Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1275 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1275 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30762/2020 R.G. proposto da:
ANNUNZIATA NOME RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di MILANO n. 519/2020 depositata il 12/02/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE (‘la Società’) conveniva avanti il Tribunale di Pavia NOME COGNOME per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di € 40.600,00. A sostegno nelle sua pretesa, la Società aveva azionato la domanda quale cessionaria del credito proveniente dalla società RAGIONE_SOCIALE -cessione avvenuta in data 03.12.2010 e notificata al convenuto, debitore ceduto, in data 11.12.2010 – la quale aveva maturato il credito effettuando lavori edili per Barbaglia in virtù di un contratto d’appalto stipulato nel settembre del 2006, avente ad oggetto la realizzazione di opere di recupero di sottotetto ai fini abitativi, eseguite su un immobile sito in Vigevano di proprietà del Barbaglia.
1.1. Spiegava l’attrice che dalla documentazione consegnata ai fini della cessione del credito emergeva che RAGIONE_SOCIALE aveva realizzato solo parte delle opere convenute con le offerte del 12 settembre 2006, avendo la ditta appaltatrice seguito i lavori per un importo complessivo di €32.500 ,00; dettagliava, altresì, che la cedente aveva eseguito molteplici ulteriori lavori non ricompresi tra quelli descritti nelle offerte, per un complessivo valore di €93.000,00. In sintesi, dalla documentazione in atti, risultava che il corrispettivo dei lavori realizzati dalla RAGIONE_SOCIALE in favore del Barbaglia ammontava ad € 120.625,90 (oltre IVA, per complessivi €132.688,49), e che RAGIONE_SOCIALE fosse creditrice per un importo residuo di €83.188,49 (comprensivo di IVA): tale credito è stato oggetto di cessione parziale a favore della società attrice nei limiti di € 40.600,00.
1.2. Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME contestava l’esistenza del credito sotto diversi profili, tra cui l’intervenuto accordo tra le parti nel febbraio del 2008 di porre fine al rapporto contrattuale, con il pagamento del saldo a favore della RAGIONE_SOCIALE e l’affidamento del
completamento dell’opera ad altre imprese. Eccepiva, quindi, il convenuto la nullità del contratto di cessione del credito.
1.3. Il Tribunale di Pavia, con sentenza n. 15/2018, accertava la cessione del credito per l’importo preteso da parte attrice, rigettava le domande di risarcimento e compensazione elevate dal convenuto condannandolo al pagamento di € 40.600,00 detratto quanto già versato dal convenuto a favore della società appaltatrice, per il pagamento delle fatture nn. 28 e 36, a mezzo di bonifico e assegni nel febbraio 2008.
Avverso la sentenza di primo grado interponeva appello NOME COGNOME. Costituitasi, la Società chiedeva il rigetto dell’impugnazione e, in via di appello incidentale, la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso parte del credito vantato. La Corte d’Appello di Milano accoglieva il gravame, ritenendo non fornita la prova del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE oggetto di cessione. A sostegno della sua decisione, per quel che qui ancora rileva, osservava la Corte che:
-non si condividono le eccezioni sollevate dall’appellata in ordine all’inammissibilità dei motivi di impugnazione in quanto fondati su eccezioni proposte per la prima volta in comparsa conclusionale: il COGNOME, nella comparsa di costituzione in giudizio, aveva ben contestato l’avvenuta esecuzione di talune opere , come anche l’esistenza ed entità del credito azionato, rimettendo alla Società l’onere della prova dell’oggettiva quantificazione. In comparsa conclusionale il COGNOME avrebbe sviluppato questioni di diritto, non di fatto, rispetto alle quali non è possibile applicare il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ;
in accoglimento delle doglianze dell’appellante, deve escludersi che la società appellata abbia fornito la prova del credito vantato da
RAGIONE_SOCIALE oggetto di cessione, quantificato in €132.688,49 quale corrispettivo dei complessivi lavori eseguiti: infatti, la perizia di parte non può di per sé fornire prova del credito, né costituire presupposto fondante per il riconoscimento dei fatti contestati; allo stesso modo la fattura non rappresenta prova del credito, in quanto oggetto di contestazione; neanche le prove testimoniali hanno consentito di raggiungere la prova della quantificazione del credito;
risulta, invece, dimostrato come il COGNOME avesse direttamente pagato i fornitori dell’appaltatrice, per una somma complessiva di €170.000,00, mentre la quantificazione del credito azionato non ha tenuto conto dei pagamenti effettuati dal COGNOME a scomputo dei lavori effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE per complessivi e documentati €117.150,00, sicché il credito d ella Società sarebbe al più pari ad euro 15.538,49 (€132.688,49 credito affermato -€117.150,00 pagamenti provati), cioè inferiore a quanto asseritamente ceduto e azionato in giudizio;
La suddetta sentenza veniva impugnata per la cassazione dalla NOME NOME RAGIONE_SOCIALE, e il ricorso affidato a tre motivi.
Si difendeva COGNOME NOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), 115 comma 1, 167, comma 1, 183 e 345 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. La ricorrente si duole della mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello in presenza di fatti non contestati ex art. 115 cod. proc. civ., poiché nessuna difesa era stata articolata dal COGNOME né con
riferimento all’entità del credito della RAGIONE_SOCIALE, che poi ha dato luogo alla cessione parziale in favore della ricorrente, né con riferimento alle specifiche opere realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), 115 comma 1, 167, comma 1, 167, comma 1, 183 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. Secondo la prospettazione della ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe dovuta limitare a rilevare l’adeguata motivazione del giudice di prime cure con riferimento ai fatti contestati dal convenuto, ovvero: la nullità della cessione e la presunta sussistenza di un accordo tra le parti in relazione al saldo dovuto alla RAGIONE_SOCIALE La Corte d’Appello, invece, si è pronunciata su questioni (quali la natura a corpo del contratto, l’eccezione di incompletezza della perizia di parte, l’eccezione di mancato assolvimento dell’onere probatorio), erroneamente definite dalla Corte d’appello come «di diritto», in quanto tali non soggette a censura di tardività, ai sensi degli artt. 167, comma 1 e 183 cod. proc. civ., né all’applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi attengono alla tardività delle eccezioni e all’operatività del principio di non contestazione, e sono entrambi infondati. La documentata contestazione a cura del convenuto (v. controricorso p. 13) in sede di comparsa di costituzione e risposta, ex art. 167 cod. proc. civ., della: a) nullità della cessione del credito per indeterminatezza dell’oggetto; b) dell’insussistenza del credito residuo, include tutte le pretese non contestazioni elencate alla p. 9 del ricorso, così traducendosi esattamente in quella contestazione dei fatti del processo richiesta dall’art. 115 cod. proc. civ. al fine di consentire al giudice la determinazione della loro dimensione giuridica (Cass. Sez.
3, Sentenza n. 8213 del 04/04/2013, Rv. 625786 -01, richiamata in modo inconferente dalla ricorrente). Va, d’altro canto, osservato che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto «fatti storici sottesi a domande ed eccezioni» (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2020, n. 6172, Rv. 657154-01), le une e le altre da intendersi in senso sostanziale, atteso che il principio è stato sempre interpretato nel senso che, «imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte» (o, per converso, all’attore di prendere posizione sui fatti modificativi o estintivi allegati dal convenuto; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 3 maggio 2016, n. 8647, Rv. 639713-01), determina «effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti» (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2013, n. 15658, Rv. 626904-01). Il principio di non contestazione ha per oggetto i fatti storici sottesi a domande ed eccezioni, ma non le conclusioni ermeneutiche da trarre, in ordine all’interpretazione di documenti contrattuali o delle risultanze istruttorie o in parte processuali (comparsa di costituzione e risposta di prime cure); la non contestazione, cioè, non può riguardare, come nel caso, prim’ancora che, comunque inammissibilmente, documenti (cfr. Cass., 21/06/2016, n. 12748) e conclusioni ricostruttive concernenti, pertanto, la valutazione degli stessi (cfr. anche Cass., 21/12/2017, n. 30744).
Con il terzo motivo – proposto in via subordinata in caso di mancato accoglimento dei motivi precedenti – la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 4), cod. proc. civ., 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 476 cod. civ. e quindi in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. La ricorrente deduce che la prova dell’esistenza e dell’entità del credito vantato dalla cedente RAGIONE_SOCIALE è stata fornita sia dalla documentazione prodotta dalla Società, sia dalle prove testimoniali; pertanto, a dispetto della motivazione della Corte di merito, la contabilità dei lavori prodotta dall’attrice non aveva affatto trascurato i lavori eseguiti da altre imprese e i materiali acquistati direttamente dal Barbaglia presso altri fornitori. La Corte territoriale, in altri termini, ha erroneamente ritenuto inesistenti prove debitamente acquisite al processo.
4.1. Il motivo è inammissibile. La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità, non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma soltanto qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto la rilevanza, motivando sul punto (Cass., 28/02/2018, n. 4699; Cass., 11/10/2016, n. 20382).
La parte censurata della sentenza impugnata ha tenuto conto di tutta la documentazione prodotta, incluso il corrispettivo originariamente pattuito e l’importo effettivamente corrisposto dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE (v. sentenza p. 6, 1° capoverso): pertanto, la doglianza della ricorrente investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile neppure attraverso il richiamo fatto all’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di
merito. Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite (Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023), in virtù dei quali in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 6 giugno 2023.
La Presidente
NOME COGNOME