Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15016 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 22000-2017 r.g. proposto da:
AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE) in proprio, domiciliato nel suo studio in INDIRIZZO (Fax. NUMERO_TELEFONO – PEC: EMAIL).
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (P_IVA.F. CODICE_FISCALE), con sede legale in Padova INDIRIZZO, in persona del Curatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
-intimato – avverso il decreto del Tribunale di Padova, rep. 3793/17, rg 10827/2016, depositato il 17/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/5/2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex artt. 98 e 99 l. fall. l’AVV_NOTAIO insisteva per l’ammissione al passivo del RAGIONE_SOCIALE, in via privilegiata ex art. 2751bis n. 2 c.c. per il compenso maturato per attività professionali svolte in favore della fallita e indicate nella domanda di insinuazione al passivo alle voci A e F, contestando la minor somma ammessa dal g.d., esclusione motivata sul rilievo della non definitività del decreto ingiuntivo e per la mancata prova dell’attività svolta per la pr ocedura di concordato preventivo. 2. Il Tribunale di Padova, con il decreto qui impugnato, ha rigettato la proposta opposizione, confermando il provvedimento emesso dal g.d.
Il Tribunale ha rilevato che l’opponente non ave va provato i fatti costitutivi del credito insinuato, in quanto: (i) la produzione in giudizio del mandato professionale aveva dimostrato al più il conferimento dell’incarico, ma non già il suo svolgimento; (ii) le mail dimesse in giudizio, oltre ad essere in prevalenza prive di data certa anteriore, comunque non costituivano prova adeguata dell’attività che il ricorrente aveva sostenuto di aver svolto, in quanto la bozza di piano che sarebbe stata predisposta dal ricorrente non era stata mai versata in atti, non erano stati fornite indicazioni precise su date e incontri svolti, né delle ore lavorate per svolgere la predetta attività professionale; (iii) la documentazione dimessa con le note autorizzate era da ritenersi tardiva e dunque inammissibile posto che, ai sensi dell’art. 99 l. fall., l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti doveva essere eseguita con il ricorso introduttivo, a pena di decadenza.
Il decreto, pubblicato il 17/07/2017, è stato impugnato da NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE, intimato, non ha svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta vizio di ‘o messo esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art 360 n 5 cpc; violazione o falsa applicazione degli artt 2704 c.c., 115 e 116 cpc ‘.
1.1 Il ricorrente censura il decreto impugnato per avere accolto l’eccezione del curatore di mancata dimostrazione dell’attività professionale svolta, la cui prova sarebbe stata affidata invece a documenti e mail prive di data certa. Secondo il ricorrente, la giurisprudenza di legittimità avrebbe chiarito nella materia in esame che ‘un conto è l’opponibilità del contratto nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, che richiede la necessaria anteriorità, altro è la valutazione dei documenti al fine di ritenere provato lo svolgimento delle prestazioni ‘ (Cass. n. 2987-2018). Osserva infatti il ricorrente che dal complessivo argomentare del giudice del merito sarebbe emerso che anche i documenti prodotti a fini probatori dovessero avere la data certa, non distinguendo tra il titolo fatto valere – che deve essere necessariamente opponibile al RAGIONE_SOCIALE -e la prova dello svolgimento delle obbligazioni che discendono dal contratto, ove ritenutane l’opponibilità. Nel caso di specie che la fase di studio, per la cui prestazione era stato pattuito il compenso, fosse stata eseguita sarebbe stato confermato dalla stessa produzione dei documenti che ne rivelava lo svolgimento sin da epoca anteriore al fallimento.
1.3 Il primo motivo è all’evidenza inammissibile perché il ricorrente – senza neanche enucleare un fatto storico, decisivo e dibattuto tra le parti e nel cui omesso esame sarebbe incorso il Tribunale, secondo il paradigma applicativo delineato da Sez. Un. n. 8053/2014 -si limita in realtà a sollecitare una rilettura degli elementi di prova documentale, già invece scrutinati dai giudici del merito, per dimostrare la fondatezza del credito insinuato e l’anteriorità della documentazione allegata rispetto alla dichiarazione fallimento. Senza contare che, in realtà, le doglianze neanche censurano correttamente la ratio decidendi del provvedimento impugnato che aveva evidenziato la infondatezza della pretesa creditoria, sul rilievo che la prova del conferimento del mandato professionale non risultava sufficiente per la dimostrazione della sussistenza del credito insinuato, dovendosi provare da parte del creditore anche lo svolgimento della prestazione stessa.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘v iolazione degli artt. 112, 115 e 116 cpc in relazione all’art . 99 l.f.; violazione e falsa applicazione dell’art 99 l.f.; violazione dell’art . 135 ul. co. c.p.c. ‘.
2.1 Si censura il decreto impugnato, cioè, per non avere il Tribunale ammesso i quattro capitoli di prova dedotti in calce al ricorso ex art. 99 l.f., motivando che ‘la documentazione dimessa con le note autorizza te è da ritenersi tardiva e inammissibile posto che ai sensi dell’art . 99 l.f. l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti va fatta a pena di decadenza con il ricorso introduttivo’ e senza spiegare, invece, le ragioni di inammissibilità dei capitoli articolati con il ricorso ex art. 99 l.f..
2.2 La doglianza sin qui esposta è inammissibile perché – pur dovendosi ritenere la richiesta prova testimoniale astrattamente ammissibile, in riferimento alla sua tempestività di deduzione, in quanto articolata, a ben vedere, nell’atto introduttivo del giudizio di opposizione allo stato passivo – i capitoli di prova, così enunciati (e qui riportati nel ricorso per cassazione con deduzione sul punto autosufficiente) non risultano comunque ammissibili, in quanto ineriscono a fatti non decisivi per il giudizio, riferendosi, in astratto, al conferimento del mandato (per quanto concerne il primo capitolo, circostanza che, peraltro, non risulta neanche contestata in sé) ovvero a fatti dedotti in modo generico, quanto all ‘ esecuzione del mandato professionale (capitoli due e tre).
2.2 Osserva ancora il ricorrente che sarebbe, altresì, consolidato l’orientamento per cui, in tema di opposizione allo stato passivo, il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., pur dovendosi necessariamente coordinare con i poteri del giudice delegato quanto al regime delle eccezioni rilevabili d’ufficio, si applica – quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti – anche al curatore fallimentare costituito, ancorché questi non abbia la disponibilità dei diritti della massa, risultando perciò irrilevante la sua posizione di terzietà, poiché la non contestazione non è equiparabile alla confessione e non implica la disposizione dei diritti, ma costituisce un fatto processuale che opera ai soli fini della delimitazione del “thema probandum”, sotto forma di “relevatio ab onere probandi” (Cass. 17731/2022, 14589/2022).
2.3 Anche tale ultima censura risulta formulata in modo inammissibile sia perché ‘fuori fuoco’ rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, per come sopra ricordata, sia perché la dedotta violazione dell’art.
115 c.p.c. risulta del tutto inconferente con l’oggetto del giudizio di opposizione, ove l’onere della prova risulta invero a carico del creditore e perché il curatore, costituendosi nel giudizio di opposizione, non aveva alcun onere di essere più specifico del giudice delegato nell’articolazione delle sue deduzioni difensive, posta la decisione già assunta da quest’ultimo di non ammissione del credito.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art 2697 c.c.; degli artt. 1362 e 1363 c.c. ; dell’art 112 c.p.c.
3.1 Sostiene il ricorrente che, in relazione al profilo di credito relativo alla cd. fase di studio e al relativo compenso pattuito, il curatore fallimentare si sarebbe costituito, oltre i termini stabiliti a pena di decadenza dall’art . 99 co. 6 l.f., perdendo così il diritto a sollevare eccezioni in senso proprio, ma il Tribunale ne avrebbe invece accolto le eccezioni, in violazione anche dell’art. 112 c.p.c. e nonostante non ne potesse tenere conto alcuno.
3.2 A ciò aggiunge che la documentazione prodotta avrebbe comunque confermato l’attività di studio svolta, il che avrebbe altresì comportato il riconoscimento del diritto al compenso sulla base della sola lettura ed interpretazione del mandato, non contestato dal curatore, con ciò avendo dimostrato la fondatezza del credito per il compenso richiesto per il solo avvio della f ase a cui l’attività apparteneva.
3.2 Anche il terzo motivo è inammissibile in quanto volto ad un nuovo apprezzamento della quaestio facti , tramite l’impropria deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, scrutinio che, come è noto, è invece inibito al giudice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
Il quarto mezzo denuncia la ‘violazione/falsa applicazione dell’art . 116 c.p.c. in relazione ai documenti prodotti e al contratto di mandato e violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. ‘ .
4.1 Si censura la decisione del Tribunale per aver ritenuto inadeguata la documentazione prodotta e dirimenti l’assenza della bozza di un piano e l’indicazione precisa di date e incontri svolti ovvero di ore lavorate.
4.1.1 Sostiene invece il ricorrente che già nelle osservazioni ex art. 95 l.f., erano stati prodotti: (i) la mail 3/6/2014 con cui aveva comunicato al AVV_NOTAIO COGNOME (dottore commercialista) le linee guida che il concordato avrebbe potuto avere con le indicazioni delle risorse su cui poter contare; (ii) la mail 3/8/2014 inoltrata sempre al AVV_NOTAIO COGNOME, con cui aveva fornito indicazioni più precise sul contenuto della proposta che, sulla base delle risorse disponibili, avrebbe dovuto garantire il soddisfacimento del 100% ai privilegiati e il 45% ai chirografari; (iii) il prospetto che ne riepilogava il contenuto e che valeva a costituire, all’epoca, la bozza del piano la cui elaborazione era stata poi interrotta dall’intervenuta dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE. Privo di pregio – aggiunge sempre il ricorrente – il riferimento alle ore lavorate, in considerazione del carattere forfettario del compenso stabilito e con la previsione della sua maturazione sin dall’apertura della relativa fase che, in quanto attività di studio, era evidentemente la prima indispensabile e necessaria ad impostare la domanda di concordato. Mentre la prova dell’arco temporale in cui si era stata svolta l’attività si sarebbe ricavata dalla documentazione esaminata – parte della quale aveva anche data certa – e dai capitoli di prova testimoniale dedotti e, erroneamente, non ammessi.
2.1 Anche per il quarto motivo possono essere ripetute le medesime considerazioni già svolte in relazione alla terza doglianza, posto che il ricorrente tenta, ancora una volta, di sollecitare, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., un nuovo apprezzamento degli atti istruttori volto a dimostrare l’allegazione di una prova sufficiente sul punto della sussistenza del credito insinuato, operazione invece non consentita nel giudizio di legittimità.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa del fallimento intimato.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto,
per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2024