Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4973 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4973 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26125/2020 r.g. proposto da:
COGNOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e difesi, in virtù di separate procure speciali in calce al ricorso , dall’Avv ocato Ugo Scuro, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrenti -contro
RAGIONE_SOCIALE (Già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Assago INDIRIZZO, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO e
dell’AVV_NOTAIO , con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultim o in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Roma, alla INDIRIZZO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza, n. cron. 90/2020, della CORTE DI APPELLO DI ROMA, pubblicata il giorno 09/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 20/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato il 30 luglio 2014, alcuni soggetti, tra cui gli odierni ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, tutti soci di RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE), citarono in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, l’ap pena menzionata società, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per ottenerne la condanna al risarcimento del danno, da essi patito per fatto altrui, costituito dalla perdita di valore delle quote societarie, dai medesimi detenute, cagionato da operazioni illecite, tra loro collegate, poste in essere negli anni 2003 e 2004, costituite: i ) dalla operazione di fusione con indebitamento ( leveraged buy out ), eseguita nel 2003, con finanziamento erogato da RBS, della “nuova” RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE, sorta dalla scissione della “vecchia” RAGIONE_SOCIALE, nella RAGIONE_SOCIALE, a sua volta successivamente incorporata in RAGIONE_SOCIALE, la quale ultima, poi, aveva mutato la sua denominazione sociale in RAGIONE_SOCIALE; ii ) dalla successiva operazione, posta in essere nel 2004 dalla “nuovissima” RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, di distribuzione straordinaria ai soci di un dividendo, noto come “maxidividendo”, sempre sulla base di finanziamento erogato da RBS; iii ) dalla successiva operazione, realizzata nel 2012 da RAGIONE_SOCIALE, di ristrutturazione del debito attraverso una nuova operazione di fusione per incorporazione nella “nuovissima” RAGIONE_SOCIALE della creditrice RAGIONE_SOCIALE, qualificabile come reverse acquisition . Dette operazioni, effettuate nella previsione non realizzatasi di ottenimento di ingenti ricavi provenienti dal business degli elenchi telefonici esercitato dalla “vecchia” RAGIONE_SOCIALE, avevano cagionato, anche per l’inerzia dell’autorità di vigilanza, l’azzeramento del valore delle partecipazioni dci soci di minoranza.
1.1. Costituitesi le convenute, l’indicato tribunale, con sentenza del 14 marzo 2017, n. 5110, definì il giudizio in base al criterio della ragione più liquida, respingendo le domande attoree in accoglimento dell’eccezione di prescrizione estintiva formulata dalle convenute ex art. 2949 cod. civ.. Ritenne, invero, applicabile la suddetta prescrizione quinquennale, sia alla responsabilità extracontrattuale, sia alla responsabilità contrattuale per diritti derivanti da rapporti sociali, e che il relativo termine, il cui decorso doveva farsi risalire al 2004, era ormai spirato allorquando, nel 2014, era stata proposta l’azione giudiziaria.
Pronunciando sul gravame promosso dagli stessi attori contro quella decisione, l’adita Corte di appello di Roma, con sentenza del 9 gennaio 2020, n. 90, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE of RAGIONE_SOCIALE gli istanti avevano medio tempore raggiunto un accordo, sicché, la stessa non era stata destinataria di detta impugnazione essendo la relativa causa scindibile), lo respinse, condannando i primi al pagamento delle spese del grado.
2.1. Per quanto di residuo interesse in questa sede, quella corte, dopo aver descritto i formulati motivi di appello: i ) negò che la sentenza impugnata potesse considerarsi nulla per mancata integrazione del contraddittorio. Opinò, infatti, che la causa « non rientra tra quelle di cui all’art. 70, comma 1, c.p.c.. Per quanto riguarda l’interesse pubblico della causa di cui all’art. 70, ultimo comma, c.p.c., si osserva che l’intervento del pubblico ministero è facoltativo e che è parimenti facoltativa l’emissione, da parte del giudice, dell’ordine di comunicazione degli atti al Pubblico Ministero prevista dall’art. 71, ultimo comma, c.p.c. senza che le omissioni lamentate possano comportare alcuna nullità della sentenza . Lo stesso deve dirsi a proposito della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti degli ex amministratori di RAGIONE_SOCIALE quali condebitori solidali per aver posto in essere la condotta fraudolenta in danno dei soci oggetto di causa. Va, infatti, esclusa la sussistenza di litisconsorzio necessario ed il mancato accoglimento dell’istanza di chiamata in causa del terzo rientra nella discrezionalità del giudice. Parimenti discrezionale è l’emissione da parte del giudice di ordine di chiamata in causa ex artt. 107 e 270 c.p.c. »; ii ) ritenne che, « indipendentemente dalla fondatezza delle censure mosse alla statuizione di accoglimento dell’eccezione di prescrizione estintiva delle pretese azionate in giudizio, la statuizione di rigetto delle domande non poterebbe essere comunque riformata per mancato assolvimento dell’onere della prova sul danno. Gli appellanti, con l’atto introduttivo, non si sono limitati a instare per la pronuncia di condanna generica, avendo chiesto anche la liquidazione del “danno come attestato dalle analitiche produzioni documentali allegate sub 53 o nella diversa misura, maggiore o minore, che sarà quantificata in corso di causa o che verrà stabilita dal Tribunale all’esito del giudizio o secondo valutazione equitativa”. La domanda è quindi unica e avrebbe potuto essere accolta, superata l’eccezione di prescrizione, solo nel caso di assolvimento dell’onere della prova da parte degli attori del quantum debeatur (cfr. Cass. nn. 6517/2012 e 9404/2011) »; iii ) rimarcò che, « Nel caso concreto, gli attori avevano scarnamente allegato con l’atto introduttivo come da paragrafo N che testualmente si riporta: “La qualità di socio della società e l’allegazione
della perdita conseguente al contratto e alla fusione (cfr. le certificazioni in atti), suscettibile della qualificazione di danno contrattuale, attribuiscono a parti esponenti, in considerazione dell’interesse giuridicamente rilevante di rispettiva spettanza, piena legittimazione allo svolgimento della domanda nei confronti della società e dei soggetti con essa corresponsabili, a vario titolo, del dissesto”. L’integrazione della domanda operata dagli attori con le memorie ex art. 183, comma VI, n. 1, c.p.c. nulla aveva aggiunto di utile al fine di determinare quantitativamente il danno asseritamente subito dagli attori. Le allegazioni attoree, in effetti, non dicono quando gli istanti acquisirono la qualità di soci di RAGIONE_SOCIALE, quale fosse l’entità delle loro partecipazioni e il valore di ciascuna di esse nel 2003 e negli anni successivi. Tra l’altro, trattandosi di società quotata alla RAGIONE_SOCIALE di Milano, il valore della partecipazione di ciascun socio nel momento immediatamente precedente l’effettuazione delle dedotte operazioni illecite e dannose sarebbe stato agevolmente allegabile e documentabile così come la perdita subita. Neppure può essere affermato che la assolutamente carente allegazione possa essere stata, benché irritualmente, supplita da idonea produzione documentale. L’indice dei documenti del fascicolo di parte indica al n. 53 “documentazione analitica del danno subito dagli esponenti”, per cui manca l’elencazione di ogni documento prodotto essendo stata effettuata dagli attori al n. 53 una produzione “alla rinfusa” di un numero imprecisato di documenti non indicati negli atti difensivi e di contenuto parimenti imprecisato in patente violazione dell’art. 87 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile. Ciò comporta l’inutilizzabilità di detta produzione non essendo configurabile un onere del giudice di reperire da sé la documentazione malamente indicizzata (cfr. Casso n. 11617/2011) »; iv ) respinse, infine, la doglianza degli impugnanti circa l’eccessività della liquidazione delle spese di lite, perché « del tutto generica » (« non è allegato il mancato rispetto dei parametri di cui al DM 55/2014, applicabile ratione temporis , e detti parametri sono applicabili anche in favore della parte pubblica vittoriosa difesa in giudizio da avvocati propri dipendenti iscritti nell’albo speciale »), altresì considerando inidonee a
giustificarne la invocata compensazione l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione ed il mancato assolvimento della prova sul quantum .
Per la cassazione di questa sentenza hanno promosso un unico ricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, affidandosi a sei motivi, cui hanno resistito, con separati controricorsi, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, quest’ultima proponendo anche ricorso incidentale condizionato recante un motivo. Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del ricorso principale denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 184 e 277 c.p.c. e omesso esame dei fatti costitutivi della domanda, con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. ». Si ascrive alla corte capitolina di avere « mancato di decidere, ovvero di esprimere con puntualità e chiarezza la propria implicita decisione in senso favorevole all’appello, i punti di domanda formulati nel primo, secondo e terzo motivo di appello, consistenti rispettivamente: i) nella prospettazione delle due fusioni con indebitamento e sui derivati profili di nullità di entrambe le fattispecie concrete sottoposte a giudizio; ii) nella imprescrittibilità dell’azione prevista dalla legge in favore di chiunque abbia interesse a far valere la nullità dell’atto contestato; iii) nella mancata escussione dei mezzi di prova istati e non ammessi, particolarmente a fini dimostrativi del quantum preteso ed effettivamente dovuto. La violazione degli artt. 112, 115, 116, 184 e 277 c.p.c., sbrigativamente giustificata dal ritenuto mancato assolvimento dell’onere della prova sul quantum , è, in effetti, intrinsecamente contraddittoria con il difetto di decisione sul motivo concernente la mancata
ammissione dei mezzi di prova che, ove ammessi, avrebbero contribuito alla definizione del punto di domanda »;
II) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 277 e 278 c.p.c. e omesso esame degli atti processuali, con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. ». Si contesta alla corte territoriale di avere « rigettato l’appello, sull’assunto che il quantum non fosse dimostrato o, più esattamente, fosse dimostrato ‘da un numero imprecisato di documenti non indicati negli atti difensivi’ (cfr. pag. 7) e inibisse l’esame dei motivi di appello, malgrado le clausole di salvaguardia precisate nella domanda (per cui il quantum avrebbe potuto essere liquidato nella misura di 1 euro o in altro giudizio); e, tuttavia, in parte motiva, ha esercitato la potestà sancita dalla Suprema Corte in tema di scissione della decisione su an e quantum, pur travisando la portata del principio di diritto statuito dalla Suprema Corte medesima nella sentenza n. 9494/2011, citata in sentenza. L’esercizio della potestà di scissione tra i due elementi dell’ an e del quantum , che compongono la domanda risarcitoria, unitamente al riconoscimento espresso che parti attrici, odierne ricorrenti, sono soci legittimati all’azione e alla pretesa dell’ an , in quanto tale riconosciuto, contraddice manifestamente il dispositivo »;
III) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 277 e 324 c.p.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. ». Si deduce che « La Corte di provenienza si è pronunciata, con la decisione sul quantum , oltre i limiti della domanda sottoposta ad esame tramite i motivi e, invero, ha trascurato l’esistenza del giudicato interno intervenuto tra le parti, in punto di sussistenza della qualità di socio, documentata, non contestata e, per quanto detto nel precedente motivo, riconosciuta espressamente, unitamente al diritto alla liquidazione del danno comportato dalla legittimazione ad agire spettante de iure a parti attrici (che, infatti, non viene negata in sentenza, pur potendo essere rilevata d’ufficio, ex art. 81 c.p.c.), per mancato gravame specifico del punto di domanda, indeciso in primo grado, da parte di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE »;
IV) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 70, 107, 270 e 277 c.p.c. e art. 47 Cost. e omessa motivazione, con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. ». Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di appello che aveva lamentato la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti degli ex amministratori di RAGIONE_SOCIALE, rinviati a giudizio penale, e del Pubblico Ministero. Si assume che « La decisione sul punto appare carente, contraria alle richiamate disposizioni di legge e delle esigenze di tutela del bene primario del risparmio e dell’integrità del patrimonio e, comunque, immotivata »;
V) « Violazione o falsa applicazione dell’art. 158 c.p.c. e 25 Cost. e omessa motivazione, con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. ». Muovendo dal rilievo che la causa, incardinata dinanzi alla Corte di Appello di Roma, era stata assegnata originariamente, in via automatica, alla Sezione Terza e poi riassegnata dal Presidente della Corte prima alla Seconda Sezione e, successivamente, alla Sezione Prima (competente, tuttavia, per i diritti della personalità e, quanto alla materia di impresa, per i segni distintivi dell’azienda), i ricorrenti lamentano che quella corte non aveva considerato, atteso che la sentenza non tratta in alcuna parte, l’argomento, benché gli appellanti avessero sottoposto alla sua attenzione, nella comparsa conclusionale, la « materia della competenza tabellare al fine di accertare la legittima costituzione del Giudice per non pregiudicare la validità del processo e della sentenza »;
VI) « Violazione o falsa applicazione dell’art. 91, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », imputandosi alla corte distrettuale di avere « ignorato i principi di causalità e proporzionalità che disciplinano la materia delle spese », avendo tratto spunto, nella liquidazione, a dire dei ricorrenti « eccessiva », soltanto « dal ritenuto mancato assolvimento dell’onere della prova sul quantum, di cui si è, tuttavia, dianzi dedotta e dimostrata l’insussistenza, e avendo, invece, completamente ignorato, quanto meno ai fini di tale decisione, sia la mancata decisione su altri punti qualificanti della controversia, sia il rapporto di impiego dei legali della RAGIONE_SOCIALE ».
2. Giova evidenziare, immediatamente, che i primi cinque motivi predetti prospettano tutti, genericamente e cumulativamente, vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n. 33348 del 2018; Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. nn. 26018 e 22404 del 2014). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016; Cass. n. 3248 del 2012; Cass. n. 19443 del 2011).
2.1.1. È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n.
26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nei motivi di ricorso citati, i quali, per come concretamente argomentati, non consentono di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse. Né a tanto potrebbe porre rimedio, eventualmente, il contenuto di una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., esclusivamente destinata ad illustrare le cesure già proposte, senza poterne introdurre di nuove ( cfr., ex multis , Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006), ed alla quale, pertanto, certamente non potrebbe attribuirsi pure la funzione di eliminare cause di inammissibilità dei formulati motivi di ricorso.
3. Laddove, poi, i medesimi motivi dal primo al quinto, invocando l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., intendono denunciare un vizio motivazionale, gli stessi mostrano di non considerare in alcun modo che la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1 , n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pubblicata il 9 gennaio 2020), riguarda, dunque, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
3.1. Il vizio di motivazione, dunque, ancor più in rapporto al novellato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, atteso che, come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, « i) spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti; ii) giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999) ».
3.1.1. Cass., SU, n. 8053 del 2014, infine, interpretando il testo novellato della suddetta disposizione del codice di rito, ha puntualizzato che la parte ricorrente dovrà indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti
processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti. Onere, nella specie, non assolto nel suo complesso dai ricorrenti.
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso, come si ricorderà, lamenta che la corte capitolina ha « mancato di decidere ovvero di esprimere con puntualità e chiarezza la propria implicita decisione in senso favorevole all’appello, i punti di domanda formulati nel primo, secondo e terzo motivo di appello, consistenti rispettivamente: i) nella prospettazione delle due fusioni con indebitamento e sui derivati profili di nullità di entrambe le fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio; ii) nella imp rescrittibilità dell’azione prevista dalla legge in favore di chiunque vi abbia interesse a far valere la nullità dell’atto contestato; iii) nella mancata escussione dei mezzi di prova istati e non ammessi, particolarmente a fini dimostrativi del quantum preteso ed effettivamente dovuto » ( cfr . pag. 22 del ricorso). Secondo i ricorrenti, la violazione, ad opera della corte suddetta, delle disposizioni evocate nella rubrica del motivo, « sbrigativamente giustificata dal ritenuto mancato assolvimento dell’onere della prova sul quantum», si presenta « intrinsecamente contraddittoria con il difetto di decisione sul motivo concernente la mancata ammissione dei mezzi di prova che, ove ammessi, avrebbero contribuito alla definizione del punto di domanda ». Questa doglianza si rivela (oltre a quanto si è già detto circa l’inammissibile cumulo di mezzi di impugnazione che contiene) in parte inammissibile ed in parte infondato.
4.1. È inammissibile laddove volta a censurare la mancata ammissione di mezzi istruttori, perché mostra di non considerare che: i ) il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione ( cfr., ex multis , Cass. n. 18545 del 2020, in motivazione; Cass. n. 24830 del 2017; Cass. n. 13716 del 2016); ii ) la parte che, in sede di legittimità, denunci l’omessa
ammissione di mezzi istruttori, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr., ex aliis , Cass. n. 23194 del 2017; Cass. n. 19985 del 2017; Cass. n. 48 del 2014; Cass. n. 13677 del 2012; Cass. n. 17915 del 2010. In senso sostanzialmente analogo si veda anche Cass. n. 8204 del 2018). Nella specie, il motivo in esame non descrive minimamente la tipologia ed il contenuto dei mezzi di prova tempestivamente richiesti dagli odierni ricorrenti (e non ammessi dal giudice di merito), sicché il Collegio nemmeno è posto in condizione di valutarne la eventuale decisività. A tanto deve soltanto aggiungersi, per mera completezza, che « il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento » ( cfr . Cass. n. 16214 del 2019. In senso sostanzialmente conforme, e con specifico riferimento alla prova documentale, si vedano anche Cass. n. 35782 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022, secondo cui «Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un fatto controverso e decisivo della lite e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione
delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa »).
4.1.1. Ciò, peraltro, non senza rimarcare che, dalla lettura della sentenza impugnata, si evince che la corte territoriale ha esaminato il materiale probatorio, posto che il rigetto delle domande risarcitorie si è fondato sul difetto di prova del danno giu stificato con l’affermazione che le prove documentali offerte dagli attori/appellanti erano ‘ inutilizzabili ‘ essendovi stata una produzione ‘ alla rinfusa ‘ di un numero imprecisato di documenti « non indicati negli atti difensivi e di contenuto parimenti imprecisato in patente violazione dell’art. 87 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile » ( cfr . pag. 7 della menzionata sentenza).
4.2. Il motivo è infondato, invece, laddove si imputa alla corte territoriale di aver « mancato di decidere ovvero di esprimere con puntualità e chiarezza la propria implicita decisione in senso favorevole all’appello ».
4.2.1. Infatti, come si è già ampiamente esposto nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, la corte distrettuale ha ritenuto che « indipendentemente dalla fondatezza delle censure mosse alla statuizione di accoglimento dell’eccezione di prescrizione estintiva delle pretese azionate in giudizio, la statuizione di rigetto delle domande non poterebbe essere comunque riformata per mancato assolvimento dell’onere della prova sul danno. Gli appellanti, con l’atto introduttivo, non si sono limitati a instare per la pronuncia di condanna generica, avendo chiesto anche la liquidazione del “danno come attestato dalle analitiche produzioni documentali allegate sub 53 o nella diversa misura, maggiore o minore, che sarà quantificata in corso di causa o che verrà stabilita dal Tribunale all’esito del giudizio o secondo valutazione equitativa”. La domanda è quindi unica e avrebbe potuto essere accolta, superata l’eccezione di prescrizione, solo nel caso di assolvimento dell’onere della prova da parte degli attori del quantum debeatur ( cfr. Cass. nn. 6517/2012 e 9404/2011)».
4.2.2. È di tutta evidenza, quindi, che, nella specie, nessuna omessa pronuncia è configurabile: gli attori/appellanti avevano chiesto la condanna delle convenute/appellate al risarcimento del danno come dai primi
prospettato e tale domanda è stata rigettata dalla corte d’appello per l’assorbente ragione del mancato assolvimento, da parte di questi ultimi, dell’onere probatorio circa il danno da loro sofferto.
4.2.3. In questa prospettiva, risultano del tutto irrilevanti ai fini del pronunciato rigetto, gli invocati ‘ profili di nullità ” delle operazioni asseritamente dannose e la pretesa ‘ imprescrittibilità ‘ delle ‘ questioni di nullità ‘ concernenti le operazioni medesime. In altri termini, gli appellanti hanno chiesto il risarcimento del danno ma la loro domanda risarcitoria non poteva che essere respinta una volta accertato che essi non avevano assolto all’onere della prova sul danno stesso, indipendentemente da ogni altra valutazione.
4.2.4. Resta solo da dire che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto ( cfr . Cass. n. 1798 del 2024; Cass. n. 24667 del 2021; Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 841 del 2014; Cass. n. 772 del 2011). Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti, come in questo caso, il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione ( cfr . Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 1798 del 2024; Cass. n. 35862 del 2023; Cass. n. 12131 del 2023; Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Il Giudice, invero, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito. Ne consegue che: i ) il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto -non ricorre laddove, seppure manchi una specifica
argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto ( cfr . Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12652 del 2020); ii ) la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività ( cfr . Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12131 del 2023; Cass. n. 24953 del 2020).
Il secondo motivo di ricorso si rivela, oltre che caratterizzato anch’esso, al pari di quello precedente, dal profilo di inammissibilità dovuto all’essere stati ivi cumulati vizi di natura eterogenea, manifestamente infondato.
5.1. Invero, la corte di merito, dopo aver dato atto, del tutto correttamente, che in questo giudizio era stata formulata una domanda risarcitoria includente quella di liquidazione del danno, ha affermato, con il conforto della richiamata giurisprudenza di legittimità, che, per darsi una pronuncia di condanna al risarcimento del danno, occorre, in ogni caso, che questo sia allegato e provato, dovendo le domande risarcitorie essere respinte in mancanza di una tale dimostrazione (come accaduto nel caso di specie).
5.2. Trattasi, ad avviso del Collegio, di un modus operandi e di una conclusione del tutto condivisibili.
5.2.1. Invero, giova premettere, quanto alle ipotesi di ammissibilità di una condanna generica, che, malgrado la lettera dell’art. 278, comma 1, cod. proc. civ. sembri limitare la possibilità di scindere la pronuncia di merito alla fattispecie in cui ab origine sia stata proposta una domanda di condanna volta ad accertare l’esistenza di un diritto e la liquidazione di una somma e la situazione probatoria consigli di provvedere, intanto, con una sentenza non definitiva che accerti la sussistenza dell’ an , rinviando, poi, la quantificazione del quantum alla prosecuzione dello stesso giudizio, la giurisprudenza e parte della dottrina hanno riconosciuto sia la facoltà dell’attore di chiedere
successivamente la separazione tra an e quantum in due giudizi diversi, nonostante fosse stata intrapresa un’azione per ottenere la condanna specifica (cioè per an e quantum ), sia la possibilità di proporre ab initio un’autonoma azione per ottenere una pronuncia sul solo an, con riserva di proporre un separato giudizio per la quantificazione del danno ( cfr . Cass. n. 5551 del 2016; Cass. n. 15066 del 2000).
5.2.2. Si è affermato, infatti, che la scissione della pronuncia sull’ an debeatur da quella sul quantum è consentita ogniqualvolta vi sia, nel corso del giudizio ed anche in sede di conclusioni, conforme ed esplicita richiesta della parte interessata, senza che a ciò possa essere di ostacolo la circostanza che la domanda introduttiva del giudizio prevedesse puramente e semplicemente la richiesta del risarcimento dei danni ( cfr . Cass. n. 17832 del 2002) e che l’opposizione del convenuto alla domanda di conda nna generica al risarcimento del danno è ammissibile ed impone al giudice di stabilire se il pregiudizio si sia verificato, o meno, con certezza e non con semplice probabilità, con la conseguenza che l’accertamento negativo di detto danno preclude la prosecuzione della pretesa attorea in una seconda fase o in un successivo giudizio. Tale prosecuzione è, invece, legittima ove siffatto accertamento, pur condotto in termini di certezza e non di probabilità, dia esito positivo, ma sia nondimeno necessario quantificare in concreto il pregiudizio in esame in una separata fase od in un distinto giudizio ( cfr . Cass. n. 4653 del 2021).
5.3. È innegabile, dunque, che, nell’odierna fattispecie, affinché l’oggetto dell’instaurato giudizio potesse intendersi limitato al solo accertamento del diritto al risarcimento del danno, con la conseguente pronuncia di una condanna generica ed il rinvio della sua liquidazione ad un separato processo, sarebbe stata necessaria una esplicita istanza in tal senso degli originari attori, di cui, tuttavia, non si rinviene traccia nel motivo in esame, così come nemmeno risulta un eventuale consenso delle convenute ad una tale limitazione.
5.4. Questa Corte, poi, ha affermato che l’accertamento se la parte abbia chiesto una pronuncia soltanto di condanna generica ovvero estesa al
quantum attiene all’interpretazione della domanda, da condurre facendo esclusivo riferimento all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ed è sottratto al sindacato di legittimità se correttamente motivato dal giudice di merito ( cfr . Cass. n. 14669 del 2022; Cass. n. 12650 del 2003).
5.4.1. Si rivela decisivo, quindi, il già evidenziato profilo di difetto di specificità del motivo in esame, in cui manca del tutto la trascrizione delle parti rilevanti delle conclusioni della citazione introduttiva del giudizio di primo grado (cui, come si è anticipato, va fatto esclusivo riferimento nell’individuare contenuto e limiti della domanda).
5.4.2. Affatto condivisibilmente, peraltro, la sentenza impugnata ha escluso che una istanza di pronuncia di condanna generica si sarebbe potuta ravvisare nella domanda degli attori/appellanti, oggi ricorrenti, volta a vedersi liquidare il danno « come attestato dalle analitiche produzioni documentali allegate sub 53 o nella diversa misura, maggiore o minore, che sarà quantificata in corso di causa o che verrà stabilita dal Tribunale all’esito del giudizio o secondo valutazione equitativa » ( cfr . pag. 6 della sentenza impugnata). Invero, in una così ampia formulazione è chiaramente implicita la domanda di accertamento non solo dell’ an ma anche del quantum debeatur . Non si può, quindi, logicamente desumere, dalla così formulata domanda risarcitoria, che la stessa fosse stata ab initio limitata alla condanna generica.
5.4.2. La sentenza impugnata è immune, pertanto, dal vizio ad essa ascritto dalla censura in esame, rivelandosi, invece, pienamente coerente con il principio, qui condiviso, sancito da Cass. n. 8581 del 2022, secondo cui, « Nel giudizio di risarcimento del danno, in cui l’attore abbia proposto domanda di condanna specifica, il giudice può, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c., pronunciare una sentenza non definitiva di condanna generica al risarcimento, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del processo per la liquidazione del danno, nel rispetto delle preclusioni e decadenze già maturate, mentre non può, in mancanza di accordo delle parti, definire il giudizio con una pronuncia limitata all’ an del diritto, rinviando la determinazione del quantum ad altro giudizio, perché così
ometterebbe di pronunciarsi su una parte della domanda e consentirebbe all’attore di eludere le preclusioni maturate nel processo ».
5.5. Resta solo da dire che, nella parte in cui la censura richiama documenti prodotti in primo grado, ciò avrebbe imposto al ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza, il duplice onere, invece, rimasto solo parzialmente adempiuto: i ) di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa dei documenti suddetti nel ricorso per cassazione al fine di consentirne il vaglio di decisività ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 13625 del 2019, con rinvio a Cass. n. 18506 del 2006). Nulla, invece, la doglianza precisa in proposito; ii ) di indicare in quale specifica sede processuale tanto era stato prodotto ( cfr . Cass. n. 28184 del 2020, a tenore della quale, « In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” »).
Il terzo motivo di ricorso, oltre che caratterizzato anch’esso, al pari dei due precedenti, dal profilo di inammissibilità dovuto all’essere stati ivi cumulati vizi di natura eterogenea, è pure manifestamente infondato.
