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Onere della prova datore di lavoro: chi deve provare?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7454/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di onere della prova del datore di lavoro. In un caso riguardante il mancato pagamento di retribuzioni di risultato, un’azienda sanitaria pubblica sosteneva l’impossibilità di produrre la documentazione necessaria a causa del tempo trascorso. La Corte ha respinto il ricorso, affermando che spetta sempre al datore di lavoro (debitore) dimostrare di aver adempiuto correttamente alla propria obbligazione retributiva. La perdita o l’indisponibilità dei documenti non inverte l’onere della prova a carico del lavoratore.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova del Datore di Lavoro: La Cassazione Conferma le Regole

Quando un dipendente lamenta il mancato o inesatto pagamento di una parte della sua retribuzione, a chi spetta dimostrare che il pagamento è avvenuto correttamente? L’onere della prova del datore di lavoro è un tema centrale nel diritto del lavoro, e una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7454/2024) ha fornito importanti chiarimenti, consolidando un principio a tutela del lavoratore. La Corte ha stabilito che è sempre l’azienda a dover provare di aver adempiuto in modo esatto alla propria obbligazione, e non può giustificarsi adducendo la perdita dei documenti necessari.

Il Caso: Retribuzione di Risultato non Corrisposta

La vicenda nasce dalla richiesta di alcuni dipendenti di un’azienda sanitaria pubblica di ottenere il corretto ammontare del fondo per la retribuzione di risultato per gli anni 1993 e 1996. Dopo una prima decisione del Tribunale e un successivo appello che aveva parzialmente accolto le richieste dei lavoratori riducendo le somme, l’azienda sanitaria ha proposto ricorso in Cassazione.

Il motivo principale del contendere era di natura probatoria: l’azienda sosteneva che, a causa del lungo tempo trascorso, non era più in possesso della documentazione necessaria a verificare la correttezza dei calcoli e dei pagamenti effettuati, e che quindi i giudici non avrebbero dovuto presumere la fondatezza delle richieste dei lavoratori.

L’Onere della Prova del Datore di Lavoro e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, basando la sua decisione su principi consolidati in materia di obbligazioni contrattuali. I giudici hanno chiarito che, in un rapporto di lavoro, il lavoratore (creditore) deve solo provare l’esistenza del suo diritto (il contratto di lavoro) e allegare l’inadempimento della controparte (il mancato pagamento).

Spetta invece al datore di lavoro (debitore) l’onere della prova di aver esattamente adempiuto, ovvero di aver corrisposto tutto quanto dovuto. Questo principio non subisce deroghe, nemmeno in caso di presunta difficoltà nel reperire la documentazione.

Impossibilità di Produrre i Documenti: Una Giustificazione Valida?

Il punto cruciale della difesa dell’azienda era l’impossibilità di produrre gli atti contabili. La Corte ha smontato questa argomentazione, sottolineando che lo smarrimento o l’indisponibilità di documenti che originariamente erano nella disponibilità dell’azienda è una circostanza imputabile all’azienda stessa. In altre parole, il datore di lavoro ha l’obbligo di conservare la documentazione necessaria a provare la correttezza del proprio operato. Non può, a distanza di tempo, scaricare sul lavoratore le conseguenze di una propria negligenza organizzativa.

L’atteggiamento dell’ente pubblico è stato inoltre ritenuto incoerente: da un lato affermava di aver già calcolato correttamente la retribuzione, dall’altro negava di avere i documenti per dimostrarlo.

Le Motivazioni in Dettaglio

La Suprema Corte ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 13533/2001), un pilastro in materia di prova dell’inadempimento. Il principio è chiaro: il creditore che agisce per l’adempimento deve solo provare la fonte del suo diritto (il contratto) e il termine di scadenza, mentre è il debitore a dover fornire la prova del fatto estintivo, ossia l’avvenuto e corretto pagamento. Questo vale anche quando si lamenta un inesatto adempimento. Sarà sufficiente per il creditore allegare l’inesattezza (ad esempio, un importo inferiore al dovuto), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’esatto adempimento.

I giudici hanno concluso che l’omessa e non giustificata consegna dei documenti necessari alla verifica del credito, ritenuti essenziali, implica che il datore di lavoro non ha assolto al proprio onere probatorio. Di conseguenza, la decisione dei giudici di merito, che avevano proceduto a una liquidazione delle somme in via equitativa (ex art. 432 c.p.c.) basandosi anche sugli elementi forniti dai lavoratori, è stata ritenuta corretta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Datori di Lavoro e Dipendenti

Questa ordinanza rafforza la posizione del lavoratore nel contenzioso retributivo. Le aziende, sia pubbliche che private, devono essere consapevoli dell’importanza di una corretta e diligente conservazione della documentazione amministrativa e contabile. L’onere della prova del datore di lavoro non è un formalismo, ma una regola sostanziale che tutela la parte più debole del rapporto. Affermare di aver perso i documenti non è una strategia difensiva valida e può portare a una condanna basata su una liquidazione equitativa del giudice, potenzialmente sfavorevole all’azienda stessa.

A chi spetta l’onere della prova in caso di richiesta di pagamento di una retribuzione da parte di un dipendente?
Spetta al datore di lavoro. Il dipendente (creditore) deve solo dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro e lamentare il mancato pagamento. È il datore di lavoro (debitore) che deve provare di aver pagato correttamente e integralmente quanto dovuto.

Cosa succede se il datore di lavoro afferma di aver perso i documenti necessari a dimostrare l’avvenuto pagamento?
La perdita o l’indisponibilità dei documenti non è una giustificazione valida per sottrarsi all’onere della prova. Se la documentazione era originariamente nella disponibilità del datore di lavoro, la sua mancanza è considerata una circostanza a lui imputabile e non trasferisce l’onere della prova sul lavoratore.

Il giudice può utilizzare una Consulenza Tecnica di Parte (CTP) per liquidare le somme dovute al lavoratore?
Sì, la sentenza chiarisce che il giudice può fare riferimento a una CTP prodotta dal lavoratore, non come prova diretta, ma come base per procedere a una liquidazione in via equitativa (secondo l’art. 432 c.p.c.) quando il datore di lavoro non fornisce i dati necessari per un calcolo preciso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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