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Onere della prova del datore: trasferimento o trasferta?

Un dipendente impugna un trasferimento, sostenendo che il suo precedente spostamento fosse solo una trasferta temporanea e non un cambio di sede definitivo. La Corte di Cassazione ha confermato che l’onere della prova del datore di lavoro include la dimostrazione non solo delle ragioni del trasferimento, ma anche di quale fosse la sede di lavoro effettiva del dipendente. In assenza di tale prova, il trasferimento basato sulla soppressione di una sede considerata solo temporanea è illegittimo.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova del Datore: Quando un Trasferimento è Illegittimo?

Nel diritto del lavoro, la distinzione tra un trasferimento definitivo e una trasferta temporanea è fondamentale, poiché incide profondamente sulla vita del lavoratore e sui diritti e doveri delle parti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: l’onere della prova del datore di lavoro è totale e non si limita a giustificare le ragioni del trasferimento, ma si estende a dimostrare quale fosse l’effettiva sede di lavoro del dipendente. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Il Contesto della Controversia

Un dipendente, assunto nel 1992, ha impugnato un provvedimento di trasferimento del gennaio 2015 verso una nuova sede. L’azienda aveva giustificato tale decisione con la soppressione della sede presso cui il lavoratore prestava servizio in quel momento. Tuttavia, il dipendente ha sostenuto che il suo incarico in quella sede non fosse il risultato di un trasferimento definitivo, ma di una serie di spostamenti temporanei (trasferte) dalla sua originaria e mai modificata sede di lavoro.
Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione all’azienda, ma la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza, accogliendo la tesi del lavoratore e dichiarando illegittimo il trasferimento.

Il Giudizio di Appello: La Differenza tra Trasferta e Trasferimento

La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su un’attenta analisi della natura degli spostamenti subiti dal lavoratore. I giudici hanno osservato che:

1. I vari ordini di servizio che disponevano gli spostamenti non indicavano alcuna ragione specifica, né elementi che potessero far desumere un carattere definitivo.
2. La stessa azienda, nella sua difesa iniziale, aveva definito tali movimenti come “brevi spostamenti”, riconoscendone implicitamente la natura temporanea.
3. L’assegnazione alla sede poi soppressa era avvenuta in un contesto di imminente chiusura della stessa, rendendo illogico considerarla una nuova sede di lavoro definitiva.

Di conseguenza, la Corte territoriale ha concluso che la vera sede di lavoro del dipendente era rimasta quella originaria. Pertanto, la soppressione di una sede di servizio provvisoria non poteva costituire una valida ragione per un trasferimento definitivo ad un’altra sede.

L’Onere della Prova del Datore secondo la Cassazione

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere necessaria la comunicazione dei motivi nell’atto di assegnazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, chiarendo un punto fondamentale sull’onere della prova del datore. Sebbene sia vero che la legge (art. 2103 c.c.) non imponga di esplicitare i motivi nell’atto di trasferimento, è altrettanto vero che, in caso di contenzioso, spetta interamente al datore di lavoro dimostrare l’esistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

L’importanza di Definire la Sede di Lavoro

La Cassazione ha specificato che questo onere probatorio si estende a tutti i presupposti del trasferimento, inclusa l’identificazione esatta della sede di provenienza del lavoratore. Nel caso specifico, poiché la giustificazione del trasferimento era la soppressione di una sede, era onere dell’azienda dimostrare che quella fosse effettivamente la sede di lavoro stabile e definitiva del dipendente. Non avendolo fatto, e in presenza di elementi che suggerivano una natura temporanea dello spostamento, la motivazione del trasferimento è venuta a mancare.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello non abbia violato alcuna norma, ma abbia correttamente utilizzato la mancanza di motivazione e di indicazioni di definitività negli ordini di servizio come elementi indiziari per interpretare la natura dello spostamento. L’operazione dei giudici di merito è stata una corretta valutazione probatoria, volta a qualificare giuridicamente l’atto come “trasferta” anziché “trasferimento”. Il datore di lavoro ha la piena responsabilità di allegare e provare in giudizio tutte le circostanze che legittimano il suo potere unilaterale di modificare la sede di lavoro, compresa la definizione della sede di partenza.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore contro modifiche unilaterali e ingiustificate del luogo di lavoro. Il principio affermato è chiaro: l’onere della prova del datore di lavoro in materia di trasferimenti è ampio e rigoroso. Non basta addurre una ragione valida, come la chiusura di una sede; è necessario anche dimostrare che tale ragione sia direttamente collegata alla posizione del lavoratore, a partire dalla corretta identificazione della sua sede di lavoro. Una gestione poco trasparente o documentata degli spostamenti dei dipendenti può portare a qualificare tali movimenti come mere trasferte, invalidando successivi trasferimenti che si basino su di essi.

Il datore di lavoro è obbligato a comunicare per iscritto i motivi di un trasferimento?
No, la legge non impone che i motivi siano esplicitati nell’atto di trasferimento. Tuttavia, qualora il provvedimento venga impugnato in giudizio, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e dimostrare le comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive che lo giustificano.

Come si distingue un trasferimento da una semplice trasferta?
Il trasferimento costituisce un mutamento definitivo del luogo di lavoro, mentre la trasferta è un’assegnazione temporanea a una sede diversa. La mancanza di indicazioni sulla definitività o sulle ragioni non transitorie in un ordine di servizio è un forte indizio che qualifica lo spostamento come una trasferta.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di impugnazione di un trasferimento?
L’onere della prova del datore di lavoro è completo. Egli deve dimostrare non solo l’esistenza delle ragioni tecniche, organizzative o produttive, ma anche tutti i presupposti di fatto, inclusa quale fosse l’effettiva sede di lavoro di provenienza del dipendente, specialmente se la ragione del trasferimento è legata a quella sede (es. soppressione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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