Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14195 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14195 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 16425/20 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) Comune di Pompei, in persona del Commissario prefettizio pro tempore , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli 9 ottobre 2019 n. 4909; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Nel 2016 la società RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata il Comune di Pompei, esponendo:
-) di avere ricevuto in appalto dall ‘ RAGIONE_SOCIALE comunale la gestione dei servizi cimiteriali;
-) di aver eseguito lavori per l ‘ importo di euro 443.694,70;
-) di non aver ricevuto alcun compenso o indennizzo per le suddette opere. Concluse pertanto chiedendo in via principale la condanna del Comune al pagamento della suddetta somma; in via subordinata la condanna del Comune al pagamento dell ‘ equo indennizzo per ingiustificato arricchimento.
Oggetto:
ingiustificato
arricchimento inammissibilità ricorso.
–
del
Il Comune di Pompei – secondo quanto riferisce la sentenza impugnata – si costituì eccependo che i lavori per i quali la società attrice chiedeva di essere compensata non erano stati mai autorizzati dall ‘ RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza 20 giugno 2018 n. 1503 il Tribunale di Torre Annunziata rigettò la domanda di adempimento e dichiarò inammissibile quella di ingiustificato arricchimento, per difetto del requisito della sussidiarietà.
La sentenza fu appellata dalla parte soccombente.
Con sentenza 9 ottobre 2019 n. 4909 la Corte d ‘ appello di Napoli rigettò il gravame.
La Corte d ‘ appello ritenne che:
-) l ‘ RAGIONE_SOCIALE comunale, nel costituirsi in primo grado, aveva validamente contestato che la NOME avesse effettivamente realizzato le opere per le quali chiedeva il compenso;
-) tale contestazione ribaltava sull ‘ attrice l ‘ onere di provare il fatto costitutivo della pretesa;
-) la NOME non aveva né provato, né chiesto di provare, l ‘ effettiva esecuzione delle opere per le quali chiedeva il pagamento del compenso o l ‘ indennizzo per ingiustificato arricchimento;
-) tale difetto di prova rendeva superfluo accertare se e nel caso di specie ricorresse o meno il requisito della sussidiarietà di cui all ‘ articolo 2041 c.c..
La sentenza d ‘ appello è stata impugnata per Cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Pompei ha resistito con controricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all ‘ art. 380 bis , secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo è denunciata la violazione dell ‘ articolo 115 c.p.c.. Nell ‘ illustrazione di esso si sostiene che tale norma sarebbe stata violata perché la Corte d ‘ appello ha rigettato la domanda nonostante
l ‘ RAGIONE_SOCIALE comunale non avesse specificamente contestato i fatti posti dall ‘ attrice a fondamento della domanda.
1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c., per estraneità alla ratio decidendi .
La Corte d ‘ appello, infatti, ha espressamente affrontato il tema della specificità della contestazione dei fatti da parte del Comune di Pompei, e l ‘ ha risolto osservando (foglio quattro, secondo e terzo capoverso, della sentenza impugnata) che dalla comparsa di costituzione e risposta del Comune, depositata in primo grado, ‘ emergeva chiaramente l ‘ avvenuta contestazione circa l ‘ avvenuta esecuzione dei lavori ‘ .
Il motivo trascura di prendere in esame questo passo della motivazione, limitandosi a censurare la sentenza d ‘ appello per aver rigettato una domanda ‘non contestata’ , e deducendo per tal ragione la violazione del principio di non contestazione.
Ma la sentenza d ‘ appello quel principio non l ‘ ha affatto violato, nel momento in cui ha ritenuto validamente effettuata, da parte del Comune, la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa attorea. Sarebbe stato dunque onere della ricorrente indicare chiaramente, assolvendo l ‘ onere impostole dal ricordato articolo 366 n. 4 c.p.c., se e per quali ragioni la Corte d ‘ appello, ritenendo validamente compiuta una contestazione in realtà non esistente, aveva travisato gli atti di causa.
Il secondo motivo, formalmente rubricato ‘ violazione dell ‘ articolo 115 c.p.c. in relazione all ‘ articolo 360 n. 5 c.p.c. ‘ , censura la sentenza d ‘ appello per avere ritenuto valida e specifica una contestazione che in realtà si sarebbe dovuta ritenere generica, e come tale inefficace.
2.1. Il motivo, da riqualificare ex officio come violazione dell ‘ art. 115 c.p.c. proposta ai sensi dell ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., è inammissibile per violazione dell ‘ onere di specificità, imposto dall ‘ art. 366, n. 6, c.p.c..
Denunciare in sede di legittimità il travisamento o l ‘ erronea interpretazione d ‘ un atto processuale è un motivo di ricorso che, per usare le parole della
legge, ‘si fonda’ sull ‘ atto del cui mancato esame il ricorrente si duole (nella specie, la comparsa di risposta del Comune).
Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l ‘ onere di ‘indicarli in modo specifico’ nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).
‘Indicarli in modo specifico’ vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis , Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Di questi tre oneri, il ricorrente non ha assolto il primo. Il ricorso, infatti, non riassume né trascrive il contenuto della comparsa di costituzione e risposta del Comune. Si limita a dedurre che al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d ‘appello, ‘ l ‘ uso del modo condizionale, da solo, non soddisfa il requisito della specifica contestazione ‘ . Il che potrebbe anche essere esatto in teoria, ma in assenza di una adeguata illustrazione del contenuto dell ‘ atto che si assume malamente interpretato, la censura è inammissibile.
Col terzo motivo la NOME sostiene che erroneamente la Corte d ‘ appello le ha ascritto di non avere ‘nemmeno richiesto di provare’ i fatti costitutivi della pretesa. Deduce di avere formulato a tal riguardo sia una richiesta di prova testimoniale, sia una richiesta di prova per interpello, sia una istanza di c.t.u.; di averle formulate con la prima memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c; che tutte queste richieste furono rig ettate ‘senza nessuna motivazione’ dal Tribunale; di averle riproposte in appell o ‘ anche in udienza’ ; che la Corte d ‘ appello addirittura ritenne non formulata alcuna istanza istruttoria.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, ed in questo caso per plurime ed indipendenti ragioni:
ai sensi dell ‘ art. 366, n. 6, c.p.c., per mancata indicazione del contenuto delle prove che si assumono richieste e non ammesse (l ‘ elenco di cui a p. 4 del ricorso, infatti, non è che la trascrizione del motivo d ‘ appello, non delle richieste istruttorie);
ai sensi dell ‘ art. 366, n. 3, c.p.c., per mancata indicazione dell ‘ avvenuta reiterazione analitica delle richieste istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni (così ribadito, da ultimo, da Sez. U – , Sentenza n. 9456 del 06/04/2023);
infine, perché quello denunciato (avere ritenuto ‘non richieste’ prove ritualmente formulate), non essendovi stata discussione su questo punto tra le parti, costituisce un errore revocatorio, da far valere ai sensi dell ‘ art. 395 n. 4 c.p.c., e non col ricorso ordinario per cassazione.
Col quarto motivo è denunciata la nullità della sentenza ai sensi dell ‘ art. 132 c.p.c., per motivazione apparente, nonché il vizio di omesso esame di ‘fatti decisivi’.
L ‘ illustrazione del motivo è così strutturata:
-) dapprima sono trascritte integralmente le censure contenute nell ‘ atto d ‘ appello (pp. 13-24);
-) segue l ‘ affermazione secondo cui il contratto stipulato tra la NOME e il Comune di Pompei fu risolto unilateralmente dal Comune, e che la NOME aveva chiesto in giudizio ‘ quello che non si è potuto ammortizzare non per una fluttuazione del mercato o variazione dei costi, ma perché non è stato concesso lo sfruttamento economico di quanto realizzato, che è il corrispettivo della prestazione ricevuta ‘ ;
-) quindi il motivo si conclude con l ‘ affermazione che il giudice di appello ‘ aveva omesso qualsiasi pronuncia sull ‘ applicabilità dell ‘ articolo 1665 c.c. ‘.
4.1. Il motivo è inammissibile, o fors ‘ anche inesistente, per totale inintelligibilità. Da esso infatti non è dato evincere alcuna ragionata censura avverso la sentenza d ‘ appello.
Il quinto motivo è così intitolato: ‘ violazione dell ‘ art. 112 e dell ‘ art. 116 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione all ‘ art. 360 n. 4 sulle istanze istruttorie e sulla domanda proposta ex art. 2041 c.c. anche in relazione all ‘ articolo 360 n. 3 e n. 5 per avere il giudice a pag. 4 della sentenza cassanda ritenuta assorbita la domanda di indebito, né motivato la mancata assunzione dei mezzi di prova richiesti, né dato valore di prova alle approvazioni tecnico/progettuali da parte dell ‘ ente resistente in atti ‘ .
L ‘ illustrazione del motivo, estesa alle pp. 25-26 del ricorso è così concepita:
-) nei primi due capoversi di p. 25 si assume che il ‘ rimedio restitutorio proposto’ dalla NOME ‘era legittimo’, perché dopo la risoluzione del contratto (deve ritenersi: stipulato col Comune) aveva diritto alla ‘ restituzione delle forniture’ ;
-) l ‘ illustrazione prosegue chiedendosi perché mai nessuno dei giudici ‘interpellati’ avesse ‘disposto la restituzione dei materiali’ , e sostenendo che ‘ proprio la sussidiarietà della domanda di arricchimento avrebbe dovuto indurre il RAGIONE_SOCIALE partenopeo a pronunciarsi sulla stessa’ ;
-) l ‘ illustrazione del motivo prosegue trascrivendo una massima di questa Corte in tema di ingiustificato arricchimento, e si conclude (p. 26) con le seguenti due affermazioni: che il Comune ‘ utilizzando i lavori eseguiti aveva dato prova che gli stessi erano stati eseguiti’ , e che ‘ l ‘ istanza istruttoria non esaminata’ (non si chiarisce quale) sarebbe stata decisiva.
5.1. Questa Corte, dopo avere ripetutamente letto questa parte del ricorso e cercato di trarne un qualsiasi senso, deve arrendersi all ‘ evidenza che esso è manifestamente inammissibile per assoluta incomprensibilità, oltre che per manifesta incoerenza rispetto al contenuto della sentenza impugnata.
In esso non si chiarisce quale domanda non sarebbe stata esaminata; quale rimedio restitutorio sarebbe stato proposto, di quale significato, di quale contenuto, di quale finalità, di quale oggetto; né quale istanza istruttoria sarebbe stata rigettata; né è formulata una chiara censura avverso la statuizione che ha ritenuto non esservi ‘ né prova, né richiesta di prova ‘ sull ‘ esecuzione dei lavori; né vi si chiarisce – in violazione dell ‘ onere di cui all ‘ art. 366, n. 6, c.p.c. – quali siano, quando siano stati depositati, dove si
trovino e quale sia il contenuto dei documenti complessivamente definiti ‘ approvazioni tecnico/progettuali’ del cui omesso esame, confusamente, si duole.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore di Comune di Pompei delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 8.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; (-) ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater previsto per il ricorso a norma del comma 1bis
, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della