Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27378 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27378 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19392/2020 R.G. proposto da :
BANCO DI SARDEGNA SPA, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI n. 127/2020 depositata il 10/04/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- RAGIONE_SOCIALE ha chiesto, ex art. 702 bis c.p.c., al Tribunale di Sassari di dichiarare illegittime le poste negative addebitate sul conto corrente n. 46658 aperto il 28.6.1998 e chiuso il 30.9.2008, per interessi ultralegali, anatocismo, commissione di massimo scoperto e spese non dovute, nonché il ricalcolo del saldo e la condanna della banca convenuta al pagamento della somma di euro 307.914,70 oltre interessi. Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEp.a. convenuto ha eccepito la nullità dell’atto introduttivo, la nullità della notificazione del ricorso ed ha contestato il fondamento della domanda eccependo in particolare la prescrizione del diritto fatto valere e che tra le parti era intervenuto un accordo di ristrutturazione dei debiti nel quale controparte aveva esplicitamente riconosciuto il dovuto a favore del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
– Il Tribunale di Sassari, all’esito di CTU, respinte le eccezioni preliminari, e reputata non dirimente la sottoscrizione da parte della società correntista di un accordo ex articolo 182 bis L.F., privo di efficacia confessoria e, comunque, dichiarato risolto, ha accolto la domanda principale condannando il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma pretesa a titolo di ripetizione di indebito, non esaminando l’eccezione di prescrizione del diritto di ripetere i versamenti solutori ante decennio perché tardivamente proposta dalla banca costituitasi oltre il termine utile per proporre eccezioni in senso stretto.
– La Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, su gravame del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, previo espletamento di consulenza tecnica d’ufficio integrativa, ha accolto parzialmente l’appello
condannando l’appellante al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della minor somma di 287.985,20 euro -espungendo gli interessi attivi maturati nel corso del rapporto – e compensato tra le parti le spese del grado nella misura di un quinto in considerazione del parziale accoglimento dell’appello, osservando:
(a) quanto alla eccepita nullità della notificazione del ricorso eseguito via EMAIL senza allegazione della procura alle liti, e senza che nella relata di notifica fosse indicato con precisione il soggetto che aveva rilasciato la procura alle liti, e alla conseguente richiesta della banca convenuta di essere rimessa in termini per proporre tempestiva eccezione di prescrizione, che la censura risultava genericamente proposta rispetto a quanto deciso sul punto dal Tribunale, contro la cui tale statuizione il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si era limitato a reiterare l’eccezione di nullità per violazione del combinato disposto dell’art. 3 bis L.n. 53/94 e 18 DM n. 44/11, e che, comunque, si trattava di censura infondata, poiché come già affermato da giudice di prime cure, la notificazione del ricorso (e del decreto) contenente gli elementi identificativi della sua provenienza, era regolarmente pervenuta al destinatario senza che il mancato inserimento nel procedimento notificatorio della procura -peraltro inserita nel fascicolo processuale all’atto dell’iscrizione a ruolo -potesse costituire ipotesi di nullità della notificazione ex art. 3 bis L.n. 53/94, ove la procura non è menzionata come allegato necessario, e che il ricorrente in primo grado aveva depositato in via telematica un atto munito di procura a margine firmato digitalmente, quindi proceduto alla notifica a mezzo PEC del ricorso e del decreto nel rispetto dell’art. 83 c.p.c. e dell’art. 1 L. n.53/94, legge che presuppone la procura alle liti in capo al difensore che procede alla notifica, ma che, a sua volta, non dispone che la procura debba essere necessariamente allegata alla notifica pena di invalidità della stessa; ed osservava, altresì, che la procura posta a margine dell’originale del ricorso era senz’altro riferibile al legale
rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, precisamente indicato, la cui sottoscrizione era autenticata dal legale; concludeva confermando l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione tardivamente proposta, senza rimettere in termini l’appellante;
(b) quanto alla dedotta violazione dell’art. 1372 c.c. laddove il Tribunale aveva erroneamente escluso che la sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione fosse vincolante per la società poiché il medesimo era ricognitivo del debito con divieto di opporre eccezione, anche alla luce del principio di correttezza e buona fede, che, non costituendo la ricognizione di debito autonoma fonte di obbligazione, restava comunque possibile per il debitore opporre le eccezioni fondate sul titolo fonte del debito contestato; né valeva invocare la clausola limitativa della facoltà di opporre eccezioni contenuta nell’accordo di ristrutturazione poiché la sua efficacia presupponeva il permanere del vincolo negoziale il quale era stato, invece, risolto, come ritenuto dal primo giudice con un’argomentazione non specificamente censurata e non superabile con ricorso alle regole generali di correttezza e buona fede, inutilmente invocate contro istanze volte a ottenere la declaratoria di nullità di un atto pregiudizievole per la parte interessata;
(c) quanto alla dedotta violazione del disposto di cui all’art. 2697 c.c. per avere il Tribunale rideterminato il saldo effettuando CTU sulla base di una serie incompleta di estratti conto, donde l’inattendibilità delle risultanze e il difetto di prova di effettivi pagamenti da parte del correntista, (i) nche la mancanza di alcuni estratti (riportati dalla appellante) non impediva al consulente tecnico di procedere all’operazione di ricalcolo, poiché l’onere della prova poteva essere assolto anche mediante il ricorso ad altri elementi rappresentativi dell’andamento del conto che ben può essere esaminato alla luce di una consulenza tecnica percipiente, non essendo vietato al giudice di merito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a
quanto, comunque, emergente dai documenti prodotti in giudizio; (ii) che, nella specie, la relazione peritale di primo grado precisava che il nuovo saldo era determinato partendo dal saldo apparente già depurato delle competenze addebitate (ad eccezione delle spese tenuta conto), rideterminando sui saldi giornalieri a data contabile le competenze al tasso legale di tempo in tempo vigente ed imputando le stesse solo al termine del periodo di osservazione, ovvero senza effettuare alcun tipo di capitalizzazione; (iii) che nei periodi in cui – per mancanza degli estratti conto di periodo – non vi fosse continuità, il CTU aveva utilizzato, ove disponibili, gli estratti conto scalari desumendo i movimenti di conto corrente come differenza tra i vari saldi secondo la data di valuta, mentre -in mancanza anche degli scalari o nelle impossibilità di ricavarne dati utili- aveva proceduto ad effettuare una scrittura di raccordo dei saldi ma non di ricalcolo degli interessi per il periodo mancante; (iv) che detta metodologia era stata contestata dalla Banca appellante soltanto in via astratta, sul presupposto che l’indisponibilità della documentazione completa impedirebbe di verificare il reale saldo di chiusura e di individuare i pagamenti ripetibili, mentre il CTU aveva fatto ricorso ad una ricostruzione degli interessi passivi ai tassi indicati dal giudice (senza applicazione di capitalizzazione trimestrale e senza clausola di massimo scoperto ed oneri), assolutamente attendibile perché la mancanza di documenti per alcuni trimestri si risolveva in pregiudizio per il solo correntista, posto che per quei periodi il ricalcolo non era stato effettuato, senza incidere sulla ricostruzione precedente e quella successiva, periodi riconciliati con criteri che non erano stati neppure oggetto di contestazione in sede di svolgimento delle operazioni;
(d) quanto alla dedotta erronea rideterminazione del saldo con riguardo agli interessi attivi, che la doglianza era fondata perché l’attore non aveva allegato la sussistenza della malafede della
accipiens agli effetti della applicazione dell’articolo 2033 c.c. (punto su cui la sentenza era riformata espungendo dal dovuto gli interessi attivi maturati nel corso del rapporto);
(e) quanto alla dedotta mancata applicazione della Delibera CICR 9.2.2000 nonostante l’istituto avesse provato di aver provveduto all’avviso (pubblicato in Gazzetta Ufficiale) alla clientela circa l’entrata in vigore dell’anatocismo paritario, che l’adempimento di formalità generiche di comunicazione della Delibera CICR era inidoneo all’applicazione dell’anatocismo reciproco, essendo necessaria in proposito una nuova pattuizione trattandosi di una condizione peggiorativa delle condizioni regolanti il rapporto in essere alla data di entrata in vigore delle nuove prescrizioni in materia di anatocismo;
(f) quanto alla dedotta erronea dichiarazione di invalidità degli interessi determinati con rinvio agli usi e alla c.m.s., che rispetto alla pacifica assenza di convenzione, invocare l’«uso su piazza» per la determinazione del tasso ultralegale costituiva argomento infondato secondo consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità.
4.Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso affidandolo a cinque motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente ex art. 360 bis comma uno c.p.c. perché la mancanza di uno specifico motivo di impugnazione della pronuncia di primo grado in punto nullità della notificazione assorbirebbe ogni altra ragione di ricorso sollevata da controparte, si tratta, infatti, di ragione inconferente rispetto alla norma invocata, riguardando l’art. 360 bis co.1 c.p.c. l’ipotesi in cui il provvedimento impugnato ha deciso questioni di diritto in modo
conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
2.-Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., del combinato disposto degli articoli 3 bis e 11 della L. 53/94 e dell’art. 18 DM 44/2011, con riferimento agli artt. 156, 184 bis, 167 c.p.c. e all’art 2946 c.c., con riguardo alla notificazione a mezzo PEC ritenuta dalla ricorrente non rispettosa della normativa in tema di allegazione della procura alle liti.
Sostiene RAGIONE_SOCIALE che la Corte d’appello, confermando la statuizione del Tribunale e degradando la questione a mera irregolarità sanata dalla costituzione del convenuto in giudizio, non avrebbe correttamente applicato il predetto combinato disposto, che avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di nullità della notifica per mancanza di procura alle liti (ex art. 156 c.p.c.) e, quindi, a ritenere accoglibile la richiesta di remissione in termini ex art. 184 bis. c.p.c. onde consentire ex art. 167 c.p.c. la proposizione dell’eccezione di prescrizione ex art. 2946 c.c. con riguardo ai pagamenti, in tesi avversaria indebiti, effettuati oltre il decennio, vale a dire a tutti quelli precedenti il 6.11.2004 (data del primo atto interruttivo). Si duole, in particolare, la ricorrente del fatto che (i) nella relata di notificazione la resistente non abbia indicato con precisione il soggetto che ha rilasciato la procura per conto della parte, violando l’articolo 3 bis comma 5° lett. c ) della L.53/9; (ii) non abbia allegato la procura alle liti pur avendolo dichiarato nel corpo della relata stessa, in violazione l’art. 18 DM 44/2011 (l’effetto nullità deriverebbe dal fatto che l’art.11 l. 53/94, facendo riferimento ai requisiti oggettivi e soggettivi, « ricomprende anche l’articolo 3 bis della legge medesima che rimanda al rispetto della normativa, tra cui appunto il DM 44/2011 art. 18 sulla necessità della procura in sede di notificazione» ); (iii) la procura alle liti presente nel fascicolo processuale risulta illeggibile per cui neppure
in tal sede vi sarebbe il rispetto del combinato disposto degli articoli predetti.
2.1- Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. La doglianza relativa alla illeggibilità della procura alle liti presente nel fascicolo processuale è inammissibile, perchè non risulta dalla sentenza essere stato tema oggetto del giudizio, né di primo né di secondo grado, consolidato essendo il principio per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza e, dunque, specificità del motivo: a) di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18/10/2013, n. 23675); b) riprodurre in via diretta il contenuto che sorregge la censura oppure in via indiretta, con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 09/04/2013, n. 8569, Cass., 15/07/2015, n. 14784, Cass., 27/07/2017, n. 18679).
Ciò detto e venendo alla notifica via PEC del ricorso, e dunque alle pretese violazioni dell’art. 3 bis e 11 della legge n. 53 del 1994, in relazione all’art.18 D.M.44/2011 si osserva anzitutto che il motivo di gravame è qui riproposto pedissequamente, senza tener conto e censurare in modo specifico la statuizione sul punto della Corte d’Appello, ma assumendo che la stessa non avrebbe dato corretta interpretazione né, quindi, fatto corretta applicazione del combinato disposto delle norme che assume violate, dolendosi ancora di un aspetto (assenza della procura tra i documenti allegati alla relata di notifica) che, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, non conduce alla nullità della notificazione
dell’atto introduttivo: né ex art. 11 L. 53/94, poiché detta norma non impone né implica che la procura sia allegata alla relata, ma attraverso il rinvio all’art. 3 bis comma 5° lett.c) legge medesima -solo che dalla relata risulti la parte che la procura ha rilasciato; né ex art. 18 D.M 44/2011, che concerne la forma della notificazione per via telematica degli atti nativi digitali o nativi analogici e si occupa della procura solo al comma 5° in funzione di regolare quando la procura si deve considerare -in siffatta modalità di notifica -apposta in calce all’atto cui si riferisce; d’altro canto, sotto il diverso profilo di nullità invocato per cui nella relata la società non avrebbe «indicato con precisione» il soggetto che ha rilasciato la procura, si osserva che la doglianza come formulata appare inammissibile, sia poiché del tutto generica, non comprendendosi cosa la banca intenda mancare in detta «indicazione», sia perchè non tiene conto nè censura in modo specifico la statuizione sul punto della Corte d’Appello che ha affermato -senza che risulti alcuna smentita in ricorso – che la procura era apposta a margine dell’atto introduttivo depositato in via telematica e firmato digitalmente prima di procedere alla notifica a mezzo pec, e che la procura posta a margine del ricorso « era senz’altro riferibile al legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, precisamente indicato, la cui sottoscrizione era autenticata dal legale ». Ne discende che correttamente la Corte di merito ha reputato tardiva l’eccezione di prescrizione formulata.
3.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. nella parte in cui la Corte d’Appello afferma che l’appellante non aveva contestato sufficientemente la pronuncia di primo grado quanto alla statuizione relativa all’idoneità -agli effetti dell’instaurazione del contraddittorio – della sola notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza nonché quanto all’identificazione del soggetto che conferiva la procura, le quali, invece, sostiene la
ricorrente, risultavano contestate nel motivo d’appello; così facendo la Corte d’Appello avrebbe omesso di prendere posizione sulla nullità derivata dagli aspetti contestati (in particolare la mancata allegazione della procura).
3.1- Il motivo è chiaramente inammissibile: sia perché non si confronta con la decisone gravata che -come dettocon motivazione articolata e puntuale ha respinto per infondatezza le singole ragioni con cui l’appellante ha ribadito la nullità della notifica del ricorso, compresa quella relativa alla mancata allegazione della procura; sia perché la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. è prospettata con riguardo ad una pretesa omessa pronuncia relativa ad una ragione di gravame: invero tale norma -nel testo vigente ratione temporis -riguarda l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi profili (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
4.Con il terzo motivo, che denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. e 1372 c.c., la ricorrente si duole che la sentenza gravata muova dall’errata considerazione che l’accordo di ristrutturazione dei debiti non precludesse al debitore la possibilità di opporre eccezioni. In particolare, richiamate le clausole 32 (Riconoscimento di debito) e 15 (Divieto di opporre eccezioni)
dell’accordo di ristrutturazione, reputa la banca ricorrente che la Corte d’Appello non abbia valutato con la giusta rilevanza la portata delle stesse, poiché l’effetto di inversione dell’onere probatorio, tipico delle dichiarazioni ex art 1988 c.c., così come esonerava la creditrice dall’onere di provare l’esistenza e la validità dei rapporti fondamentali, imponeva al debitore l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità degli stessi, derivandone « che quest’ultima non può sollevare contestazioni alcuna relativa alle presunte invalidità da cui sarebbe affetto il rapporto dedotto in giudizio» ; né « la risoluzione dell’accordo intervenuta successivamente comportare il venir meno degli effetti dallo stesso prodotti quali il riconoscimento del debito e la rinuncia ad opporre eccezioni ».
4.1 – Il motivo è inammissibile poichè -dissertando inutilmente sull’effetto della ricognizione di debito circa l’onere probatorio non si confronta con la ratio decidendi della decisone gravata che non si fonda sulla distribuzione dell’onere probatorio, né contraddice quanto afferma il ricorrente a proposito del fatto che grava sulla debitrice correntista l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità del rapporto da cui sorge il debito (tanto più che la ricognizione di debito -quand’anche effettuata – non costituisce autonoma fonte di obbligazione); bensì osserva che al detto onere corrisponde «il diritto» del debitore di procedere a detta dimostrazione, non potendo in contrario valere la clausola (Divieto di opporre eccezioni) di un accordo di ristrutturazione risolto, la cui permanente efficacia la ricorrente invoca del tutto apoditticamente, senza aver svolto alcuna censura di legittimità alla motivazione in punto della Corte di merito.
5.Il quarto motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. poiché la pronuncia impugnata partirebbe da un presupposto errato ove considera sufficiente una sequenza di estratti conto che non è «intera», sicchè le operazioni svolte dal CTU sarebbero
inammissibili in quanto suppliscono all’onere probatorio che gravava sulla parte, essendo indirizzo giurisprudenziale costante quello per cui sul correntista che pretenda la ripetizione di indebiti pagamenti grava l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute; peraltro, pur riconoscendo che la giurisprudenza di legittimità citata consente al giudice di integrare la prova carente sulla base della deduzione svolta dalla parte anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio ed, in particolare, disponendo una consulenza tecnica, reputa che nel caso di specie il calcolo matematico sia totalmente incerto e inattendibile, e che ciò nonostante la Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado recependola acriticamente e ritenendo esatto il ricalcolo del consulente in senso correttivo.
5.1- Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Premesso che nella sentenza gravata non si ravvisa alcuna adesione acritica al risultato della CTU -che, invero, è stata integrata ed il cui risultato è stato in parte corretto -bensì una conferma motivata del ragionamento decisorio del giudice di primo grado circa la correttezza del procedimento di ricostruzione del saldo, si osserva, anzitutto, che è infondata la censura che attiene alla violazione dei principi che vedono nella specie il correntista gravato dell’onere di provare il suo assunto.
5.2- È opportuno ribadire che la consulenza tecnica, pur non rientrando nella categoria dei mezzi di prova, afferisce all’istruzione probatoria, e che l’attività del consulente può consistere (e generalmente consiste) nell’assistere il giudice nella valutazione tecnica delle prove raccolte (consulenza cd. deducente); ma può divenire essa stessa un mezzo di prova, allorquando si traduca in indagine diretta a ricostruire dei fatti – sia sotto il profilo delle causa che sotto il profilo del loro svolgimento – per poi riferire al
giudice quanto rilevato. In quest’ultimo caso, la consulenza tecnica viene definita «percipiente», ad indicare che l’ausiliario è incaricato (non solo della valutazione ma, ancor prima) dell’accertamento di fatti, la cui stessa percezione richiede il possesso di cognizioni tecniche: caratteristica, questa, propria, in particolare, della consulenza tecnica prevista dall’art. 198 c.p.c., ove il CTU è incaricato di un esame contabile (v. Cass. n. 1763/2024).
In considerazione del suo precipuo ruolo di integrazione dell’attività decisoria del giudice, la giurisprudenza di legittimità afferma costantemente che la consulenza tecnica non possa valere ad esonerare le parti dalla prova dei fatti posti a fondamento delle relative domande o eccezioni, sicché il giudice non la dispone ove con essa le parti intendano procedere ad un’indagine «esplorativa» intorno ad elementi o fatti non provati. E quanto alla specifica materia che riguarda la ricostruzione del saldo di un conto corrente e della cornice dell’onere probatorio che grava sul correntista, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che nell’ipotesi in cui è il cliente ad agire nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e la ripetizione degli indebiti pagamenti – dall’inizio del corrispondente rapporto fino alla sua cessazione – sul presupposto di dedotta nullità di clausole del contratto di conto corrente nonché di addebiti di danaro non previsti dal contratto, è il cliente stesso, in applicazione dell’art. 2697 cod. civ., che deve provare mediante il deposito degli estratti di conto corrente, la fondatezza dei fatti presupposto dell’accoglimento della domanda di ripetizione di indebito oggettivo (cfr., da ultimo, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 30789 del 2023; Cass. n. 30661 del 2023; Cass. n. 28191 del 2023; Cass. n. 25417 del 2023; Cass. n. 11543 del 2019; Cass. n. 30822 del 2018; Cass. n. 24948 del 2017); con la conseguenza che, in mancanza di taluni estratti di conto corrente, egli perde semplicemente la possibilità di dimostrare il
fondamento della domanda di restituzione di danaro da lui dato alla banca (per effetto di addebiti da questa operati) nel (solo) periodo di tempo compreso fra l’inizio del rapporto e quello cui si riferiscono gli estratti di conto corrente depositati (cfr. Cass. n. 30789 del 2023; Cass. n. 30661 del 2023; Cass. n. 28191 del 2023; Cass. n. 10025 del 2023); sicchè la prova dell’indebito, può darsi anche producendo solo una parte degli estratti conto ed utilizzando altri mezzi come la CTU (cfr. Cass. n. 11543 del 2019; Cass. n. 9526 del 2019; Cass. n. 29190 del 2020; Cass. n. 20621 del 2021), secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito (cfr. Cass. n. 16837 del 2022; Cass. n. 1538 del 2022; Cass. 1040 del 2022). Ma è evidente che, in tal caso, la somma dovuta dalla banca sarà quella di importo corrispondente a quello provato.
Come è stato puntualizzato da Cass. n. 37800 del 2022 (pure ribadita dalle già menzionate Cass. n. 7697/2023 e Cass. n. 12993/2023) « l’estratto conto, , non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Esso consente di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto e, tuttavia non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni e, per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati, quello stesso giudice può avvalersi di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio (Cass. 1 giugno 2018, n. 14074; nel medesimo senso, Cass. 3 dicembre 2018, n.31187; v. altresì Cass. 2 maggio 2019 n.11543) . Ne deriva che l’incompletezza della serie degli estratti conto si ripercuote comunque sul cliente, gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti: in quanto, a quel punto, si comincia volta a volta dal «saldo a debito », risultante dal primo estratto conto
disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti In mancanza dovrà assumersi, come dato di partenza, per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il predetto saldo iniziale degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore» .
5.3- Così ricostruito lo stato attuale della giurisprudenza di legittimità in controversie come quella oggi in esame, si deve concludere che la dedotta violazione dell’art.2697 c.c. è del tutto infondata, e che nessun errore ha compiuto la Corte di merito ad escludere che nel caso di specie la norma fosse stata violata in ragione di una «supplenza» del giudice rispetto alle carenze della parte onerata della prova per aver il Tribunale rideterminato il saldo effettuando la CTU sulla base di una serie incompleta di estratti conto (donde l’asserita l’inattendibilità delle risultanze e il difetto di prova di effettivi pagamenti da parte del correntista), poiché la mancanza di alcuni estratti conto non impediva al consulente tecnico di procedere all’operazione di ricalcolo, essendo l’onere della prova assolto anche mediante il ricorso ad altri elementi rappresentativi dell’andamento del conto che ben può essere esaminato la luce di una consulenza tecnica percipiente, e non essendo vietato al giudice di merito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio.
5.4- Infine è inammissibile la censura che svolge per il resto il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE osservando che il calcolo matematico sarebbe « totalmente incerto e inattendibile » in riferimento alla valutazione dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, perché si riduce ad una censura della ricognizione che il giudice di secondo grado ha compiuto sull’esito della CTU e sul metodo utilizzato per la riconciliazione dei saldi dei diversi periodi, con una motivazione articolata, cui il ricorrente non muove censure che rientrino nel
paradigma dei vizi tipici ammessi per la cassazione della motivazione nel merito. Infatti a fronte di siffatta critica della decisone, la tematica si riduce alla verifica di attendibilità dell’esito della CTU, che è una questione «di fatto», la cui cognizione è riservata al giudice di merito, almeno sin tanto che il percorso logico motivazionale utilizzato per dar conto del convincimento raggiunto circa la ricostruzione del saldo del conto, non possa considerarsi manifestamente incongruente o implausibile, o apparente, tanto, cioè, da risolversi in una violazione di legge.
6.- Il quinto motivo, denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 91, e 92, c.p.c in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Con esso la ricorrente contesta alla corte di merito la violazione dell’art. 91 predetto perché non emergerebbe dal provvedimento in base a quale presupposto sono stati applicati i valori medi delle tabelle del DM 55/2014 invece che quelli minimi, nonchè la violazione del combinato disposto delle due norme nella decisone di compensare le spese di lite solo per un quinto, avendo trovato spazio di ragione nel giudizio di appello il motivo di censura relativo alla pretesa illegittimità dell’addebito di interessi attivi tradottosi in una riduzione non trascurabile della condanna emessa nella pronuncia del Tribunale. Chiede pertanto la ricorrente un’equa riforma della sentenza, con condanna della controparte alle spese di entrambi i gradi del giudizio, oppure nel caso di rigetto delle censure svolte nel ricorso, a quelle del solo giudizio di appello o almeno ad una frazione di quelle spese in caso di parziale compensazione.
6.1. Il motivo è inammissibile posto che la prima parte attiene al merito della valutazione discrezionale del giudice cui la ricorrente, attraverso un insussistente vizio di violazione di legge, pretende un sindacato non ammesso in questa sede, e che nella seconda parte riguarda il giudizio in tema di compensazione delle spese, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3), c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr. anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3308/2023; Cass. n. 37825/ 2022; Cass. n. 10685/2019), con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi; sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. (Cass. n. 19613/2017). Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha evidenziato la parziale reciproca soccombenza, con la conseguenza che la statuizione sulle spese di lite non è sindacabile in sede di legittimità.
7.- in definitiva il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE liquidate nell’importo di euro 12.200 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10.10.2024