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Onere della prova e danno: il ricorso inammissibile

Un’impresa edile ha citato in giudizio i promissari acquirenti di un immobile per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’asserita occupazione illegittima, a seguito della dichiarazione di nullità del contratto preliminare. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. La Suprema Corte ha ribadito che l’onere della prova del danno spetta a chi lo richiede, e la società ricorrente non è riuscita a dimostrare né l’effettiva occupazione dell’immobile, né l’esistenza di un concreto pregiudizio economico.

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Onere della Prova: Chi Chiede il Risarcimento Deve Dimostrare il Danno

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sul principio dell’onere della prova nel contesto del risarcimento danni per occupazione illegittima di un immobile. La vicenda, nata dalla nullità di un contratto preliminare di compravendita, si è conclusa con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’impresa costruttrice, che non è riuscita a convincere i giudici della fondatezza delle proprie pretese risarcitorie.

I Fatti del Caso

Due privati cittadini avevano stipulato un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile da un’impresa di costruzioni. Successivamente, gli acquirenti hanno agito in giudizio lamentando che l’impresa non aveva prestato la fideiussione obbligatoria per legge (D.Lgs. n. 122 del 2005) e che l’immobile presentava vizi. Hanno quindi chiesto la dichiarazione di nullità del contratto e la restituzione della caparra versata.

L’impresa si è difesa e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna degli acquirenti al risarcimento dei danni per l’occupazione, a suo dire illegittima, dell’immobile, protrattasi dal momento della consegna fino all’effettivo rilascio.

Il Tribunale di primo grado ha dichiarato la nullità del preliminare per la mancata prestazione della fideiussione, ha condannato l’impresa a restituire la caparra, ma ha respinto le domande di risarcimento danni di entrambe le parti. La decisione è stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’impresa costruttrice ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). Secondo la ricorrente, sarebbe spettato agli acquirenti dimostrare di aver riconsegnato l’immobile e non a lei provare di averlo ricevuto in piena disponibilità.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la società al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende. La decisione si fonda su argomentazioni procedurali e di merito molto chiare, che ruotano attorno al concetto di onere della prova.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, i motivi di ricorso tentavano di ottenere un riesame dei fatti e una nuova valutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio, ma valuta solo la corretta applicazione della legge.

Il punto centrale, però, risiede nell’analisi dell’onere della prova. I giudici di merito avevano evidenziato un “deficit probatorio” da parte dell’impresa. Quest’ultima non solo non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare che gli acquirenti avessero effettivamente e continuativamente abitato l’immobile, ma non aveva neppure provato il danno economico subito. Per ottenere un risarcimento, non basta affermare che un bene è stato occupato; bisogna dimostrare il pregiudizio concreto, ad esempio provando che l’immobile avrebbe potuto essere locato a terzi e producendo un reddito.

La Corte d’Appello aveva ulteriormente rafforzato questa motivazione (creando una autonoma “ratio decidendi”) rilevando che, pochi mesi dopo la presunta immissione in possesso, il Comune aveva dichiarato la totale inagibilità del fabbricato a seguito di eventi atmosferici. Questo fatto rendeva impossibile attribuire un valore commerciale all’immobile e, di conseguenza, liquidare un danno da mancato guadagno.

La società ricorrente, nei suoi motivi, non ha efficacemente contestato tutte queste autonome ragioni che sorreggevano la sentenza d’appello. Secondo un principio consolidato, quando una decisione si basa su più motivazioni indipendenti, il ricorrente deve censurarle tutte. Se anche una sola di esse resiste, il ricorso diventa inammissibile per difetto di interesse, poiché il suo accoglimento non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi agisce in giudizio per ottenere un risarcimento del danno ha l’onere della prova di dimostrare non solo l’evento lesivo (in questo caso, l’occupazione), ma anche l’esistenza e l’ammontare del pregiudizio economico subito. Non è possibile basare una richiesta risarcitoria su mere affermazioni o presunzioni generiche. La parte che lamenta un danno deve fornire al giudice elementi concreti e sufficienti per la sua valutazione e liquidazione. In mancanza di tale prova, come nel caso di specie, la domanda è destinata ad essere respinta.

A chi spetta l’onere della prova in una richiesta di risarcimento per occupazione illegittima?
Spetta alla parte che chiede il risarcimento (in questo caso, l’impresa venditrice) dimostrare sia l’effettiva occupazione del bene, sia il concreto danno economico che ne è derivato, come il mancato guadagno per l’impossibilità di locare l’immobile a terzi.

Perché il ricorso dell’impresa è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché non ha contestato tutte le autonome ragioni (rationes decidendi) su cui si fondava la sentenza d’appello e perché cercava di ottenere un riesame dei fatti e delle prove, attività che non è consentita in sede di legittimità.

È sufficiente dimostrare l’occupazione di un immobile per ottenere un risarcimento?
No, non è sufficiente. Oltre a provare l’occupazione, la parte che chiede il risarcimento deve fornire elementi sufficienti a dimostrare che il bene era idoneo a produrre un reddito (ad esempio, era commerciabile e agibile) e a quantificare il danno subito. Nel caso specifico, la successiva dichiarazione di inagibilità dell’immobile ha reso impossibile provare un danno economico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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