6.1. Diversamente da quanto lamentato dai ricorrenti, infatti, la sentenza impugnata non ha « trascurato l’esistenza di un giudicato interno intervenuto tra le parti in punto di sussistenza della qualità di socio », né ha « riconosciuto espressamente il diritto alla liquidazione del danno », elementi, questi, che, nella pretesa ricostruzione dei ricorrenti, sono del tutto disancorati da ogni riferimento testuale alla sentenza predetta.
6.1.1. Quest’ultima, invero, come si è già riferito disattendendosi il primo motivo, ha rigettato nel merito le domande risarcitorie formulate dagli
attori/appellanti, oggi ricorrenti, reputando, sulla base di un corretto ragionamento logico giuridico, che non fosse stato dimostrato il danno lamentato.
6.2. Non corrisponde al vero, quindi, che la corte distrettuale si era pronunciata « con la decisione sul quantum , oltre i limiti della domanda sottoposta al suo esame tramite i motivi » di appello, in proposito bastando richiamare quanto si è già detto con riferimento al secondo motivo.
6.3. Assolutamente irrilevante, poi, ancor prima che erroneo, stante la concreta, descritta ragione del rigetto della loro domanda esposta dalla corte di merito, è l’assunto dei ricorrenti secondo cui quest’ultima aveva « trascurato l’esistenza del giudicato interno intervenuto tra le parti, in punto di sussistenza della qualità di socio, documentata non contestata riconosciuta espressamente, unitamente al diritto alla liquidazione del danno ».
6.3.1. Nessun ‘ giudicato interno ‘ può dirsi formato in ordine alla sussistenza della qualità di socio, avendo la corte capitolina opinato, sul punto, che « gli attori avevano scarnamente allegato con l’atto introduttivo la qualità di socio », successivamente precisando che « Le allegazioni attoree, in effetti, non dicono quando gli istanti acquisirono la qualità di soci di RAGIONE_SOCIALE e quale fosse l’entità delle loro partecipazioni e il valore di ciascuna di esse nel 2003 e negli anni successivi » e che « Neppure può essere affermato che la assolutamente carente allegazione possa essere stata, benché irritualmente, supplita da idonea produzione documentale », essendo quella fornita dagli attori/appellanti « inutilizzabile » per le ragioni dalla stessa esposte e rimaste inadeguatamente censurate in questa sede.
Il quarto motivo di ricorso è complessivamente inammissibile.
5.1. Invero, quanto alla lamentata omessa integrazione del contraddittorio nei confronti degli ex amministratori di RAGIONE_SOCIALE, rinviati a giudizio penale, è sufficiente ricordare che l’obbligazione risarcitoria come quella prospettata fin dal primo grado nell’odierna vicenda è per sua natura solidale e non dà luogo a litisconsorzio necessario, sicché nessun obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti dei predetti amministratori si
imponeva al giudice di merito. A ciò dovendosi solo aggiungere che la chiamata in causa di un terzo ex art. 107 c.p.c. è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, involgendo valutazioni sull’opportunità di estendere il processo ad altro soggetto, onde l’esercizio, o non, del relativo potere è insindacabile sia in appello, che in sede di legittimità ( cfr . Cass. n. 19974 del 2023).
5.2. Con riguardo, invece, alla censurata omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del Pubblico Ministero, basta considerare che l’azione intrapresa dagli attori, tra cui, oggi, i ricorrenti, certamente non rientra tra quelle esercitabili dal Pubblico Ministero ( cfr . art. 69 cod. proc. civ.), né tra le cause per cui l’art. 70, commi 1 e 2, cod. proc. civ. impone a quest’ultimo di intervenire a pena di nullità rilevabile di ufficio.
5.2.1. Il comma 3 di detto articolo, prevede, inoltre, che il Pubblico Ministero ‘ Può intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse ‘, mentre il successivo art. 71, dopo aver sancito, al comma 1, che ‘ Il giudice, davanti al quale è proposta una delle cause indicate nel primo comma dell’articolo precedente, ordina la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire ‘, dispone, poi, al comma 2, che ‘ Lo stesso ordine il giudice può dare ogni volta che ravvisi uno dei casi previsti nell’ultimo comma dell’articolo precedente ‘. Nella specie, la corte distrettuale, nell’esercizio di un proprio potere chiaramente discrezionale (come denota l’utilizzo del verbo ‘ può ‘ nel comma da ultimo indicato) e, come tale, qui non ulteriormente sindacabile, non ha ravvisato l’esistenza di un pubblico interesse tale da determinare l’intervento del Pubblico Ministero. È indubbio, quindi, che, esulando la fattispecie dalle ipotesi per le quali è obbligatorio l’intervento del Pubblico Ministero a mente dei primi due commi dell’art. 70 cod. proc. civ., non potrebbe che trovare applicazione l’orientamento, più volte ribadito da questa Corte e che il Collegio condivide, per il quale, nei giudizi in cui l’intervento del Pubblico Ministero è facoltativo a norma dell’art. 70, ultimo comma, cod. proc. civ., questi non acquista la qualità di parte necessaria, sicché non sussiste, in grado di appello, la
necessità di integrare il contraddittorio nei suoi confronti ( cfr . Cass. n. 17204 del 2017).
5.2.2. Infine, mere ragioni di completezza impongono di rimarcare che, anche qualora si fosse stato al cospetto di una causa che avrebbe imposto l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero, il rinvio contenuto nell’ultima parte dell’art. 158 cod. proc. civ. al successivo art. 161, avrebbe comportato la conversione della nullità derivante dalla mancata partecipazione del Pubblico Ministero, in mezzo di impugnazione ( cfr . Cass. n. 16361 del 2014; Cass., 31 marzo 2011, n. 7423 del 2011; Cass. nn. 5504 e 2073 del 2000), altresì dovendosi ritenere, avuto riguardo anche alla disposizione contenuta nell’art. 397, n. l, cod. proc. civ., che prevede l’ipotesi specifica della revocazione proponibile dal solo Pubblico Ministero nelle cause in cui il proprio intervento è obbligatorio, che le altre parti non sarebbero legittimate, in via concorrente, a proporre impugnazione in relazione a tale omissione ( cfr . Cass. n. 16361 del 2014; Cass. n. 11960 del 1993).
6. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ..
6.1. Da un lato, infatti, è sufficiente ricordare che: i ) in assoluto, non costituisce motivo di nullità del procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, pur in mancanza di un formale provvedimento di sostituzione da parte del capo dell’ufficio, tenuto conto che il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata ( cfr . Cass. n. 466 del 2016); ii ) ai sensi dell’art. 156, comma 1, cod. proc. civ., la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, sicché, nella specie, sarebbe configurabile, al più, una mera irregolarità, comunque inidonea a produrre qualsivoglia concreta conseguenza negativa sugli atti processuali o sulla sentenza ( cfr . Cass. n. 6964 del 2011; Cass. n. 19660 del 2016).
6.1.1. Dall’altro, i ricorrenti affermano di aver prospettato la relativa questione alla corte di appello solo nella loro comparsa conclusionale, sicché
deve trovare applicazione il principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire, secondo cui, la comparsa conclusionale di cui all’art. 190 cod. proc. civ. ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, sicché, ove sia prospettata per la prima volta una questione nuova con tale atto nel procedimento d’appello, il giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo, potendo limitarsi ad ignorarla, senza con ciò incorrere nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 20232 del 2022, con richiamo ivi a Cass. n. 16582 del 2005 e Cass. n. 11175 del 2022).
Il sesto motivo, infine, si rivela parimenti inammissibile ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ..
7.1. In proposito, infatti, basta ricordare che la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, cod. proc. civ., trova ingresso, in questa sede di legittimità, solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15697 e 9014 del 2023; Cass. n. 2984 del 2022; Cass. nn. 26912 e 18128 del 2020), e tanto non è dato cogliere dal motivo all’esame. Esso, inoltre, omette di considerare che è la statuizione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale ( cfr., ex multis , Cass. n. 15697 del 2023; Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. nn. 11744 e 6756 del 2004; Cass. n. 10009 del 2003). In altri termini, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ( cfr . Cass. n. 15697 del 2023; Cass. n. 11329 del 2019).
Il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE, dichiaratamente proposto in via condizionata all’accoglimento di quello principale (invece respinto), deve considerarsi assorbito.
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto, mentre va dichiarato assorbito quello incidentale condizionato di RAGIONE_SOCIALE.
9.1. Le spese di questo giudizio di legittimità sostenute da ciascuna delle costituitesi controricorrenti restano a carico dei ricorrenti principali, in via solidale, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti principali, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
9.2. Considerata la palese inammissibilità e/o la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale degli odierni ricorrenti sia connotata da colpa grave, tale da integrare un ” abuso del processo ” (secondo la nozione enucleata da Cass., SU n. 22405 del 2018. Si vedano anche Cass. n. 30564 del 2023; Cass., SU, n. 4315 del 2020; Cass. nn. 29462 e 10327 del 2018; Cass. n. 19285 del 2016), per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis e nel testo anteriore alla modifica apportatagli dal d.lgs. n. 149 del 2022), mediante la condanna degli stessi, in solido tra loro, al pagamento d ella somma di € 8.000,00, equitativamente determinata in favore di ciascuna parte controricorrente che ne ha fatto richiesta.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di RAGIONE_SOCIALE.
Condanna i ricorrenti principali, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, liquidate, per ciascuna di esse, in complessivi € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna i ricorrenti predetti, in solido tra loro, al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., della somma di € 8-000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile