Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8914 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8914 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2897/2021 R.G. proposto da : NOME DI NOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3257/2020 depositata il 10/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. – La società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti al Tribunale di Como il Banco BPM s.c.a.r.lRAGIONE_SOCIALE (poi Banco BPM s.p.a.) deducendo di aver intrattenuto dal 1981 il conto corrente n. 40.210 (già n. 8.408) nonché – dal 17.9.2002 al 25.10.2012 – il conto corrente n. 122.889 (già n. 40.271) rispetto ai quali ha contestato l’legittimità e l’indebita applicazione di: anatocismo per la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito operata dalla banca, spese non pattuite, commissioni di massimo scoperto, interessi ultralegali non debitamente pattuiti, errata contabilizzazione di valute, sussistenza di usura oggettiva e soggettiva. Ha chiesto, quindi, l’accertamento dell’esatto saldo alla data del 30.9.2015 per il primo rapporto risalente al 1981 n. 40.210 ed ancora in essere, nonché la condanna della banca alla ripetizione della somma di euro 29.264,62 a suo dire indebitamente percepita nel corso del rapporto di conto corrente acceso nel 2002 (n. 122.889) fino alla sua estinzione, ovvero della diversa somma risultante all’esito dell’istruttoria e della richiesta CTU contabile, in funzione della quale ha richiesto l’acquisizione mediante ordine di esibizione alla banca ex art. 210 c.p.c. dell’eventuale contratto di conto corrente intrattenuto dal 1981 e di alcuni estratti conto non il suo possesso.
La banca, dal canto suo, ha eccepito l’infondatezza di tutte le domande e la prescrizione di ogni pretesa con riferimento a tutti gli addebiti effettuati precedentemente al decennio dalla data della notifica dell’atto di citazione, nonché l’inammissibilità della CTU contabile stante la finalità esplorativa della stessa.
2. – La sentenza con cui Tribunale – previo rigetto della CTU ha respinto la domanda sul presupposto del mancato assolvimento dell’onere probatorio in capo dell’attrice, è stata appellata avanti alla Corte d’appello di Milano dalla società che ha reiterato le deduzioni e le richieste disattese dal Tribunale, in particolare
osservando che non aveva mai allegato l’esistenza di un contratto scritto per il conto corrente risalente al 1981, bensì l’esistenza del rapporto, insistendo circa l’idoneità della documentazione prodotta in atti a provare sia la domanda di rettifica del saldo del conto corrente ancora in essere sia la domanda di ripetizione delle somme indebitamente pagate sul conto estinto, quindi l’erroneità del rigetto della richiesta della CTU contabile così come dell’ordine di esibizione.
– La Corte d’appello ha confermato la sentenza gravata osservando che:
spettava alla correntista provare l’esistenza di poste indebite illegittimamente applicate dalla banca (ovvero i pretesi pagamenti e la mancanza di una valida causa debendi ) attraverso la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, mentre era incontestato che l’appellante -al di là di un elaborato contabile di parte e di alcuni documenti contrattuali- non aveva prodotto gli estratti conto analitici relativi a tutto il periodo di vigenza dei rapporti bancari oggetto della domanda di rettifica del saldo e di ripetizione di indebito, ma solo quelli di alcuni anni e neppure con continuità, avendo la stessa appellante dichiarato mancanti, per il conto corrente ancora in essere risalente al 1981, i primi 10 anni di rapporto e i trimestri chiusi al 30.9.92, 31.3.93, 31.12.97, 31.12.2001, 30.6.2002; per il conto corrente già estinto, i trimestri chiusi al 30.9.2005 e al 31.3.2006;
a prescindere dall’esistenza o meno di un contratto in forma scritta – essendo comunque documentata l’esistenza di tale rapporto in data anteriore alla l. n. 154/92 introduttiva dell’obbligatorietà della forma scritta per tali contratti – la mancata produzione degli estratti conto integrali da parte del correntista, non consentiva di individuare analiticamente quali fossero le poste asseritamente applicate in modo indebito a diverso titolo, nè di verificare gli affidamenti concessi e i loro limiti, quindi di accertare
o escludere la natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse, anche ai fini della verifica di fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca appellata, da ritenersi validamente formulata essendo, in casi siffatti, l’onere della stessa soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne approfittare, senza necessità anche dell’indicazione delle specifiche rimesse ritenute prescritte;
andava confermato il rigetto della richiesta di integrare la documentazione mancante tramite ordine di esibizione, essendo incontestato che i documenti oggetto della stessa erano tutti anteriori al decennio e che, quindi, la richiesta di esibizione esulava dall’alveo della norma di cui all’art. 119 quarto comma TUB su cui era stata fondata l’istanza rivolta alla banca e asseritamente respinta in modo ingiustificato;
era infondata la doglianza relativa alle negata ammissione di CTU contabile attesa la certa inammissibilità di tale ausilio, notoriamente non utilizzabile per supplire alle carenze probatorie della parte onerata, che nel caso di specie non consentivano un corretta ricostruzione dei rapporti bancari in questione.
– Avverso detta sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE affidandolo a sei motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Banco BPM s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., degli artt. 1842, 2697, 117 d.lgs. n. 385/1993, 5 l. n. 154/1992, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello Di Milano ritenuto che la società ricorrente non avesse assolto al proprio onere probatorio; in particolare osserva la ricorrente con riferimento al c/c acceso nel
1981 di aver agito presupponendo ed affermando l’inesistenza di un contratto scritto, sicché non avrebbe potuto provare un contratto che non poteva possedere e che non aveva mai sottoscritto e di aver assolto al proprio onere probatorio producendo gli estratti conto.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
Anzitutto la ricorrente non coglie e, quindi, non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia che espressamente prescinde « dall’esistenza o meno di un contratto in forma scritta per il c/c n. 40.210 ancora in essere essendo, comunque documentata l’esistenza di tale rapporto in data anteriore alla l. n. 154/92 introduttiva dell’obbligatorietà della forma scritta per tali contratti », e ritiene non assolto l’onere probatorio gravante sulla società correntista per il « fatto che la mancata produzione degli estratti conto integrali da parte della correntista, non consente di individuare analiticamente quali fossero le poste asseritamente applicate in modo indebito sia a titolo di interessi anatocistici che di interessi ultralegali, commissioni e spese ».
Inoltre invoca il vizio di legittimità dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. senza spiegare nell’illustrazione del motivo – nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° co., n. 4 e 6 c.p.c. – con quali affermazioni la sentenza d’appello sarebbe incorsa in detta violazione e quale sarebbe il fatto storico decisivo di cui avrebbe omesso l’esame, il « come » e il « quando » tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua « decisività », fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 cit.), fermo, comunque, che, avendo la decisione gravata confermato la
sentenza di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il motivo sotto detta specifico profilo di censura sarebbe inammissibile anche ex art. 360 quarto comma c.p.c.
– Il secondo motivo denuncia violazione falsa applicazione ex art. 360 c.p.c. primo comma n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 c.c., 111 Cost., 116 c.p.c. per aver la Corte d’appello erroneamente affermato che la ricorrente avesse prodotto solo un elaborato contabile e alcuni documenti contabili, laddove la società aveva prodotto tutta la documentazione necessaria a provare le proprie pretese, ovvero l’andamento dei rapporti di conto corrente tramite tutti gli estratti conto con la sola eccezione – quanto al conto n. 40.210 di durata quarantennale – di cinque trimestri (il III del ’92, il I del ’93, il IV del ’97, il IV del 2001 e il II del 2002) e quanto al conto corrente n. 40.271 – di due trimestri (il III del 2005 e il I del 2006), carenze queste che, a detta della ricorrente, non impedivano, comunque, di accertare gli indebiti lamentati anche alla luce di quanto affermato dalla Corte di legittimità circa la non necessità della produzione degli estratti conto integrali per la prova del dare/avere di un contratto di conto corrente quando ad agire sia il correntista.
2.1. – Precisato che nella specie non mancavano solo i trimestri intermedi cui fa riferimento la parte ricorrente, ma -quanto al primo c/c – anche la documentazione relativa ai primi dieci anni di rapporto, il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
Anzitutto laddove invoca impropriamente la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. È consolidato, infatti, il principio per cui sussiste violazione dell’art. 2697 c.c. solo se il giudice di merito applica la regola del giudizio fondata sul l’onere della prova in modo erroneo, « cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento del risultanze istruttorie assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merit o» (Cass. n. 1634/2020); ed è altrettanto noto e consolidato il principio di legittimità per cui la violazione dell’art. 116 c.p.c. – che prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo il giudice deve valutarle secondo il suo prudente apprezzamento – è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo « prudente apprezzamento », pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: e, nel caso in esame, nulla di tutto ciò si rinviene nella censura, la quale altro non fa che rimettere in discussione il governo del materiale probatorio operato dal giudice di merito (per tutte Cass., Sez. Un. n. 20867/202).
Nel caso di specie – lungi dal censurare una violazione delle regole sulle ripartizione dell’onere probatorio o di quella sul valore da attribuire alle prove – la ricorrente muove una censura tutta versata « in fatto » sulla valutazione della sufficienza o meno del materiale probatorio offerto, la quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, e che può essere censurata in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione e, quindi, solo laddove sussista una «anomalia motivazionale» che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, « in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processual i», e tale anomalia si
esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «s ufficienza » della motivazione (v. Cass. Sez. Un. n.8053/14). Anomalie non rinvenibili e non dedotte in questo caso.
2.2. – Ciò detto il motivo è inammissibile anche laddove invoca la giurisprudenza di legittimità a conforto della propria censura alla sentenza gravata, che – con decisione che conferma la valutazione del giudice di primo grado -ha ritenuto inidonea la documentazione prodotta agli effetti dell’individuazione analitica delle poste asseritamente applicate in modo indebito a diverso titolo e della verifica degli affidamenti concessi e dei loro limiti, onde accertare o escludere la natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse, anche ai fini della verifica di fondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione dei pagamenti indebiti sollevata dalla banca.
La ricorrente, invero, invoca gli arresti di legittimità consolidatisi in materia, senza avvedersi che i medesimi non valgono certo a rimettere in discussione in questa sede una valutazione che – in quanto attinente ai fatti costitutivi della domanda ed alla loro compiuta prova – appartiene esclusivamente al giudice di merito, il cui convincimento può essere messo in discussione in sede di legittimità se sono errati i criteri giuridici con cui è condotto o se la motivazione che ne dà conto è affetta da anomalie tali da renderla carente del requisito minimo costituzionalmente previsto, e non allorquando detto convincimento non è condiviso dalla parte che se ne duole.
Secondo detti arresti, in sintesi:
nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario, l’istituto di credito ed il correntista sono onerati
della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 c.c.;
laddove il correntista pretenda di rideterminare il saldo, depurato dagli importi asseritamente non dovuti (per capitalizzazione indebita, interessi ultralegali e/o usurari, commissione di massimo scoperto etc.), e di ripetere l’indebito pagamento eseguito con rimesse sul conto passivo (o extrafido), laddove sia riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, l’accertamento del dare ed avere può attuarsi con l’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (cfr. Cass. n. 22290 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023); questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto, ma – come affermato da Cass. n. 37800 del 2022 (e sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n. 10293 del 2023 e Cass. n. 22290 del 2023) consentono di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni, che ovviamente è onere della parte onerata indicare e offrire;
a fronte, quindi, della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito: «i ) può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007,
n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (…) ; ii) parimenti, può attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ. ». Inoltre, « per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati così acquisiti, quello stesso giudice può certamente avvalersi di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio (cfr. Cass. n. 14074 del 2018; Cass. n. 5091 del 2016. Nel medesimo senso, si vedano pure Cass. n. 31187 del 2018; Cass. n. 11543 del 2019 )», fermo che è innegabile che « malgrado la richiamata, vasta tipologia di documentazione utilizzabile per la integrale ricostruzione delle operazioni che si sono susseguite sul conto (spesso in un arco temporale anche molto ampio), non sia possibile addivenire a quel risultato », e che « solo in tale ipotesi al giudice di merito sarà consentito utilizzare, dandone adeguata giustificazione, i metodi di calcolo che ritenga più idonei al raggiungimento comunque di un risultato che rispecchi quanto più possibile l’avvenuto effettivo sviluppo del rapporto tra le parti . In quest’ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo della ripartizione dell’onere probatorio tra le parti sancito dall’art.
2697 cod. civ ». (Cass. n. 1736/2024; in senso conforme v. Cass. n. 11735/2024).
2.3. – In sintesi, la Corte è pervenuta ad affermare che l’assenza di alcuni estratti conto (inziali o intermedi) non impedisce al giudice di valutare il fondamento della domanda del correntista laddove (a) sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (b) la mancanza di una parte degli estratti conto sia colmabile altrimenti, attraverso il ricorso ad altri elementi di prova o alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., (c) l’utilizzo di tali elementi sia coerente con la distribuzione dell’onere probatorio, e non finisca per gravare una delle parti dell’onere di dimostrare l’eventuale insussistenza di un credito o di un minor debito dell’altra.
Dette valutazioni, però, sono di pertinenza del giudice di merito, che dovrà valutare, con ricognizione in fatto che gli spetta in via esclusiva – eventualmente con l’ausilio di una consulente tecnico esperto in materia contabile – se sussista la prova delle illegittime appostazioni, se la carenza di alcuni estratti conti sia colmabile con altri elementi di prova in funzione di un risultato attendibile in termini di ricostruzione del saldo finale; e detta valutazione non può essere censurata in sede di legittimità in fatto, ovvero pretendendo da questa Corte, come è accaduto in questo caso, con conseguente inammissibilità della censura, un ulteriore giudizio sulle risultanze probatorie, ma solo eventualmente, sotto il profilo del vizio motivazionali nei ristretti limiti in cui – come già detto questo è ancora ammissibile.
– Il terzo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. degli artt. 2697, 2935, 2946 c.c. per aver la Corte d’appello statuito l’impossibilità di individuare la natura delle rimesse anche ai fini della verifica delle eccezioni di prescrizione sollevata dalla banca, riversando – in tesi –
erroneamente sulla correntista l’onere di provarne la natura ai fini della decisione sull’eccezione sollevata dalla banca; la Corte territoriale avrebbe errato in diritto in quanto nel caso di specie sarebbe pacifica e documentata la sussistenza di affidamenti e aperture di credito quantomeno sin dal 13.5.91; sicché era dimostrato per tabulas – cita doc. n. 7,8, e 9 del fascicolo di primo grado dell’attrice e doc. da 29 a 50 del fascicolo di primo grado della banca convenuta) il presupposto per cui ogni rimessa debba presumersi ripristinatoria nel periodo oggetto del giudizio (ovvero dal 31.121991); ed avendo la banca eccepito il carattere solutorio delle rimesse compiute prima del 22.12.2005 (anteriori al decennio precedente l’instaurazione del giudizio) il relativo onere probatorio avrebbe dovuto ricadere sulla stessa, che avrebbe dovuto dimostrare il limite degli affidamenti concessi e l’esistenza delle singole rimesse solutorie.
In sintesi – a dire della ricorrente – non era la società che dovrà dimostrare il carattere ripristinatorio delle rimesse bensì essa doveva presumersi e spettava a banco BPM dimostrare l’esistenza di rimesse solutorie.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
Nella sentenza la Corte d’appello osserva che la mancata produzione completa degli estratti conto non consente di individuare quali siano le poste applicate in modo indebito, quindi impedisce la ricostruzione del saldo effettivo; detta affermazione ha evidentemente un valore logicamente assorbente rispetto alla successiva affermazione per cui detta carenza probatoria impedisce anche di accertare o escludere la natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse anche agli effetti della eccezioni di prescrizione, che assume il valore di una motivazione ad abundantiam inidonea in sé a sorreggere autonomamente il rigetto della domanda, la cui impugnazione è inammissibile in sede di giudizio di legittimità, poiché, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua
impugnazione è priva di interesse (Cass. n. 18429/2022; Cass. n. 8755/2018).
Inoltre il motivo è inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 bis primo comma c.p.c. perché si fonda su argomenti che contrastano con un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità a proposito della distribuzione dell’onere probatorio in siffatti casi
Giova ricordare, infatti, gli approdi cui è pervenuta su dette questioni la giurisprudenza della Corte, i quali possono così sintetizzarsi:
(a) costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso (con contratto di apertura di credito in conto corrente) oppure su un conto corrente ab origine non affidato; a fronte, invece, di rimesse c.d. ripristinatorie, che affluiscono su un conto non « scoperto » ma solo « passivo » – non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento – non può parlarsi tecnicamente di pagamento, atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, onde non si determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo il correntista riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell’affidamento;
(b) ove nel corso del rapporto di conto corrente, i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista abbiano la semplice finalità di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente (in quanto eseguite su un conto affidato e nell’ambito dell’affidamento concesso), potrà parlarsi « di pagamento » soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale,
nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire ove corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto (Cass. S.U. n. 24418/2010, confermata con plurime decisioni dalle sezioni semplici v. per tutte, Cass. n. 4214/2024); ove, invece, i versamenti siano eseguiti su un conto «scoperto», si potrà parlare di « pagamento » in senso tecnico, anche se questo è avvenuto in costanza di rapporto, con la conseguente possibilità per il correntista di esercitare l’azione di ripetizione ove sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento che abbia natura « solutoria » nei termini detti; in caso contrario, ove cioè di pagamento in senso proprio non possa parlarsi, non è configurabile in capo al correntista un diritto di ripetizione dell’indebito ai sensi degli artt. 2033 e ss. c.c., e questi potrà agire solo per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso cui accede un’apertura di credito, onde escludere, per il futuro, annotazioni illegittime, e recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. S.U. n. 24418/2010 citata);
(c) è onere del correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. « allegare » i fatti costitutivi della domanda che specificamente attengono all’esistenza di un «pagamento» e alla natura «indebita» dello stesso, e detta allegazione si considera assolta con l’indicazione dell’esistenza di versamenti indebiti e con la richiesta di restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato; mentre l’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate – ha l’onere di « allegare » solo l’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U. n. 15895/2019,
confermata da arresti costanti in tal senso dalle sezioni semplici, v. per tutte Cass. n. 34997/2023) poiché il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti; né deve individuare e specificare le diverse rimesse solutorie in funzione di completare l’allegazione con l’indicazione del momento iniziale o o del termine finale della prescrizione eccepita, trattandosi di questioni di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (cfr. SS.UU. cit.);
(d) fermo quanto precede a proposito dell’« onere di allegazione » – distinto concettualmente dall’ «onere della prova» attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum ed il secondo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione – « il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio » (SS.UU. citate); perciò, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo l’« onere della prova » della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate (Cass. n. 31927/2019; Cass. n. 2660/2019); ne consegue che, la sussistenza di apertura di credito, da cui dipende la valenza ripristinatoria dei versamenti operati per ripianare le esposizioni che non eccedano il limite dell’accordato, non può che gravare sul correntista stesso; onde verificare se la parte gravata abbia assolto al proprio onere probatorio, « il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito,
costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto » (Cass. n. 31927/2019; in senso conforme: Cass. n. 20455/2023; Cass.18230/2024), come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti.
Ciò smentisce, evidentemente, la tesi della ricorrente circa la distribuzione dell’onere probatorio nella fattispecie e quindi l’affermazione che « non era la società che dovrà dimostrare il carattere ripristinatorio delle rimesse bensì essa doveva presumersi e spettava a Banco BPM dimostrare l’esistenza di rimesse solutorie ».
4. – Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1175, 1375, 2697 c.c. 2 e 111 Cost. 116 c.p.c., 210 c.p.c., 119 d. lgs. n. 385/93 per aver la Corte d’appello motivato in maniera contraddittoria rispetto all’interpretazione univoca sviluppata dalla Cassazione circa l’istanza di cui all’art. 210 c.p.c. avente ad oggetto l’esibizione di documentazione bancaria ante decennio.
Premette la ricorrente che, per compiere le verifiche necessarie prima di adire il Tribunale, in data 22.3.2016 aveva inoltrato alla banca la richiesta ex art. 119 TUB, la quale aveva fornito solo parziale riscontro; sicché aveva domandato al giudice di disporre ordine di esibizione « della copia del contratto originario di apertura conto corrente n. 40.210 che Banco sosteneva esistere ma non aveva consegnato a Nisefa; copia dei contratti di apertura di credito sul conto corrente n. 122.889, tutti riferibili al decennio precedente la richiesta ex art. 119 TUB; tutte le modifiche ex art. 118 TUB; per il contratto di conto corrente n. 40.210, gli estratti conto mensili e trimestrali dei trimestri III del 1992, I del 1993, IV del 1997, IV del 2001, II del 2002; per il contratto di conto
corrente n. 122.889, gli estratti conto mensili e trimestrali dei trimestri III del 2005, e I del 200 6».
Ciò premesso in fatto, in diritto parte ricorrente sostiene che: a) la richiesta ex art. 119 TUB costituisce per il correntista l’esercizio di un diritto soggettivo potestativo cui corrisponde per l’intermediario un dovere di protezione a favore del cliente nonché un vero e proprio obbligo della banca; b) i contratti richiesti non costituiscono « singole operazioni » ma documenti contrattuali che regolano l’intero rapporto, sicché il limite temporale di cui all’art. 119 TUB ad essi non potrebbe essere applicato; c) il diritto del correntista di ricevere copia dei contratti è di rango superiore rispetto al diritto di ricevere copia della documentazione relativa a singole operazioni compiute negli ultimi dieci anni, poiché l’obbligo in capo alla banca di consegna del contratto al correntista che ne faccia richiesta discende dal generale dovere di correttezza imposto alle parti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. nonché dall’inderogabile dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 cost.; d) a differenza di quanto sostenuto da Banco BPM, l’impostazione che impone alla banca di fornire la documentazione inerenti ai rapporti che la stessa intrattiene con i clienti, è coerente con il principio di vicinanza alla prova, che costituisce criterio principe nella ripartizione dell’onere probatorio; e) i commi 1 e 2 dell’art. 119 TUB già prevedono l’obbligo per la banca di inoltrare al correntista una prima copia degli estratti conto con cadenza almeno annuale (o, a scelta del correntista, semestrale o trimestrale o mensile), quindi il quarto comma si riferisce ad «ulteriori copie » della predetta documentazione – contratti ed estratti conto – che in qualsiasi momento può essere richiesta dalla correntista nell’esercizio di un diritto ad essa riconosciuto per legge atto a soddisfare in via diretta e immediata l’interesse del cliente ad essere informato; f) il limite temporale di cui all’art. 119 TUB inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni
– non avrebbe alcuna attinenza con l’art. 210 c.p.c., il quale, invece, consente al giudice di ordinare all’altra parte l’esibizione della documentazione di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo, senza alcun limite temporale, e con il solo limite della rilevanza del documento – anche se ultradecennale – ai fini del processo.
La Corte, quindi, nel ritenere inammissibile l’istanza poiché anteriore al decennio, avrebbe compiuto un erroneo trasferimento del limite decennale di cui all’art. 119 TUB all’interno dell’art. 210 c.p.c., sfavorendo la parità delle parti in sede processuale poiché l’ordine di esibizione non soffre limitazioni temporali e il giudice può ordinare la produzione di qualsivoglia documento indifferentemente dalla sua datazione (cita giurisprudenza di questa Corte, sent. n. 11554/2017, sent. n. 25158/2020).
4.1. – Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Con la decisone gravata la Corte d’appello ha confermato la correttezza del diniego del richiesto ordine di esibizione rilevando che era « pacifico ed incontestato che i documenti oggetto della richiesta esibizione sono tutti anteriori al decennio e che quindi la richiesta esula dall’alveo della norma di cui all’art. 119 quarto comma del TUB (anche per la richiesta copia di contratti e non solo di singole operazioni) » e ne ha ribadita l’inammissibilità in quanto detta richiesta era « fondata solo sulla asserita ingiustificata inottemperanza della banca alla stessa istanza ex art. 119 TUB documentata in atti ».
Pertanto, prima di ripercorrere opportunamente la giurisprudenza di legittimità sulla questione onde valutare la doglianza conclusiva della ricorrente che attiene propriamente alla statuizione di inammissibilità dell’ordine di esibizione per le ragioni sopra sintetizzate, conviene sgombrare il campo da questioni inammissibili alla luce della ratio decidendi della sentenza gravata, osservando che l’impugnazione della statuizione di rigetto in
questione, quanto all’esibizione dei contratti di conto corrente (ed in particolare a quello acceso nel 1981), è del tutto priva di rilevanza (e quindi di interesse) poiché – come si è già osservato a proposito del primo motivo di impugnazione – la Corte d’appello ha fondato il rigetto della domanda ritenendo non assolto l’onere probatorio gravante sulla società correntista non con riguardo alla produzione dei contratti di c/c, bensì, a prescindere da essi, per il « fatto che la mancata produzione degli estratti conto integrali da parte della correntista, non consente di individuare analiticamente quali fossero le poste asseritamente applicate in modo indebito sia a titolo di interessi anatocistici che di interessi ultralegali, commissioni e spese », mancata produzione che la società ricorrente intendeva colmare attraverso – appunto – l’istanza di esibizione respinta.
4.2. – Ciò detto, quanto alla restante documentazione richiesta si osserva quanto segue.
4.2.1. – Questa Corte ha in più occasioni accennato al significato del quarto comma dell’art. 119 del TUB, la cui operatività è limitata al decennio dalla formulazione della relativa richiesta. Su tale affermazione, concernente l’estensione temporale dell’obbligazione della banca, occorre meglio soffermarsi, in considerazione del rilievo che la questione assume per la decisione della censura.
