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Onere della prova e retribuzione: chi deve dimostrare?

Un ex dipendente delle ferrovie, trasferito a un Comune, ha rivendicato il valore economico di un precedente benefit. La Corte di Cassazione ha stabilito un principio chiave sull’onere della prova: una volta che un precedente giudicato ha accertato il diritto del lavoratore a mantenere il trattamento economico, spetta al datore di lavoro (il Comune) dimostrare che nessuna differenza retributiva è dovuta, e non al lavoratore provarne l’esistenza.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova nella Retribuzione: La Cassazione Chiarisce le Regole

Quando un diritto del lavoratore è già stato accertato da una sentenza definitiva, a chi spetta dimostrare l’esistenza e l’ammontare delle differenze retributive in un successivo giudizio? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7464/2024, interviene su un tema cruciale del diritto del lavoro e processuale, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova tra lavoratore e datore di lavoro. Questa decisione sottolinea come un precedente giudicato rafforzi la posizione del creditore, invertendo di fatto l’onere probatorio a carico del debitore.

I Fatti del Caso: Dalla Ferrovia al Comune

La vicenda riguarda un dipendente pubblico, inizialmente impiegato presso le Ferrovie dello Stato e successivamente transitato nei ruoli di un Comune. Durante il suo servizio come ferroviere, il lavoratore beneficiava delle cosiddette ‘concessioni di viaggio’, ovvero una carta di libera circolazione. Una volta passato al Comune, il lavoratore aveva ottenuto una prima sentenza che riconosceva il suo diritto a conservare il trattamento economico complessivo goduto in precedenza, qualora più favorevole, includendo anche il valore delle concessioni di viaggio. Questa sentenza, passata in giudicato, conteneva una condanna generica del Comune al pagamento delle eventuali differenze.
Successivamente, il lavoratore ha avviato un nuovo giudizio per quantificare e ottenere il pagamento di tali differenze, chiedendo una somma basata sul controvalore economico mensile della carta di circolazione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda, sostenendo che fosse suo onere dimostrare che il nuovo trattamento economico complessivo fosse effettivamente peggiorativo rispetto al precedente, e non semplicemente rivendicare il valore di un singolo benefit.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso del lavoratore. I giudici supremi hanno cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione, affinché decida nuovamente la questione applicando i corretti principi in materia di ripartizione dell’onere probatorio.

Le Motivazioni: L’Inversione dell’Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’onere della prova alla luce del precedente giudicato. La Cassazione ha chiarito che, una volta che una sentenza definitiva ha accertato il diritto del lavoratore (la sua posizione di creditore), la dinamica processuale cambia radicalmente.

Il lavoratore, in quanto creditore, ha solo l’obbligo di allegare l’inadempimento del datore di lavoro e di provare la fonte del suo diritto, che in questo caso era la precedente sentenza passata in giudicato. Non era quindi suo compito intraprendere una complessa comparazione tra i due trattamenti economici per dimostrare l’esistenza di una differenza.

Al contrario, l’onere della prova gravava sul datore di lavoro (il Comune), in qualità di debitore. Spettava a quest’ultimo dimostrare di aver adempiuto correttamente alla sua obbligazione, oppure provare l’esistenza di un fatto estintivo della pretesa del lavoratore. In altre parole, il Comune avrebbe dovuto provare che il trattamento economico complessivo offerto era pari o superiore a quello precedente, e che quindi nessuna differenza era dovuta. La Corte d’Appello ha errato nel porre tale onere a carico del lavoratore, rendendo eccessivamente difficile l’esercizio del suo diritto.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il giudice del lavoro, di fronte a una situazione di incertezza probatoria, avrebbe dovuto esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio per acquisire i dati necessari alla comparazione, essendo questi nella piena disponibilità del datore di lavoro.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale a tutela del creditore, specialmente nel contesto dei rapporti di lavoro. Quando un diritto è stato cristallizzato in una sentenza definitiva, il lavoratore non deve sobbarcarsi nuovamente il peso di dimostrarne l’esistenza e la consistenza in un giudizio successivo volto alla sua quantificazione. L’onere della prova si sposta sul datore di lavoro, che deve dimostrare di aver saldato il proprio debito. La decisione rappresenta un importante monito per i datori di lavoro e rafforza la protezione dei diritti dei lavoratori già accertati in sede giudiziale.

A chi spetta l’onere della prova quando un lavoratore chiede il pagamento di differenze retributive già riconosciute in una precedente sentenza?
Secondo la Corte di Cassazione, una volta che una sentenza passata in giudicato ha stabilito il diritto del lavoratore, l’onere della prova si inverte. Spetta al datore di lavoro (debitore) dimostrare di aver adempiuto al pagamento o che il diritto si è estinto, non al lavoratore (creditore) provare nuovamente l’esistenza della differenza retributiva.

Cosa deve fare il lavoratore per ottenere il pagamento in un caso come questo?
Il lavoratore deve semplicemente invocare il titolo giudiziale che attesta il suo diritto (la precedente sentenza definitiva) e allegare l’inadempimento della controparte. Non è tenuto a fornire una complessa comparazione tra i trattamenti economici, poiché questo onere ricade sul datore di lavoro.

Il giudice può intervenire se mancano le prove per calcolare le differenze retributive?
Sì. La Corte ha ribadito che il giudice del lavoro ha la facoltà e il dovere di esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio, specialmente quando i dati necessari al calcolo (come le buste paga e i contratti) sono nella disponibilità del datore di lavoro. Può quindi ordinare l’esibizione di documenti per accertare i fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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