Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18814 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18814 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24054/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME
-ricorrenti- contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1183/2023, depositato il 23/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Catania n. 1183/2023. La Corte d’appello, adita in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 17386/2022, ha rilevato che agli atti risultava prodotto solo il ricorso originario che aveva dato origine al decreto opposto e che mancava ‘tutto il fascicolo di parte del procedimento monitorio, nonché tutti gli atti e i verbali del processo presupposto per cui era stata chiesta l’equa riparazione’, atti indispensabili ‘ai fini della determinazione e quantificazione dell’indennizzo per la durata irragionevole’ del processo. La Corte d’appello ha ritenuto quindi ‘preclusa la possibilità di esaminare la fondatezza della domanda per mancanza degli atti che le parti erano onerate a produrre’ nel giudizio, concludendo che ‘l’opposizione va, quindi, rigettata per mancanza di prova’.
Resiste con controricorso il Ministero della giustizia.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso si articola in quattro motivi, tra loro strettamente connessi:
il primo motivo contesta violazione degli artt. 3, comma 3, della legge n. 89/2001, 640, comma 1, c.p.c., nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che l’onere di produzione documentale introdotto a carico del ricorrente possa costituire, in caso di non assolvimento e in mancanza di sollecitazione, autonoma e sufficiente ragione di un provvedimento di rigetto della domanda di equa riparazione;
il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 101, comma 2 c.p.c., per omessa indicazione alla parte di questione, poi rilevata d’ufficio per la prima volta nel decreto di
rigetto, senza che fossero state sollevate eccezioni dal Ministero rimasto contumace e senza che la questione fosse stata in qualche modo rilevata e dibattuta nel corso del giudizio;
il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., mancata rilevazione che i dati di fatto necessari alla pronuncia erano stati già acquisiti nella fase monitoria e che di tale acquisizione aveva dato atto il giudice della fase monitoria;
il quarto motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione in generale della legge n. 89/2001, art. 2, della CEDU, art. 6, nonché del principio costituzionale del giusto processo ex art. 111 Cost.’ per avere la Corte d’appello ‘in definitiva illegittimamente negato ai ricorrenti l’equo indennizzo dovuto’.
I motivi non possono essere accolti. Questa Corte, con l’ordinanza n. 17386/2022, ha ritenuto fondati i motivi che contestavano la pronuncia di conferma del decreto di inammissibilità della domanda di equa riparazione perché proposta oltre il termine di sei mesi e, ritenuta tempestiva la domanda, ha con rinvio restitutorio rimesso la causa alla Corte d’appello affinché la decidesse nel merito. Il giudice di rinvio, a fronte della mancata produzione del fascicolo di parte del procedimento monitorio e degli atti e verbali del processo presupposto per cui era stata chiesta l’equa riparazione, atti indispensabili ‘ai fini della determinazione e quantificazione dell’indennizzo per la durata irragionevole’ del processo, ha rigettato l’opposizione, rectius la domanda di equa riparazione per mancanza di prova.
Con il primo motivo i ricorrenti contestano alla Corte di avere violato e falsamente applicato l’art. 3, comma 3, della legge n. 89/2001 e l’art. 640, comma 1 c.p.c., ma il richiamo all’art. 3 non è pertinente nel caso in esame. Il terzo comma della disposizione prevede che unitamente al ricorso debba essere depositata copia autentica degli atti relativi al processo presupposto e il quarto comma prevede che trovano applicazione i primi due commi
dell’art. 640 c.p.c. Al riguardo questa Corte ha precisato che ‘il terzo comma dell’art. 3 della legge 89/2001 non tende all’introduzione di un requisito di carattere formale della domanda di equa riparazione di cui alla legge n. 89/2001, incidente sulla relativa procedibilità o ammissibilità, ma si limita a specificare il contenuto dell’onere probatorio gravante sul ricorrente nella fase monitoria del giudizio di equa riparazione’ (Cass. n. 24181/2019). Si tratta appunto di un onere relativo alla fase monitoria (rispetto al cui mancato adempimento ‘il giudice della fase monitoria deve invitare la parte, tramite il cancelliere, a rimediare all’insufficienza della prova, giusta il disposto del primo comma dell’art. 640 c.p.c., espressamente richiamato nel ripetuto quarto comma dell’art. 3 della legge 89/2001’, ancora Cass. n. 24181/2019), che non vale rispetto al giudizio di rinvio in esame. Con l’opposizione fatta valere dai ricorrenti contro il decreto reso nella fase monitoria, si è avuta la devoluzione piena della controversia, senza limitazione di temi o di motivi di censura: oggetto del relativo accertamento non è infatti ‘la legittimità del decreto emesso dal giudice monocratico, né le singole ragioni su cui si basa l’opposizione, ma la fondatezza o meno della pretesa azionata dalla parte privata’ (Cass. n. 20463/2015). Il giudice di rinvio, al quale è stata rimessa la causa, aveva quindi l’obbligo di esaminare la fondatezza della pretesa, rispetto alla quale i ricorrenti avevano l’onere di fornire la prova dei suoi fatti costitutivi, prova che non hanno fornito, essendosi limitati a produrre il ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione.
Al riguardo non è ravvisabile la violazione dell’art. 101, comma 2 c.p.c., denunciata con il secondo motivo: la verifica dell’assolvimento dell’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa è, infatti, parametro necessario per l’accoglimento della domanda, che il giudice è obbligato a compiere e che non può, pertanto, integrare una decisione c.d. ‘ a sorpresa’ per la parte, così che le debba essere assegnato un termine per il deposito di
osservazioni. In altre parole, il riscontro degli elementi costitutivi della domanda non forma oggetto di questione rilevata d’ufficio, giacché esso già appartiene al thema decidendum della causa, scaturendo dagli stessi elementi oggettivi della domanda.
Infondato è anche il terzo motivo, basato sulla circostanza che il giudice monocratico che ha reso il decreto monitorio di inammissibilità abbia osservato che il processo presupposto, della cui irragionevole durata si chiede l’equa riparazione, ha avuto una durata di anni dieci davanti al Tribunale e di anni tre davanti alla Corte d’appello. In primo luogo, si tratta di un mero obiter dictum , avendo il giudice monocratico dichiarato tardiva la domanda; in secondo luogo, come si è già detto, con l’opposizione si è avuta la devoluzione piena al collegio della controversia; in terzo luogo, dalla semplice durata non ragionevole del processo presupposto non deriva l’accoglimento della pretesa di equa riparazione, dovendo essere valutati tutti gli elementi ai quali l’art. 2 della legge n. 89/2001 subordina il riconoscimento del ‘diritto all’equa riparazione’.
Dal rigetto dei primi tre motivi deriva l’assorbimento c.d. improprio del quarto motivo, che si limita a sostenere l’illegittima negazione dell’indennizzo sulla base della fondatezza delle tre censure.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in favore del controricorrente, che liquida in euro 1.500, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda