Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23277/2022 R.G. proposto da :
MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA, in persona del Ministro pro tempore, ex lege domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ope legis. -ricorrente – contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME -controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2224/2021 depositata il 31/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Ministero della Transizione Ecologica (di seguito, per brevità, Ministero o Mite), già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, conveniva avanti al Tribunale di Venezia la RAGIONE_SOCIALE, onde sentirla condannare, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349/1986, al risarcimento del danno ambientale, che prospettava essere persistente nonostante l’impresa COGNOME avesse svolto attività di bonifica del sito, in quanto la bonifica era intervenuta parecchi mesi dopo il comportamento dannoso, costituito dall’incontrollato interramento di eternit, e non risultava essere stato raggiunto l’obiettivo, fissato dal d.m. n. 471/1971, della concentrazione massima di amianto nel suolo pari a 1000 mg/Kg VW ovvero alla percentuale dello 0,1%.
Si costituiva, resistendo, la RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 2208 del 13 agosto 2009 il Tribunale di Venezia rigettava la domanda risarcitoria, ritenendo non provata l’esistenza di danno ambientale.
Avverso tale sentenza il Ministero proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, la RAGIONE_SOCIALE
3.1. Con sentenza n. 920 dell’8 aprile 2015 la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza il Ministero proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
5.1. Con ordinanza n. 23195 del 27 settembre 2018 questa Suprema Corte, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, cassava l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame, alla corte veneta, in diversa composizione.
Il Ministero riassumeva il giudizio avanti al giudice di rinvio, chiedendo l’accoglimento dell’originaria domanda risarcitoria; si costituiva resistendo la RAGIONE_SOCIALE
6.1. Con sentenza n. 2224 del 31 agosto 2021 la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza il Ministero propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La società controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente Ministero denuncia ‘Error in procedendo per mancato rispetto dei principi di diritto e dei presupposti logicogiuridici enunciati dall’ordinanza di codesta Corte n. 23195/2018 resa inter partes, che ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 920/2015, e conseguente violazione degli articoli 384 e 394 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.)’.
Lamenta che la corte d’appello, quale giudice di rinvio, ha omesso qualsivoglia verifica circa l’assolvimento dell’onere della prova -incombente sulla società COGNOME – del raggiungimento dell’obiettivo di bonifica fissato dal d.m. 471/1999 e si è invece limitato a disporre una nuova c.t.u., in tal modo esonerando prima la società COGNOME dal suo onere probatorio e pervenendo poi a recepire pedissequamente le risultanze peritali.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e dell’art. 115, comma 1, c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.)’.
Lamenta, come già nel primo motivo, che era onere della RAGIONE_SOCIALE fornire la prova della corretta bonifica del suolo,
da essa in precedenza contaminato con l’interramento di rifiuti contenenti amianto, e che invece la corte di merito, facendo mal governo della regola di riparto dell’onere della prova, ha omesso di considerare l’inerzia istruttoria dell’impresa e l’ha erroneamente assolta dalla domanda risarcitoria.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 268, 300 e 311, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 152/2006’.
Lamenta che il giudice di rinvio, pur avendo accertato che la frantumazione delle lastre in eternit con l’utilizzo della pala meccanica aveva determinato in misura considerevole il rilascio incontrollato di fibre di amianto nell’ambiente circostante e nel terreno, è pervenuto a rigettare la domanda di risarcimento del danno ambientale, in relazione al lungo tempo trascorso dalla contaminazione; invece, ammesso e non concesso che per il lungo tempo trascorso non fossero più praticabili misure di riparazione primaria, la corte territoriale avrebbe comunque dovuto individuare, e conseguentemente disporre, a carico della società responsabile del gravissimo illecito ambientale, le misure di riparazione complementare e compensativa, anche determinando i relativi costi per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione.
I tre motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono fondati, nei termini e con le precisazioni che seguono.
4.1. Va anzitutto ricordato che nell’ordinanza n. 23195/2018 con la quale veniva disposta la cassazione con rinvio questa Suprema Corte aveva rilevato: a) che ai giudizi di risarcimento del danno ambientale pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria da tale legge recepita, è comunque applicabile il d.lgs. n. 152 del 2006 come modificato
dall’art. 25 della citata legge n. 97 del 2013; b) che ai sensi di tale normativa il giudice deve individuare le misure di riparazione primaria, complementare o compensativa ivi prescritte: le misure di riparazione costituiscono oggetto di un obbligo previsto dalla legge a carico del danneggiante, che deve dare la prova di aver adempiuto a tale obbligo (Cass., Sez. Un., 13533/2001), e nel caso di omessa o incompleta esecuzione delle misure di riparazione il giudice deve individuarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti (Cass., n. 14935/2016; Cass., 9012/2015; Cass., 16806/2015).
Inoltre, nell’accogliere il primo motivo di ricorso questa Corte aveva avuto modo di affermare: ‘Il giudice di merito ha affermato che in base alla metodica di analisi utilizzata non è possibile accertare, in relazione alla domanda di bonifica del sito inquinato effettuata dal soggetto danneggiante, il raggiungimento dell’obiettivo di cui al D.M. n. 471 del 1999, di una concentrazione massima nel suolo pari a 1000 mg./Kg. e che tale mancato accertamento non può essere posto a carico del soggetto danneggiante medesimo. In tal modo ha però violato la regola dell’onere probatorio in base alla quale è onere dell’obbligato provare di aver eseguito in modo completo le misure di riparazione. A tale regola dovrà attenersi il giudice di merito’.
Nell’accogliere il terzo motivo di ricorso, con cui il Ministero ricorrente si doleva del fatto che la corte d’appello aveva deciso solo in relazione al fatto dell’interramento dell’amianto, senza invece considerare le modalità, del tutto inidonee, con cui era stato smaltito l’eternit nonché il pessimo stato delle onduline di eternit non interrate, questa Corte aveva altresì affermato: ‘Trattasi di circostanze decisive ai fini della valutazione del danno non limitato all’interramento e di cui il giudice di merito ha
omesso l’esame. Nella valutazione delle risultanze processuali, giungendo ad un esito negativo per le ragioni dell’Amministrazione, risulta infatti pretermesso l’esame dei fatti storici indicati nel motivo’.
4.2. Inoltre, poiché i motivi di ricorso lamentano sotto vari profili che l’impugnata sentenza non avrebbe rispettato i limiti del giudizio di rinvio, va ricordato il consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui: a) il giudizio di rinvio è configurato dall’art. 394 cod. proc. civ. quale giudizio ‘chiuso’, in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e quindi la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove (v. tra le tante Cass., 22/09/2022, n. 27736; Cass., 23/07/2024, n. 20423), ed in cui il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione in relazione ai punti decisivi non congruamente valutati dalla sentenza cassata (Cass., 02/02/2024, n. 3150); b) i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio, peraltro, sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può
comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (v. Cass., 15/06/2023, n. 17240; Cass., 24/10/2019, n. 27337).
4.3. Orbene, nel caso di specie questa Suprema Corte ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza sia ai fini della corretta applicazione della regola dell’onere della prova, sia per un nuovo esame della controversia in relazione a fatti decisivi che erano stati pretermessi.
Si tratta, dunque, di una cassazione sia per violazione di legge che per omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, per cui la corte veneziana era anche chiamata ad un nuovo esame della vicenda, e questo è esattamente ciò che ha fatto, disponendo una nuova c.t.u. a carattere per l’accertamento di fatti che possono essere accertati e compresi soltanto a mezzo di conoscenze tecniche (cfr. Cass., 24/06/2020, n. 12387).
4.3.1. La corte di merito ha tuttavia errato là dove: a) prima ha affermato che era risultata accertata ‘ una concentrazione nel terreno di 360 ppm e non pari a 100 ppm corrispondenti allo 0,1% in peso previsto dal DM 471/1999’ e dunque superiore al limite di legge; b) dopo, lungi dal valorizzare l’esistenza di una concentrazione di natura inquinante superiore al limite di legge, ha rilevato che ‘la non corrispondenza era tuttavia inesistente in quanto il DM 471/1999 faceva riferimento alla percentuale in peso sul secco, mentre la metodologia utilizzata faceva riferimento alla concentrazione di fibre di amianto sul residuo filtrato’; c) ed ha ancora ulteriormente affermato che ‘anche l’analisi con difrattometria a raggi X (DRX) prevista come da nota alla tabella dell’Allegato 1 al DM 417/1999 era risultata in grado di rilevare fino all’1% in peso di amianto sul secco … anche le
stesse parallele analisi ARPAV (aprile 2000) sul terreno di fondo dopo la bonifica erano state eseguite mediante difrattometria a raggi X con un limite di rilevabilità della metodica di analisi dell’1% in concentrazione ponderale’ (v. p. 9 dell’impugnata sentenza).
In primo luogo, siffatta motivazione, pur avendo accertato una concentrazione di amianto superiore ai limiti ed alla percentuale di legge, perviene a ritenerla ‘inesistente’, sul rilievo per cui i limiti stabiliti dal citato d.m. 417/1999 sono costituiti da una percentuale in peso sul secco, mentre l’espletata c.t.u. ha adottato una diversa metodologia (quella della concentrazione di amianto sul residuo filtrato). Essa risulta così oscura e perplessa (nonché, in ultima analisi, al di sotto del cd. ‘minimo costituzionale’: v. Cass., Sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014), dato che non consente di comprendere perché ed in qual misura il giudice, peritus peritorum , dovrebbe attribuire valore probatorio ad una consulenza tecnica che adotta un metodo di valutazione diverso da quello di legge.
