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Onere della prova diffamazione: il caso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in un caso di presunta diffamazione, stabilendo un principio chiave sull’onere della prova. Un dirigente di un comitato utenti aeroportuale aveva citato in giudizio il direttore operativo dell’aeroporto per delle critiche ricevute. La difesa si basava sul fatto che la condotta criticata era stata eseguita su ordine di un ‘marshall’. La Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che rigettava la domanda, poiché l’attore non è riuscito a dimostrare che il direttore fosse a conoscenza di tale ordine. Questo caso sottolinea che, in materia di onere della prova diffamazione, non basta provare l’ingiustizia della critica, ma anche la consapevolezza di tale ingiustizia da parte di chi l’ha mossa.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della prova diffamazione: quando la critica è lecita?

L’onere della prova diffamazione è un pilastro del nostro sistema legale, specialmente quando si tratta di distinguere tra una critica legittima e un’offesa perseguibile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali su questo tema, analizzando un caso complesso sorto in un contesto aeroportuale. La vicenda riguarda le accuse mosse da un direttore operativo contro il presidente di un comitato utenti per un presunto parcheggio irregolare di un aeromobile. La decisione finale della Suprema Corte ribadisce che chi si sente diffamato ha il compito non solo di dimostrare che la critica era ingiusta, ma anche che chi l’ha formulata era consapevole di tale ingiustizia.

I Fatti del Caso: un’accusa durante una riunione

La controversia ha origine durante una riunione del Comitato di Sicurezza Operativa di un aeroporto. Il direttore operativo della società di gestione accusa il presidente del comitato utenti, non presente all’incontro, di aver parcheggiato il proprio aereo privato in una zona destinata alla viabilità, violando le norme di sicurezza. Il direttore, inoltre, non si limita a contestare l’episodio specifico, ma allarga la critica parlando di una generale “mancanza di cultura”, di un “continuare di episodi” e di “solite persone” che “mollano l’aeromobile in mezzo alla viabilità da sempre”.
Il presidente del comitato, sentendosi leso nella reputazione e nell’onore, avvia una causa per risarcimento danni, sostenendo che le accuse fossero false. La sua difesa si fondava su un fatto cruciale: il parcheggio era avvenuto su esplicito ordine di un “marshall” aeroportuale, un addetto al controllo del traffico a terra. Di conseguenza, la sua condotta non era né volontaria né negligente, e le critiche del direttore erano del tutto immeritate e quindi diffamatorie.

L’Iter Giudiziario e l’onere della prova diffamazione

Il percorso legale del caso è stato lungo e articolato. Inizialmente, il Tribunale rigettò la domanda, ma la Corte d’Appello ribaltò la decisione, condannando il direttore al risarcimento. I giudici d’appello ritennero decisivo l’ordine del marshall, considerando questo fatto come non contestato dal direttore e quindi provato.

Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una prima pronuncia, annullò questa sentenza. La Suprema Corte stabilì che il principio di non contestazione non può applicarsi a fatti che non sono a diretta conoscenza della parte. Non si poteva dare per scontato che il direttore sapesse dell’ordine del marshall. Pertanto, il caso fu rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.
Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello, seguendo le indicazioni della Cassazione, ha rigettato la domanda risarcitoria. Ha correttamente posto sull’attore (il presidente del comitato) l’onere della prova diffamazione, richiedendogli di dimostrare due elementi:
1. L’esistenza dell’ordine del marshall.
2. La conoscenza di tale ordine da parte del direttore operativo al momento delle sue dichiarazioni.
Poiché l’attore non è riuscito a fornire prove su questo secondo, fondamentale punto, la sua domanda è stata respinta.

Le Motivazioni della Cassazione

Il presidente del comitato ha nuovamente impugnato la decisione davanti alla Cassazione, sollevando due motivi, entrambi respinti.

Il primo motivo lamentava un’omessa pronuncia, sostenendo che i giudici di rinvio si fossero concentrati solo sull’episodio del parcheggio, ignorando le frasi più generiche e offensive (“mancanza di cultura”, “solite persone”). La Cassazione ha ritenuto questo motivo infondato, spiegando che la Corte d’Appello aveva implicitamente valutato anche queste frasi, concludendo che non erano dirette specificamente all’attore ma a una pluralità indistinta di soggetti aeroportuali, escludendone così il carattere offensivo personale.

Il secondo motivo denunciava una violazione delle norme sulle presunzioni. L’attore sosteneva che, dato il ruolo di vertice del direttore, si dovesse presumere la sua conoscenza dell’ordine del marshall. Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ribadito che la valutazione delle prove, incluse quelle presuntive, è un compito del giudice di merito. Tentare di far valere una presunzione in sede di legittimità equivale a chiedere un nuovo giudizio sui fatti, cosa non consentita. La Corte di merito aveva motivatamente escluso che si fosse raggiunta la prova “certa” della conoscenza del fatto da parte del direttore, e questa valutazione è insindacabile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza fornisce un’importante lezione sull’onere della prova diffamazione. Per ottenere un risarcimento, non è sufficiente dimostrare che una critica ricevuta era oggettivamente ingiusta. È necessario andare oltre e provare che la persona che ha mosso la critica era consapevole della sua ingiustizia. In assenza di tale prova, la condotta non può essere considerata illecita, in quanto manca l’elemento soggettivo dell’animus iniuriandi, ovvero la volontà di offendere. Il semplice ruolo professionale di una persona non è di per sé sufficiente a creare una presunzione legale sulla sua conoscenza di ogni singolo fatto che accade nell’ambito della sua competenza.

A chi spetta l’onere della prova in un caso di diffamazione per critiche ingiuste?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta interamente alla persona che si ritiene diffamata (l’attore). Questa deve dimostrare non solo che la critica era oggettivamente ingiusta (ad esempio, perché la condotta criticata era giustificata da un ordine), ma anche che la persona che ha mosso la critica (il convenuto) era a conoscenza dei fatti che la rendevano ingiusta.

Il ruolo professionale di una persona è sufficiente a presumere la sua conoscenza di specifici fatti aziendali?
No. La Corte ha stabilito che il ruolo di alto livello ricoperto da una persona (in questo caso, direttore operativo di un aeroporto) non è sufficiente a presumere, con la certezza richiesta dalla legge, la sua conoscenza di ogni specifico evento operativo, come un ordine impartito da un marshall. La conoscenza deve essere provata in modo specifico e non può essere solo ipotizzata in base alla posizione gerarchica.

Cosa si intende per principio di non contestazione e quali sono i suoi limiti?
Il principio di non contestazione stabilisce che i fatti affermati da una parte, se non vengono specificamente contestati dalla controparte, si considerano provati. Tuttavia, come chiarito in questo caso, tale principio ha un limite fondamentale: non si applica ai fatti che non sono a diretta conoscenza della parte che dovrebbe contestarli. Non si può esigere che una parte contesti un fatto di cui, ragionevolmente, non poteva essere a conoscenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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