis,  dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 09/10/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME