Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1994 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1994 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28178/2019 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 642/2019 pubblicata in data 21/06/2019, n.r.g. 1780/2016, notificata in data 22/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- COGNOME NOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 1992 con qualifica di impiegato d’ordine e mansioni di centralinista, commesso, autista e addetto all’archiviazione e alla fotocopiatura di documenti, impugnava il suo
OGGETTO:
trasferimento -sede pregressa – individuazione -oneri di allegazione e prova – riparto
trasferimento alla sede di Settingiano disposto con nota del 09/01/2015, deducendone l’illegittimità e la nullità.
Chiedeva al Tribunale di Catanzaro, previa declaratoria di illegittimità e/o nullità del trasferimento, la condanna della società alla sua riassegnazione alla sede di provenienza in Catanzaro, INDIRIZZO, nonché al risarcimento dei danni da liquidare in via equitativa.
2.- Costituitasi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE eccepiva che prima del disposto trasferimento la sede del lavoratore non era in Catanzaro alla INDIRIZZO, bensì in Catanzaro alla INDIRIZZO e che il trasferimento a Settingiano (CZ) era stato disposto, appunto, in conseguenza della soppressione della sede di INDIRIZZO.
3.- Il Tribunale rigettava le domande, ricostruendo i vari spostamenti che avevano interessato il lavoratore dal l’anno 2014 come trasferimenti e trasferte ed accogliendo l’eccezione della società circa la sede di Catanzaro alla INDIRIZZO, ritenendo pertanto che la soppressione di quest’ultima integrasse una ragione organizzativa valida e sufficiente ex art. 2103 c.c. per giustificare e disporre il trasferimento.
4.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il trasferimento costituisce un mutamento definitivo del luogo di lavoro, in ciò differenziandosi dalla trasferta, caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale;
nel caso in esame i vari ordini di servizio con cui è stato disposto lo spostamento del COGNOME da una sede all’altra prima del disposto trasferimento a Settingiano -hanno il medesimo contenuto e in nessuno di essi è stata indicata la ragione dello spostamento;
anche l’ordine di servizio n. 61 del 02/02/2014 è formulato solo in termini di disposizione a prestare l’attività lavorativa negli uffici di INDIRIZZO e nulla più;
la mancata indicazione delle esigenze aziendali di carattere non transitorio dalle quali desumere la definitività dell’assegnazione alla sede di INDIRIZZO -con conseguente estinzione del legame con la sede
originaria di INDIRIZZO -induce ad escludere che si trattasse di trasferimento dalla sede originaria di INDIRIZZO;
anche nella memoria difensiva di primo grado la società non aveva indicato la sede di INDIRIZZO come luogo di assegnazione definitiva da febbraio 2014, ma si era limitata a rappresentare che nel corso dell’anno 2014 il dipendente era stato interessato da ‘b revi spostamenti’, riconoscendo in tal modo la temporaneità delle diverse assegnazioni, fra cui quella a INDIRIZZO;
ne consegue che non può qualificarsi come ‘rientro’ nella sede di servizio l’avvenuta assegnazione ancora a INDIRIZZO, disposta con ordine di servizio del 06/10/2014, data in cui peraltro tale sede era ormai in chiusura, atteso che era stata già disposta la sua dismissione, come si evince dalla delibera del CdA del 02/09/2014 (doc. 2 fasc. società);
ne consegue che a ottobre 2014 quell’assegnazione a INDIRIZZO non poteva che essere intesa come provvisoria e non come nuova sede;
ne consegue ulteriormente che il trasferimento del COGNOME alla sede di Settingiano non può avere a giustificazione la dismissione della sede di INDIRIZZO, perché quest’ultima non era la sede di appartenenza del dipendente;
pertanto, in mancanza di alcuna altra motivazione, va dichiarata l’illegittimità del trasferimento e la società va condannata alla riassegnazione presso la sede originaria in Catanzaro, INDIRIZZO.
4.Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- La società ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 2103 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che l’atto di assegnazione del COGNOME alla sede di INDIRIZZO (risalente a febbraio 2014) costituisse una mera trasferta (sicché la sua sede di lavoro continuava ad essere quella di INDIRIZZO in Catanzaro) in conseguenza della mancata esplicitazione delle ragioni che
avevano indotto la datrice di lavoro a quell’assegnazione. Deduce che l’art. 2103 c.c. impone soltanto che il trasferimento sia giustificato da ‘comprovate’ ragioni oggettive, non pure che queste siano comunicate al lavoratore. Invoca sul punto giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. n. 43/2007).
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove si denunziano ‘violazione e falsa applicazione’ come vizi concorrenti. Al riguardo questa Corte ha già affermato : ‘ In tema di ricorso per cassazione, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione ‘ (Cass. n. 23851/2019). Quindi i due vizi sono necessariamente alternativi e non concorrenti, atteso che ‘ descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità ‘
(Cass. ord. n. 640/2019).
Il motivo, qualora interpretato nel senso della ‘violazione’ dell’art. 2103 c.c., è comunque infondato.
In via di principio effettivamente la legittimità del trasferimento è subordinata solo alla sussistenza di ragioni tecniche, organizzative o produttive, che devono essere provate dal datore di lavoro come esistenti al momento dell’adozione dell’atto di gestione del rapporto di lavoro. Non vi è alcun onere ulteriore, né, in particolare, quello di indicare le ragioni giustificatrici nel medesimo atto. Tale indicazione può dunque intervenire legittimamente anche per la prima volta nel giudizio promosso dal lavoratore per impugnare il trasferimento, fermo restando che i relativi oneri di allegazione e di prova gravano sul datore di lavoro.
Nel caso di specie questo principio di diritto non è stato violato.
Infatti, la Corte territoriale ha utilizzato la circostanza della mancata indicazione delle ragioni dello spostamento del lavoratore non come elemento per valutare la legittimità ( rectius validità) dell’atto di gestione del rapporto di lavoro del febbraio 2014, bensì soltanto come elemento indiziario per interpretarne il contenuto e dunque la natura giuridica (‘trasferta’ piuttosto che ‘trasferimento’) e quindi per procedere alla relativa qualificazione giuridica. Tale operazione è stata necessaria sia per individuare il regime giuridico applicabile, sia per valutare poi la legittimità e l’effettività della ragione addotta a giustificazione del successivo trasferimento (di gennaio 2015).
Quindi i giudici d’appello si sono limitati ad affermare di poter desumere da quel difetto motivazionale dell’ordine di servizio del febbraio 2014 il suo carattere solo temporaneo, al pari di tutti quelli succedutisi nell’anno 2014, e, quindi, la sua qualificazione giuridica in termini di ‘trasferta’. L’operazione si è tradotta nella valutazione di quell’elemento indiziario al fine di interpretare l’atto (del febbraio 2014) nei predetti termini, senza affatto affermare che la comunicazione delle ragioni fosse elemento necessario e indefettibile per qualificare l’atto come trasferimento. In definitiva i giudici d’appello si sono limitati a ritenere che mancasse qualunque elemento ‘intrinseco’ all’atto dal quale poter desumere la sua natura giuridica (e quindi la relativa qualificazione giuridica) in termini di ‘trasferimento’.
Tanto è vero che, a sostegno del proprio convincimento, hanno poi ritenuto necessario un secondo argomento -anche in tal caso utilizzato solo sul piano interpretativo dell’atto di gestione del rapporto di lavoro desunto questa volta da un elemento ‘estrinseco’, rappresentato dal tenore della difesa della società, che nel giudizio di primo grado non aveva dedotto in memoria difensiva (nel rispetto delle preclusioni di cui all’art. 416 c.p.c.) che l’ordine di servizio di febbraio 2014 fosse un ‘ trasferimento ‘.
D’altronde, nella logica sottesa all’art. 2103 c.c., è il datore di lavoro che deve allegare e dimostrare tutti i presupposti e le condizioni per il legittimo esercizio del suo potere unilaterale di variare la sede di lavoro, ossia il luogo di adempimento dell’obbligazione lavorativa . Come questa Corte ha più volte affermato, ‘ In tema di mutamento della sede di lavoro del lavoratore, sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque dimostrare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento ‘ (Cass. 13/01/2017, n. 807; in termini anche Cass. n. 11984/2010).
Quindi sul datore di lavoro incombe l’onere di allegare e dimostrare le ragioni tecniche, organizzative o produttive che giustificano il trasferimento e tale onere ricomprende pure le vicende che attengono all’esatta identificazione della sede di provenienza, qualora le ragioni del trasferimento investano, appunto, quella sede (come nella specie).
Ne deriva che è conforme a diritto la decisione impugnata anche in relazione al secondo argomento utilizzato dalla Corte territoriale per sostenere il proprio convincimento.
Con ulteriore censura la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe considerato che l’ordine di servizio n. 61 del 07/02/2014 disponeva ‘ che a far data dal 10.02.2014 e fino a nuova e diversa disposizione Ella
presterà la sua attività negli uffici della società in INDIRIZZO, sicché -a suo dire -era un atto dotato della stabilità e della definitività proprie del trasferimento, anche in considerazione del richiamo all’orario di lavoro, alla procedura autorizzativa dello straordinario, alla procedura di rilevazione della presenza.
La censura è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una diversa interpretazione dell’atto di gestione del rapporto di lavoro, che invece è riservata al giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, laddove adeguatamente motiva ta (salvi i ristretti limiti di cui all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. In particolare lamenta che la Corte territoriale, travisando le difese della società, abbia accomunato il trasferimento del COGNOME alla sede di INDIRIZZO (da INDIRIZZO), disposto nel febbraio 2014, ai brevi spostamenti che si erano poi susseguiti negli ultimi mesi dell’anno 2014, omettendo di rilevare che invece nell e sue difese la società aveva sempre sostenuto e dedotto che quello del febbraio 2014 era stato un vero e proprio trasferimento.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile per difetto di autosufficienza : la ricorrente non indica né riporta -almeno per estratto -il contenuto del suo atto processuale con quella deduzione, né indica esattamente l’atto nel quale quella deduzione sarebbe contenuta e della quale la Corte territoriale avrebbe omesso l’esame.
Il motivo è poi infondato.
Come sopra si è visto, gli oneri di allegazione e di prova che incombono sul datore di lavoro ex art. 2103 c.c. attengono anche alla sede di provenienza, qualora a questa siano riferite le ragioni giustificatrici del trasferimento, come nel caso di specie, in cui la società ha addotto quale ragione del trasferimento del gennaio 2015 l’avvenuta soppressione della sede di INDIRIZZO , sul presupposto -appunto -che quella fosse la sede di lavoro del COGNOME.
Quindi, alla luce del principio di diritto sopra ribadito, incombeva sulla società allegare e dimostrare che quella di INDIRIZZO fosse effettivamente la sede di lavoro del COGNOME.
In questa prospettiva a nulla rileva -contrariamente all’assunto della ricorrente -che oggetto dell’impugnazione proposta dal COGNOME fosse l’atto di gennaio 2015: la ragione giustificatrice di quest’atto è stata dalla datrice di lavoro addotta in termini di soppressione della (asserita) sede di lavoro del dipendente, sicché correttamente la Corte territoriale è andata alla ricerca di quale fosse questa sede (se INDIRIZZO oppure INDIRIZZO) ed ha ritenuto che fosse onere della società datrice di lavoro allegare e provare che quella di INDIRIZZO fosse, appunto, la sede. Solo a tale condizione, infatti, i giudici d’appello avrebbero potuto considerare legittimo il trasferimento di gennaio 2015, motivato con l ‘avvenuta soppressione della sede di INDIRIZZO.
3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data