In secondo luogo, là dove osserva che la metodica a raggi X incontra il limite, nel rilevare la percentuale in peso sul secco, dell’1%, l’impugnata sentenza si esprime in maniera assertiva e non concludente, e finisce per violare la regola di riparto dell’onere della prova che invece, in stretta ottemperanza al principio di rinvio, avrebbe dovuto osservare.
La corte di merito ha affermato che in base alla metodica di analisi non è possibile accertare il raggiungimento dell’obiettivo di cui al D.M. n. 471 del 1999, di una concentrazione massima nel suolo pari a 1000 mg./Kg., dato, questo, che il provvedimento di cassazione con rinvio aveva invece ritenuto decisivo nonché oggetto di specifica prova che era onere del soggetto danneggiante fornire, ed ha quindi violato il principio di diritto cui avrebbe dovuto attenersi il giudice del rinvio, che discende dal
costante insegnamento di legittimità, secondo cui la regola della ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 cod. civ. assolve ad una duplice funzione: a) ripartisce tra le parti l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle loro pretese, al fine di fornire al giudice gli elementi di decisione relativamente alla questione di fatto; b) soprattutto, per quanto qui rileva, consente al giudice di giudicare sempre sulle domande propostegli, sia che disponga sia che non disponga di prove (Cass., 23286/2024).
La regola di ripartizione dell’onere della prova, se correttamente applicata, fa sì che il giudice civile possa sempre decidere e, in caso di prova insufficiente, possa valutarla come prova mancante, cioè come prova che non è stata fornita dalla parte che pure era gravata dal relativo onere probatorio.
4.3.2. Orbene, nella qui impugnata sentenza, il giudice di rinvio, cui era stato demandato un nuovo esame della fattispecie nella corretta applicazione del riparto dell’onere della prova, ha ritenuto di dedurre dai limiti metodologici degli svolti accertamenti tecnici l’assenza di responsabilità dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, mentre, al contrario: a) doveva trarre la conseguenza del mancato assolvimento all’onere della prova a carico dell’impresa; b) doveva, per l’effetto, accertare che l’impresa, pacificamente riconosciuta come responsabile dell’inquinamento e tenuta alla bonifica, non era riuscita a dimostrare di aver raggiunto l’obiettivo fissato dal d.m. n. 471/1999; c) doveva accertare ed individuare l’omessa o non completa esecuzione delle misure di riparazione, primarie, complementari e compensative, e, di conseguenza, doveva determinarne i costi e condannare l’impresa responsabile al loro pagamento.
Analoghe considerazioni possono essere svolte in relazione alle doglianze, come detto altrettanto fondate, contenute nel terzo motivo di ricorso.
La corte di merito, che pure ha espletato c.t.u. per accertare e valutare quei fatti, attinenti allo smaltimento delle onduline in eternit, che nel precedente giudizio di legittimità conclusosi con cassazione con rinvio erano stati ritenuti fatti decisivi pretermessi, è tuttavia pervenuta ad affermare che ‘a distanza di oltre 20 anni dall’incidente’ non risultava ‘alcuna documentazione riguardante lavori di manutenzione che abbiano interessato le onduline in eternit, non erano presenti lastre in amianto cemento e non era nemmeno possibile risalire allo stato di contaminazione causato dal rilascio di fibre dalle coperture allora fuori terra o ancora in opera, né era possibile accertare l’eventuale localizzazione’ (p. 8 -9 e 10 dell’impugnata sentenza).
Orbene – premesso che nel giudizio di cassazione con rinvio era stato espressamente rilevato, per un verso, che l’opera di smaltimento dell’eternit non fosse stata affidata ad impresa specializzata, ma eseguita da dipendenti della stessa RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE senza l’adozione di misure cautelari, per altro verso, che erano state rinvenute onduline di eternit (in pessimo stato), accatastate o posate a perdurante copertura dei tetti di strutture abitative – la corte di merito, quale giudice del rinvio, ha svolto una motivazione errata, dato che l’impossibilità di ricostruire le modalità di smaltimento delle onduline in eternit, a distanza di tempo ed in assenza di documentazione, avrebbe dovuto essere considerata come conseguenza del mancato assolvimento dell’onere probatorio, gravante sull’impresa responsabile del danno ambientale, di aver eseguito in modo completo le misure di riparazione prescritte dalla legge.
6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto.
L’impugnata sentenza va cassata per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione dei suindicati principi ed anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza