Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5938 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5938 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21379/2023 R.G. proposto da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza del Corte di Appello di Reggio Calabria n. 778/2022, depositata il 16 settembre 2022
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. propone ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, depositata il 16 settembre 2022, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, la ha condannata al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 203.296,85, da questi indebitamente versate alla Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. , nei cui rapporti l’odierna ricorrente era subentrata, nell’esecuzione di un contratto di conto corrente;
il ricorso è affidato a un motivo;
resiste con controricorso NOME COGNOME
a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., parte ricorrente chiede la decisione della causa;
CONSIDERATO CHE:
c on l’unico motivo di ricorso si deduce la «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 132 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»;
si censura, in particolare, la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto corretta la ricostruzione del saldo finale del rapporto bancario operata, pur a fronte della mancata produzione di estratti conto intermedi, sommando i saldi ricostruiti nei periodi documentati dalla produzione di detti estratti, sulla scorta del principio a mente del quale il ricalcolo del rapporto può avvenire limitatamente ai lassi temporali interessati dalla documentazione, e senza considerare l’eccezione della banca in ordine alla inattendibilità della presunzione che nulla sia successo nei lassi non documentati, o melius che possano essersi registrate solo operazioni sfavorevoli per il cliente posto che l’eventuale verificazione, nell’ambito di queste ultime, di atti viceversa vantaggiosi per il cliente avrebbe dovuto essere dimostrata dall’ istituto di credito; – la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto tale motivo fosse
inammissibile così argomentando: «Sarebbe agevole osservare che:
-) la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto
nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949); mentre, nel caso in esame, il giudice di merito, lungi dal dar corso al ribaltamento dell’onere probatorio in cui si riassume la violazione della norma, decidendo la controversia con il dar torto alla parte non inadempiente dell’onere, ha invece pronunciato la propria decisione nei limiti in cui ha ritenuto provata la domanda attrice, con il che la violazione dell’articolo 2697 c.c. non p uò neppure astrattamente conciliarsi;
-) per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (tra le tantissime Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867); e non occorre dilungarsi ad osservare che, nel caso di specie, la censura concerne appunto la valutazione del materiale istruttorio, ed in particolare l’operazione compiuta dal giudice di merito nel ricostruire i rapporti di dare ed avere, pur in mancanza, in relazione a determinati periodi, di estratti conto, ovvero di ulteriore
documentazione ritenuta probante;
-) la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053); e, nel caso in esame, che una motivazione vi sia, nella sentenza impugnata, discutibile fin quando si vuole, ma eccedente la soglia del minimo costituzionale, non è revocabile in dubbio;
-) la denuncia di omessa considerazione di fatto decisivo e controverso è evidentemente priva di pertinenza al caso, giacché il motivo in effetti denuncia l’erroneità del governo del materiale istruttorio, per avere il giudice di merito ricostruito il saldo dei rapporti in essere tra le parti, in buona sostanza, come già si diceva, sulla base di documentazione inidonea, pur nel riconosciuto quadro di applicazione del principio secondo cui quando è il correntista che agisce in giudizio, è il correntista che deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto»;
ha, inoltre, aggiunto che il ricorso è inammissibile «anche sotto un altro aspetto, e cioè sulla base dell’articolo 360 bis, numero 1, c.p.c.: difatti il modo di ragionare del giudice di merito è sostanzialmente conforme a quanto stabilito da questa Corte, in particolare, da ultimo,
in sede di pubblica udienza, dalla sentenza n. 1763 del 2024, la quale rappresenta l’attuale approdo giurisprudenziale sulle problematiche direttamente ed indirettamente connesse all’operatività del cosiddetto «saldo zero»»;
alle considerazioni che precedono può aggiungersi che la ricorrente omette di indicare in modo puntuale se l’azione esperita in primo grado fosse intesa a ottenere il ricalcolo del saldo con condanna al pagamento della differenza a credito del correntista, in relazione alla quale l’incompletezza degli estratti conto depositati in giudizio può, in astratto, assumere rilevanza, o se, invece, l’azione fosse piuttosto intesa alla ripetizione di quanto indebitamente pagato a seguito della chiusura del conto, s ituazione in cui, invece, l’attore può limitare la pretesa a frazioni di tale pagamento riferite a singoli periodi del rapporto e in relazione alla quale l’incompletezza degli estratti conto non è concludente;
-sotto tale profilo, pertanto, il ricorso si presenta privo di autosufficienza;
per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540);
-la ricorrente va, dunque, condannata, nei confronti del controricorrente, al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi in euro 7 .000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle
spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 7.000,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale dell’8 gennaio 2025 .