Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11236 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
sul ricorso 2583/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1890/2020 depositata il 26/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Catania, con la sentenza sopra riportata, pronunciando sul contenzioso in essere tra la RAGIONE_SOCIALE ed Intesa Sam Paolo s.p.a avente ad oggetto la domanda della prima di ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla seconda in relazione all’intercorso rapporto di conto corrente a titolo di interessi ultralegali, interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto et similia , ha respinto il gravame della Carbografite ed ha confermato le impugnate determinazioni di rigetto in primo grado della domanda attrice in quanto l’andamento del rapporto era stato documentato mediante la produzione dei relativi estratti conto relativi alla fase iniziale di esso, mentre non risultavano prodotti gli estratti conto degli ultimi otto anni sino alla sua cessazione.
In particolare il decidente del grado ha fatto rilevare che, stante la natura unitaria del rapporto di conto corrente -ove le rimesse a cui procede il correntista, in presenza, come nella specie, di un affidamento, hanno natura ripristinatoria, sicché non è rappresentabile alcun pagamento sino alla chiusura di esso -è onere del correntista documentarne l’andamento sino appunto alla sua chiusura, con la conseguenza che, ove non siano prodotti gli estratti conto relativi all’ultimo periodo, non è possibile rideterminare l’entità dei rispettivi saldi, non potendo, in particolare, valorizzarsi, in questa direzione, la circostanza che il rapporto si sarebbe chiuso con saldo “zero” non costituendo esso un fatto pacifico idoneo a colmare la rilevata lacuna, né rivelandosi di qualche utilità, pur nella considerazione che l’andamento del rapporto può ricostruirsi anche a mezzo di altri riscontri probatori idonei a consentire la determinazione del saldo finale, le allegazioni contenute nella perizia di parte che di tali riscontri non rechino tuttavia traccia.
Per la cassazione di detta sentenza RAGIONE_SOCIALE si vale di cinque motivi di ricorso seguiti da memoria, ai quali resiste la banca intimata con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si lamenta l’erroneità dell’affermazione operata dal decidente del grado circa la necessaria completezza degli estratti conto «ai fini del ricalcolo del rapporto di conto corrente contestato» ed, insieme, la nullità della sentenza e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1824, 1825, 1826, 1827, 1419, 1284, 1283 e 2697 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. in quanto la sentenza impugnata, pronunciandosi nei riferiti termini e gravando il correntista di un onere probatorio del tutto inesistente, avrebbe malamente interpretato i precedenti di questa Corte, essendo insegnamento di questa che il correntista che agisca in giudizio per la declaratoria di nullità del rapporto possa produrre in giudizio anche estratti conto parziali -; ed il quarto motivo di ricorso -con cui si deduce che nella specie ricorrono tutti i presupposti «per il ricalcolo integrale del rapporto di conto corrente», la nullità della sentenza per violazione degli artt. 88, 112, 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1284, 1283 e 1419 cod. civ. in quanto la sentenza impugnata, contrariamente a quanto da essa conclusivamente affermato, avrebbe dovuto ritenere possibile il conferimento di un incarico peritale volto ad accertare, sulla scorta dei soli estratti conto prodotti in giudizio, l’illegittimità degli addebiti operati dalla banca, nonché a raccordare l’ultimo saldo disponibile al saldo di chiusura -si prestano ad una valutazione congiunta e si rivelano entrambi inammissibili per evidente estraneità alla ratio decidendi, risultando perciò violato il parametro di specificità.
E’ ben vero che, secondo quel che da tempo ormai si afferma con continuità da questa Corte, il correntista che agisca in giudizio per la
ripetizione delle rimesse effettuate nel corso del rapporto in forza di disposizioni negoziali affette da nullità è tenuto ad assolvere l’onere probatorio su di sé gravante mediante la produzione, di regola, dei relativi estratti conti (Cass, Sez. I, 7/12/2022, n. 35979); ma, non essendo questa una prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale si può addivenire anche con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete (Cass., Sez. I, 19/07/2021, n. 20621), che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto (Cass., Sez. I, 2/05/2019, n. 11543), senza escludere gli argomenti di prova desunti pure dalla condotta processuale tenuta dalle parti (Cass., Sez. I, 4/04/2019, n. 9526), il tutto nel quadro di quella più generale ripartizione dell’onere probatorio di cui con riferimento alle controversie de quibus questa Corte ha inteso riassuntivamente fornire le linee riepilogative, da ultimo, nella sentenza 1763/2024.
4. I principi così affermati non sono stati, tuttavia, minimamente ignorati dal decidente. Questo ha, si, preso atto che la mancanza degli estratti conto degli ultimi anni del rapporto si opponeva al piano accoglimento della domanda, ma ha anche, più compiutamente, spiegato le ragioni del confermato rigetto di essa, in ciò, quindi, esplicitando la ratio della propria decisione, evidenziando che ciò impediva di ricostruire l’andamento del conto e di determinare in modo attendibile l’entità dei saldi risultanti alla chiusura di esso ed in particolare il saldo positivo a favore della banca che, essendo frutto di appostazioni indebite, ben avrebbe consentito al correntista di sperimentare con ragionevole probabilità di successo l’azione di ripetizione. E questo assunto il decidente ha inteso rafforzare, per smentire alla radice ogni superstite riserva, con la considerazione che era tutt’altro che incontestato il fatto che alla conclusione del rapporto fosse risultato un saldo zero, così come d’altro canto, sul filo del
riportato insegnamento di legittimità e della non esclusività della prova a mezzo degli estratti conto, nessuna utilità poteva ritrarsi dalla consulenza tecnica di parte, scevra di indicazioni altrimenti idonee a determinare gli esiti conclusivi del rapporto.
I motivi, per come sono formulati, ovvero insistendo sulla rideterminabilità dei saldi sulla base dei soli estratti conto prodotti, quando la Corte di appello ha invece espressamene chiarito che nessuna rideterminazione era possibile in difetto di un attendibile saldo finale, restano visibilmente ai margini del percorso decisionale sviluppato dalla sentenza e si consegnano, dunque, inevitabilmente alla premessa declaratoria di inammissibilità.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. per vizio di motivazione inesistente o apparente e più rettamente per sostanziale omissione della motivazione in quanto la sentenza impugnata avrebbe motivato l’affermazione in punto alla necessaria continuità degli estratti conto richiamandosi al principio dell’unicità del rapporto di conto corrente, quando al contrario, non solo da detto principio non è possibile ritrarre alcuna argomentazione in questo senso, ma gli indirizzi della giurisprudenza di legittimità muovono in direzione esattamente opposta -resta, in vista delle ragioni di inammissibilità esposte con riferimento al primo e al quarto motivo di ricorso, conseguentemente assorbito.
Il terzo motivo di ricorso -con cui si ragiona sulle necessità del ricalcolo integrale dell’intero rapporto, si contesta l’asserita impossibilità di ritrarre argomenti di prova dal contegno della banca e si deduce la nullità della sentenza in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in quanto la sentenza impugnata non solo si era astenuta dal tributare la dovuta concludenza agli estratti conto prodotti, ma non aveva neppure preso in esame il contegno della banca, in ragione degli
elementi qualificanti del quale (mancata contestazione, mancata proposizione di domanda riconvenzionale, mancata indicazione di fatti ostativi, ecc.), non si sarebbe dovuto porre in non cale la circostanza che il conto era stato chiuso con una registrazione dei saldi a “zero”, di guisa che sarebbe stato perciò possibile effettuare il raccordo tra l’ultimo estratto conto disponibile ed il saldo così risultante -è inammissibile in quanto palesemente versato in fatto.
Va, invero, disatteso l’assunto ricorrente secondo cui l’allegazione in parola non si sottrarrebbe, come qui invece si ritiene, al chiesto vaglio di legittimità in quanto per suo mezzo si intende denunciare un errore di diritto, quantunque ad avviso della stessa ricorrente, gli elementi che poi dovrebbero prestarvi supporto si identifichino nella circostanza che non può sussistere dubbio sul fatto che, se il conto sia chiuso, il saldo sia per forza zero, nella circostanza che la banca non abbia svolto una domanda riconvenzionale ed, ancora, nella circostanza che non sia stato indicato un saldo diverso.
8. Ora, qui, per smentire l’assunto in parola, non è neppure il caso di ricordare che, come si insegna da questa Corte, le denunciate violazioni di legge, che secondo la ricorrente assicurerebbero fondamento giuridico alla formulata censura, si rendono ravvisabili, la prima, quando il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nell’art. 115 cod. proc. civ. ovvero quando abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli dalla legge e, la seconda, quando il giudice di merito disattenda il principio dell’art. 116, comma 1, cod. proc. civ. in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime; ad escluderne la pretesa giuridicità bastano, infatti, le stesse allegazioni che ad avviso della ricorrente dovrebbero
provare il contrario: quando non ne sia innegabile il fondamento fattuale su cui esse riposano -che ne preclude la sindacabilità in questa sede -si tratta, a tutto vedere, di profili valutativi, probabilmente non estranei allo svolgimento storico-processuale della vicenda, ma della cui valenza decisoria unico soggetto che può farsene interprete è solo il giudice del merito, cui spetta delibare i fatti di causa secondo il principio del prudente apprezzamento, scegliendo liberamente le fonti del proprio convincimento e declinando un giudizio insindacabile in questa sede se accompagnato da congrua ed adeguata motivazione.
Il quinto motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione ai parametri del dm 10 marzo 2014, n. 55 in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente liquidato anche il compenso dovuto per la fase istruttoria che in realtà non si era svolta e che andrebbe per questo espunta dal calcolo finale delle spese -è inammissibile per difetto di autosufficienza.
L’allegazione, infatti, non soddisfa il parametro richiamato poiché essa si fonda sull’asserita riconduzione della fattispecie allo scaglione di valore tra 260.000.01 e 520.000,00, ma di ciò non fornisce alcuna concreta e verificabile dimostrazione, sì che la Corte non è in grado, prim’ancora di poterne apprezzare la decisività, di stabilirne la veridicità, fermo, peraltro, che, secondo quanto si è già altrove affermato, la trattazione del processo, anche in assenza di istruzione probatoria, legittima il diritto al compenso della relativa fase (Cass., Sez. VI-II, 16/11/2021, n. 34575).
Il ricorso va dunque conclusivamente dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 10200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il