Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13477 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19611/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME COGNOME domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 6158/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 6158/2019 la Corte d’appello di Napoli respinse l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso la decisione pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva, a sua volta, respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo n. 369/10.
L’odierna ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, lamentò di essere stata erroneamente destinataria del provvedimento monitorio, recante l’importo di euro 38.477,00, quale saldo del prezzo per la fornitura di latte, effettuata in suo favore da NOME COGNOME nel periodo intercorrente dall’ 1.1.2009 al 31.3.2010.
NOME COGNOME sostenne di aver pagato tutte le forniture successive all’indicato periodo, fatta eccezione dell’importo residuo di euro 4.000,00 ‘per come era agevole desumere dalla documentazione fiscale’ che allegò all’opposizione proposta.
2.Osservò, in particolare che ‘se le fatture successive a quelle per le quali risultava asseritamente morosa erano state saldate, giocoforza anche quelle precedenti, in virtù dei criteri di imputazione di cui all’art. 1193 c.c., dovevano ritenersi tali’ anche perché regolarmente registrate nella contabilità della ditta opponente tra le fatture passive e, dunque, quelle pagate.
Il giudice di primo grado escluse che l’odierna ricorrente avesse provato alcunché, essendosi limitata ad eccepire l’avvenuto pagamento sostenendo che ‘la ricezione delle fatture nella propria contabilità dovesse essere considerata come implicito riconoscimento del pagamento medesimo’.
3.La Corte d’appello, adito dalla COGNOME, ne respinse la principale doglianza formulata in punto di pretesa intervenuta inversione dell’onere probatorio, per essersi il giudice di merito ‘ limitato a prendere atto della documentazione fiscale prodotta in monitorio dall’opposta laddove avrebbe dovuto dare riscontro in contraddittorio del credito protestato mediante l’indicazione su ognuna della fattura del prezzo pagato e dell’eventuale residuo si da rappresentare le fatture ancora da onorare un titolo di credito improprio per eventuali residui di prezzo non pagato .’
4.Il giudice di merito respinse la censura muovendo dalla non contestata fornitura di latte da parte della Zimbardi per come riportata nelle fatture. Così si ritenne provata la fonte negoziale del credito vantato da NOME COGNOME A fronte di ciò si escluse che l’odierna ricorrente avesse provato i fatti estintivi dell’obbligazione ‘che la stessa affida ai criteri legali di imputazione di cui al secondo comma dell’art. 1193 c.c. come se dagli stessi criteri dovesse evincersi una sorta di presunzione dell’avvenuto pagamento delle forniture oggetto della documentazione fiscale prodotta in monitorio dalla RAGIONE_SOCIALE
5.La Corte partenopea proseguì osservando che sul creditore non grava l’onere di provare il mancato pagamento giacché quest’ultimo ‘integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca’; prova nella specie non fornita dalla COGNOME.
6.Avverso la prefata decisione ricorre NOME COGNOME con sei motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte affermato in maniera ‘irriducibilmente contraddittoria’ che era onere della parte debitrice fornire prova dei fatti estintivi
dell’obbligazione, pur alla luce del riconoscimento di pagamento, seppur protestato, parziale, e della carenza di prova, formale e sostanziale, di qualsiasi credito residuo.
1.1 .Il motivo è infondato.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940). Si tratta, invero, di ipotesi qui certamente non ricorrenti, perché la sentenza è adeguatamente motivata e la censura in questione finisce per prospettare sostanzialmente un vizio di merito attinente alla valutazione degli elementi che sarebbero acquisiti agli atti.
La decisione non è nemmeno contraddittoria poiché il giudice si è limitato ad osservare la mancata prova del pagamento delle somme portate dal decreto, prova che avrebbe dovuto fornire proprio la ricorrente, gravando sulla stessa l’onere di provare i fatti estintivi del debito; le ulteriori circostanze cui si riferisce l’istante (adempimento parziale etc., prassi nei rapporti tra le parti in punto
di pagamento in contanti) non emergenti dalla sentenza in alcun modo) sono semplicemente affermazioni, peraltro non contestualizzate e che parrebbero relative al giudizio di primo grado, che non assurgono a prova.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in particolare dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1193 c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. per aver erroneamente valutato ed applicato il principio di imputazione di pagamenti.
2.1 . Il motivo è infondato.
Gli artt. 1193 -1196 cod. civ., inseriti nel Capo II, rubricato «Dell’adempimento delle obbligazioni» e nella Sezione I che tratta dell’«Adempimento in generale», dettano una serie di regole che la dottrina più autorevole ha ricondotto agli «adminicula» del regime dell’adempimento.
Specificamente si pone un problema di imputazione del pagamento quando il debitore ha nei confronti del creditore più debiti della stessa specie e la prestazione non è sufficiente ad estinguerli tutti.
In questo caso, il debitore ha la facoltà di imputare il pagamento al debito che intende soddisfare, ovvero di determinare quale sia il debito che con il pagamento eseguito vuole estinguere; facoltà che viene esercitata mediante una dichiarazione unilaterale recettizia che può essere anche non espressa e il cui accertamento è comunque insindacabile in Cassazione (Cass., 17 marzo 1978, n. 1347; Cass., 7 febbraio 1975, n. 489).
In assenza dell’imputazione del pagamento ad uno specifico debito, operano le regole sussidiarie di cui all’art. 1193, comma secondo, cod. civ., ovvero l’imputazione va fatta al debito scaduto; tra più debiti scaduti a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi al più antico ed, infine, proporzionalmente ai
vari debiti. Inoltre, se il debitore non esercita la facoltà di cui all’art. 1193 cod. civ., l’imputazione può essere fatta dal creditore in sede di rilascio della quietanza, ai sensi dell’art. 1195 cod. civ., ed in questo caso, se il debitore riceve la quietanza, accetta anche l’imputazione compiuta dal creditore e non può più pretendere una diversa imputazione, fatta eccezione per le ipotesi specificamente previste in cui vi sia stato dolo o sorpresa da parte del creditore (Cass. n. 3644/2021).
Sui tempi di esercizio di tale facoltà, questa Corte ha affermato che il debitore che non abbia imputato la somma ad uno specifico debito al momento del pagamento perde la relativa facoltà e una imputazione successiva sarà possibile soltanto con il consenso del creditore, ovvero con l’accordo delle parti e che, ove tale consenso intervenga, l’imputazione sarà valida (Cass. n. 474/1975).
E’ stato , inoltre, chiarito che in presenza di una pluralità di rapporti obbligatori, se il debitore non si avvale della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta spetta, ex art. 1195 c.c., al creditore, il quale può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, mentre i criteri legali ex art. 1193, comma 2, c.c., che hanno carattere suppletivo e sussidiario, subentrano soltanto quando l’imputazione non è effettuata né dal debitore, né dal creditore, fermo restando che l’onere di provare le condizioni che giustificano una diversa imputazione grava sul creditore.
Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisce. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il
pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicché una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace (Cass. n. 19527(2012; Cass. n. 24837/2014; Cass., n. 6217/2016; Cass., n. 21512/2019).
L’imputazione del pagamento è, quindi, una facoltà che inerisce ad un rapporto obbligatorio di debito – credito principale, che deve essere esercitata dal debitore all’atto del pagamento a pena di inefficacia e che se esercitata successivamente è efficace solo se vi sia il consenso del creditore.
La disposizione, la cui violazione è invocata dalla ricorrente non rileva, quindi, ai fini della prova dell’avvenuto pagamento delle obbligazioni contratte.
Sicché non vi è alcuna violazione dell’art. 116 c.p.c. avendo il giudice di merito valutato le prove (o nella specie l’assenza di prove circa l’avvenuta estinzione del debito) secondo il suo prudente apprezzamento nel rispetto dei principi vigenti in materia.
3 .Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 360. n. 5 c.p.c. per aver omesso di considerare il fatto decisivo costituito dal fatto che ‘risulta dagli atti tra cui le sentenze di primo e secondo grado -che la parte ricorrente per decreto ingiuntivo non ha mai contestato la prassi o la modalità di pagamento intercorrenti tra le parti. Specificatamente che i pagamenti avvenissero ‘in contanti alla presentazione della fattura, ciò per tutta la durata pluriennale del rapporto. La circostanza in esame, costituendo elemento fattuale e logico di dirimente rilevanza non è stato assolutamente vagliato riverberandosi tale omissione sulla validità e giustezza della sentenza censurata’.
Il motivo è inammissibile, non emergendo tale circostanza dagli atti e, soprattutto, essendosi al cospetto di cd. doppia conforme, né avendo la ricorrente dimostrato la diversità delle due motivazioni sul punto oggetto di censura.
In tale ipotesi, ai sensi dell’art. 348 -ter, co. 5 c.p.c. (applicabile ‘ratione temporis’, ai sensi dell’art. 54, co. 2 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), la parte ricorrente in cassazione, per evitare che il motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c. sia dichiarato inammissibile, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, onere non assolto nel caso di specie (cfr. Cass. 7724/2022).
4. Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione ed errata applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. e degli artt. 633 e 634 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3 e ‘dunque la nullità della sentenza, per violazione di legge, avendo la Corte di merito completamente disatteso il proprio dovere cognitivo nella fase cognitoria piena dell’opposizione, anche e soprattutto alla luce dell’ordinanza del primo giudice del procedimento monitorio, in ordine alla richiesta di provvisoria esecuzione del D.I. negata in quanto ritenuta insufficiente ed inefficace la prova dell’esistenza del credito protestato dalla parte ricorrente per decreto ingiuntivo conseguente alla difese articolate dalla parte opponente’.
Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
Ancora una volta il motivo difetta di autosufficienza facendo riferimento a circostanze che non emergono dalla sentenza.
Sotto altro profilo il motivo pur denunciando la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c. impinge nel merito censurandosi, di fatto, la valutazione fatta dal giudice di
merito circa la ritenuta insussistenza della prova dell’avvenuto pagamento delle somme di cui al decreto ingiuntivo opposto.
5 .Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con l’art. 1193 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. con tale motivo ‘si afferma che il manifesto travisamento della fattispecie ha condotto il giudice di merito ad una non corretta ricostruzione della quaestio facti con la conseguenza di aver applicato erroneamente una norma di diritto’.
Il motivo è assorbito dal rigetto del primo.
6 .Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 1199 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 2727 c.c. e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. ‘in quanto la Corte ha implicitamente disatteso in modo assoluto, i principi delle norme in esame non deducendo dai fatti noti ed incontestati agli atti del processo le doverose prove logiche della infondatezza della pretesa creditoria’.
Il motivo è infondato.
Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. VI-2, 12 ottobre 2021, n. 27847). Parte ricorrente, attraverso la deduzione di plurime violazioni di legge, mira in realtà a ottenere in sede di legittimità una rivalutazione dell’apprezzamento di merito, difforme da quello effettuato dal giudice di merito, inammissibile in questa sede.
In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese sono liquidate come da dispositivo. Si da atto che ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Da atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda