Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4338 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4338  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2531-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME  COGNOME,  per  procura  in  calce  al  ricorso  e  per procura in data 26/3/2024;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE e PEPI SALVATORE;
– intimati – avverso la SENTENZA N. 2300/2022 DELLA CORTE D ‘ APPELLO DI CATANIA, depositata il 7/12/2022;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 2/10/2024;
RILEVATO CHE
1.1. La  Corte  d ‘ appello  di  Catania,  con  sentenza  del 7/12/2022, ha rigettato il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto dalla RAGIONE_SOCIALE  avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa dichiarativa del suo fallimento  su  ricorso  di  NOME COGNOME.
1.2. La  corte  del  merito,  per  quanto  ancora  rileva,  ha ritenuto che la reclamante non ave sse assolto all’onere, che le incombeva, di provare di non essere assoggettabile a fallimento ai sensi dell’art. 1, 2° comma, l. fall.
1.3. RAGIONE_SOCIALEIT RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 12/1/2023,  ha  chiesto,  per  un  motivo,  la  cassazione  della sentenza.
1.4. Il Fallimento e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
1.5. Il  Presidente,  in  data  21/2/2024,  ha  formulato proposta di definizione accelerata del giudizio, a norma dell ‘ art. 380bis , comma 1°, c.p.c.
1.6. La ricorrente, con istanza depositata il 28/3/2024, sottoscritta dai difensori muniti di nuova procura, ha chiesto la decisione del ricorso e depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
2.1. Con l’unico motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALEIT denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1, 15 e 18 l.fall. e 115 c.p.c. , nonché l’ omesso esame di uno o più fatti decisivi, per aver la c orte d’appello ritenuto che essa non avesse assolto a ll’onere di provare il mancato raggiungimento, congiunto, delle tre soglie di fallibilità previste dall’art. 1 , 2° comma, l.fall.. Rileva, in contrario, che la prova in questione avrebbe potuto essere acquisita aliunde dal giudice, il quale aveva comunque omesso di tener conto: i) che la dimostrazione della insussistenza di qualsivoglia suo attivo patrimoniale nonché dell’impossibilità del conseguimento nel triennio di ricavi lordi superiori ad € 300.000 emergeva da quanto dichiarato e documentato dal creditore istante circa la cessazione della sua attività di impresa sin dal 2005 (circostanza confermata anche dalle informazioni raccolte dall’ufficiale giudiziario allorché aveva tentato la notifica presso la sede di un precetto e del
pignoramento), l’infruttuosità dell’ esecuzione mobiliare promossa nei suoi confronti e l’ inesistenza di un suo patrimonio immobiliare,; ii) che dalle risultanze del progetto di stato passivo predisposto dal curatore, c he attestava l’esistenza di debiti per circa 110.000 euro, emergeva anche il mancato superamento della soglia dimensionale di cui alla lett. c) dell’art. 1, 2° comma cit..
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. La ricorrente, pur lamentando in rubrica la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, si duole, in realtà, unicamente  dell’ erronea ricognizione  dei  fatti    operata  dalla corte di merito, che, limitandosi al rilievo del mancato assolvimento  dell’onere  della  prova  su  di  essa  gravante, non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi istruttori documentali  che  dimostravano  la  sua  non  assoggettabilità  a fallimento.
2.4. La valutazione delle prove raccolte, però, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’ esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato una pronuncia senz’altro diversa da quella assunta .
2.5. L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti fattuali rilevanti in causa, come fatti costitutivi
del  diritto  azionato  ovvero  come  fatti  estintivi,  modificativi ovvero  impeditivi  dello  stesso,  siano  stati  comunque  presi  in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto  di  tutte  le  risultanze  istruttorie  (Cass.  SU  n.  8053  del 2014; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).
2.6. Peraltro, in tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito da parte dell’imprenditore fallendo della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, , in violazione dell’art. 15, comma 4°, l.fall. (come sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 169/2007), si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, essendo egli onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali, che ne escludono la fallibilità (cfr. Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 625 del 2016; Cass. n. 8769 del 2012).
2.7. Né osta a tale conclusione la natura officiosa del procedimento prefallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e, comunque, non abbia depositato i bilanci (attendibili) dell’ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame (cfr. Cass. n. 625 del 2016)
2.8. Nel caso di specie, i fatti di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame non solo non appaiono decisivi per l’accoglimento del reclamo (posto  che la chiusura dell’attività esercitata presso la sede legale non escludeva che la ricorrente ne svolgesse altra in un diverso luogo e  che, in via generale, l’ammontare dei crediti ammessi allo stato passivo tempestivo non costituisce prova dell’ammontare effettivo
dell’indebitamento,  essendo  ben  possibile  la  presentazione  di domande  tardive  o  la  rinuncia all’insinuazione di  uno  o  più creditori) ma sono stati anche  esaminati dalla corte d’appello (là  dove  ha  affermato  che  mancava  prova  concreta  della cessazione dell’attività e  che il riscontro di un debito esattoriale di  soli  80.000  euro  non  si  traduceva  nel  positivo  riscontro dell’insussistenza di un’esposizione debitoria inferiore ai 500.000 euro) .
2.9. IL convincimento che il giudice del reclamo ha tratto dalle  risultanze  istruttorie  non  può  dunque  essere  sindacato nella presente sede di legittimità solo perché difforme da quello auspicato dalla ricorrente.
Nulla  per  le  spese  di  giudizio  in  mancanza  di  attività difensiva degli intimati.
La  definizione  del  giudizio  in  conformità  alla  proposta impone  però ,  a  norma  dell’art.  380 -bis ,  comma  3°,  c.p.c., l’applicazione dell’art. 96, 4° comma, c.p.c., e cioè, in mancanza di controricorrente, la condanna  della parte ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma non inferiore ad €. 500,00 e non superiore ad €. 5.000,00 (Cass. SU n. 27195 del 2023), alla  cui determinazione si provvede in dispositivo.
La Corte, infine, dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1,  comma 17, della  l.  n.  228  del  2012,  della  sussistenza  dei presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte  della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento della somma di €. 2.500,00 in favore della cassa delle ammende; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima