Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11080 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11080 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11216/2024 R.G. proposto da :
COGNOME, RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale legale
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dal l’avv . COGNOME NOMECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, con domiciliazione digitale legale
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 933/2023 depositata il 31/10/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Messina, con sentenza n. 864/2021, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta da NOME COGNOME in relazione ad articoli asseritamente diffamatori, nei confronti di NOME COGNOME direttore responsabile di ‘Gazzetta del Sud’ -e di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, RAGIONE_SOCIALE – editrice di tale quotidiano -; si trattava di articoli, pubblicati dal 4 maggio 2001 al 25 ottobre 2003, che avevano propalato, tra l’altro, che l’attore fosse stato indagato per l’omicidio di NOME COGNOME commesso il 20 maggio 1999 dalle Brigate Rosse, pur non essendo egli mai stato iscritto al registro degli indagati per questo reato.
Il Natali proponeva appello, cui resistevano le controparti.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 933/2023, accogliendo il gravame condannava in solido gli appellati a risarcire l’appellante nella misura di euro 40.000, oltre interessi dalla sentenza al saldo.
Hanno proposto ricorso, sulla base di tre motivi, RAGIONE_SOCIALE e, quale direttore responsabile del quotidiano, NOME COGNOME. Il Natali si è difeso con controricorso.
Memorie hanno depositato sia i ricorrenti sia il controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 In primo luogo va rilevato che è correttamente stato eccepito nel controricorso il difetto di legittimazione attiva del
COGNOME, in quanto l’azione è stata rivolta nei confronti del COGNOME come personalmente responsabile all’epoca in cui era il direttore del giornale; e rispetto all’attività di Gazzetta del Sud, d’altronde, è stata citata la editrice. Il ricorso del COGNOME è pertanto inammissibile.
1.2 Nella memoria dei ricorrenti, si sostiene che, anche qualora il COGNOME sia privo di legittimazione attiva, il litisconsorzio non sarebbe completo per omessa estensione del contraddittorio agli eredi del COGNOME, deceduto nelle more. Premesso che il Notarstefano, come si è appena visto, non può presentare neppure eccezioni lato sensu per il suo difetto di legittimazione, la questione è invece veicolabile da RAGIONE_SOCIALE, ma non ha sostanza poiché si è dinanzi ad obbligazioni solidali di quest’ultima e degli eredi del Calarco, onde non sussiste litisconsorzio necessario bensì possono scindersi le relative cause, qualora siano state entrambe instaurate. Nel caso in esame, dunque, è inammissibile quella che costituisce una sostanziale istanza di integrazione del contraddittorio presentata da RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE allora, denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. in relazione agli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. ‘anche in relazione criteri di distribuzione dell’onere probatorio’.
2.1 Si osserva che la Corte territoriale afferma che l’appellante/attore ha ‘dimostrato il fatto della pubblicazione di notizia non vera … mancando, di contro, la prova della effettiva verità o veridicità anche putativa di tale notizia’, non avendo gli appellati – gravati di tale onere ‘dimostrato che le notizie … fossero tratte da fonti qualificate e, quindi, tali da esonerarli da ulteriori verifiche’.
Si oppone che, come evidenziato già nella comparsa d’appello e anche ‘nei precedenti e successivi scritti difensivi’, la non iscrizione di NOME COGNOME nel registro degli indagati anche per il delitto COGNOME sarebbe stata ‘facilmente dimostrabile’ dall’attore stesso. Sarebbero violati gli articoli 2043 e 2697 c.c., che a quest’ultimo avrebbero attribuito l’onere di provare la falsità della notizia; controparte, solo se ciò venisse adempiuto, avrebbe poi l’onere di provare ‘l’effettuazione delle dovute … verifiche’.
Si riportano poi passi della sentenza del Tribunale, della comparsa d’appello, della conclusionale d’appello e della replica d’appello per addurre altresì che l’errore del riparto dell’onere probatorio avrebbe qui inciso sull’articolo 2043 c.c. oltre che sull’articolo 2697 c.c., e che sarebbe ricaduto pure sulla corretta applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. Si rammenta, ancora, che la giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che l’esercizio di cronaca è legittimo, sia se riguarda fatti veri, sia se riguarda fatti che apparivano all’epoca veri, per cui il giornalista è libero da responsabilità qualora provi non la verità storica dei fatti, bensì la loro verosimiglianza: fornita questa prova, è onere del diffamato provare che l’invocata fonte già all’epoca era inattendibile (Cass. 9458/2013).
2.2 Seguendo l’impostazione delineata dal motivo, l’attore dovrebbe provare non solo la pubblicazione/diffusione del fatto, ma anche la sua non veridicità (onere della prova della falsità della notizia).
Al contrario, l’attore deve provare ‘il fatto della pubblicazione diffamatoria’ e controparte deve allora provare la verità della notizia, anche putativa per ‘verosimiglianza dei fatti in relazione alla attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all’attore dimostrarne l’inattendibilità’ (così, da ultimo, tra gli
arresti massimati, Cass. sez. 3, ord. 26 aprile 2022 n. 12985; e cfr. pure Cass. sez. 3, 8 aprile 2013 n. 9458 e Cass. sez. 3, 29 maggio 2014 n. 12056).
Il motivo, pertanto, è manifestamente infondato.
3.1 Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2097, 2697 c.c., 184, 115 e 116 c.p.c. per non avere il giudice d’appello riconosciuto ‘l’esimente putativa nella valutazione del requisito di verità’ anche per le pubblicazioni del 31 gennaio 2002, del 18 luglio 2002, del 26 aprile 2003 (questo pure per il requisito di critica politica) e del 25 ottobre 2003; denuncia altresì, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per difetto di motivazione in relazione agli articoli 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per la ‘mancata ammissione e consequenziale assunzione di prove riproposte in appello’ e non ammesse in primo grado.
Si riportano un passo tratto dalla pagina 10 della sentenza di primo grado e un ampio passo tratto dalle pagine 14-17 della sentenza d’appello: ciò per sostenere che la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con il diritto alla critica politica per l’articolo del 26 aprile 2003 e che avrebbe dato per falsa ‘la notizia pubblicata in assenza di alcun elemento … in tale direzione’.
Si argomenta poi sulle istanze di prova che gli attuali ricorrenti avevano presentato in primo e in secondo grado, e per evidenziare un ‘difetto motivazionale’ violante gli articoli 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
3.2 Quanto al preteso difetto motivazionale, il motivo è palesemente infondato, considerata l’accurata ed estesa motivazione della sentenza d’appello.
Per il resto, si ritorna sul piano fattuale dell’accertamento, per il quale evidentemente il giudice d’appello ha ritenuto inutili le
prove richieste (si nota, d’altronde, che al riguardo la censura non è autosufficiente, in quanto non riporta i capitoli delle stesse): e questo ben si comprende -si nota incidenter -perché quanto riconosciuto si circoscrive ad aver presentato, in più articoli, il COGNOME come indagato per l’omicidio COGNOME senza aver verificato ciò ‘da fonti qualificate’ (tale non essendo stata ritenuta dal giudice di merito la -sola – ANSA); e infatti (si veda la sentenza, sub 7) il COGNOME non era iscritto nel registro degli indagati per tale omicidio.
Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 1227, 2043, 2056, 2697, 2727, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. quanto alla liquidazione ‘del danno in sé’ e su base quantitativa senza rispettare le regole delle presunzioni.
4.1 Dopo avere riportato un ampio passo della sentenza d’appello in ordine al risarcimento del danno da diffamazione (ricorso, pagine 17-18; e in seguito vengono riportati anche ulteriori passi), si censura l’avere ancorato il risarcimento ‘esclusivamente alla lesione dei diritti costituzionali’ del Natali, criticando poi l’avere ritenuto ‘gravissima la portata offensiva della notizia’ nell’applicazione delle tabelle milanesi, censurando tale quantificazione (ricorso, pagine 21-22) e attribuendo alla corte territoriale ‘la mancata osservanza degli stessi parametri indicati’ dalle suddette tabelle.
4.2 La Corte d’appello ha ampiamente motivato, sia sull’ an sia sul quantum dei danni, nelle pagine 17-22 della sentenza; quel che il motivo tenta di coprire, in realtà, è la diretta critica all’accertamento fattuale dell’esistenza dei danni e del loro quantum . Il motivo dunque non è accoglibile.
In conclusione, il ricorso di RAGIONE_SOCIALE merita rigetto.
Alla soccombenza sia di RAGIONE_SOCIALE sia di RAGIONE_SOCIALE per il rispettivo ricorso consegue la condanna a rifondere al Natali alle spese, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME; rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE; condanna NOME COGNOME a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 6000, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge; condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 6000, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2025