Occorre muovere dalla considerazione che, con riguardo al primo e quarto comma dell’art. 119 del TUB questa Corte ha da lungo tempo chiarito che: « Tali norme contemplano, nel primo caso una obbligazione della banca, al di fuori di qualunque richiesta; nel secondo un diritto del cliente, da esercitarsi mercé specifica domanda; e suppongono entrambe il più ampio diritto alla documentazione, che attiene alla nascita del rapporto, agli elementi fondanti, alla sua evoluzione, alla sua conclusione. Ritenere che l’obbligo della banca sia circoscritto al primo degli adempimenti e si esaurisca con l’invio, non più ripetibile, di un prospetto riproduttivo
di una situazione, parziale nel tempo e non sostenuta da pezze giustificative, e che il secondo, a sollecitazione di parte, sia limitato alla documentazione di singole operazioni, al punto da rendere inesigibile la pretesa a conseguire la documentazione di tutte quelle avvenute in un certo arco temporale, significa frustrare la portata della legge » (Cass. 27 settembre 2001, n. 12093). E già prima del TUB e indipendentemente dalla formulazione dell’art. 119 in esame, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto la sussistenza di un obbligo della banca di ostensione in tal senso della documentazione bancaria sulla base dell’applicazione delle regole di buona fede oggettiva (e, del resto, è ben possibile ritenere che lo stesso obbligo di trasparenza cui è sottesa la previsione dell’art. 119 costituisca espressione, nel senso più lato, del principio di buona fede) ed in particolare dell’art. 1374 c.c. (vi si sofferma, a mero titolo di esempio, la decisione da ultimo richiamata, che menziona ulteriori precedenti sul tema).
E nella sua genesi per così dire « storica », l’indirizzo in questione si spiega agevolmente, ove si tenga conto che il contenzioso sul punto è perlopiù nato da iniziative intraprese nei confronti di banche da parte di curatori fallimentari, quale strumento volto alla ricostruzione delle vicende giuridico-economiche del fallito (si veda in particolare l’ampia Cass. 22 maggio 1997, n. 4598), ossia un soggetto che non ha automaticamente come tale la disponibilità della relativa documentazione, ed anzi deve procurarsela.
4.2.2. – La giurisprudenza della Corte di cassazione, dunque, dà ed ha sempre dato, del quarto comma dell’art. 119 del TUB, stabilmente e senza tentennamenti, una lettura largamente estensiva della dicitura « copia della documentazione inerente a singole operazioni » come riferita anche all’iniziale documento contrattuale ed ai successivi estratti conto periodici, quantunque si tratti di documentazione che in entrambi i casi la banca deve consegnare al cliente, come si desume per un verso, per il
contratto, dall’art. 117, primo comma dello stesso testo, e per altro verso, per gli estratti conto, dal primo e secondo comma del successivo art. 119.
Pertanto, almeno in caso di svolgimento fisiologico per questo aspetto del rapporto, il cliente riceve periodicamente gli estratti conto, i quali, a meno di circostanze avverse (smarrimento, distruzione et similia ), rimangono come tali nella sua disponibilità. Il quarto comma dell’art. 119 stabilisce, inoltre, che il cliente, o il diverso soggetto a ciò legittimato, ha « diritto di ottenere … copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni ».
4.2.3. – Sul tema si è successivamente chiarito che l’art. 119 del TUB « pone una disposizione di natura sostanziale: disposizione, cioè, diretta a (concorrere a) definire le obbligazioni gravanti sulla banca in adempimento del contratto stipulato con il cliente. Il diritto del cliente di ottenere dall’istituto bancario la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio ha, dunque, natura di diritto sostanziale la cui tutela è prevista come situazione giuridica ‘finale ‘ , e non strumentale » (Cass. 13 settembre 2021, n. 24641), sicché per il suo riconoscimento non assume alcun rilievo l’utilizzazione che il cliente intende fare della documentazione (ovvio essendo che la richiesta di documentazione possa essere avanzata in vista della predisposizione dei mezzi di prova necessari ai fini di un’azione del cliente, o chi per lui, contro la banca); con la precisazione che qui si intende ribadire – che il diritto del cliente di ottenere gli estratti conto va tenuto ben distinto dal diritto al rendiconto che compete al correntista, sebbene non vi sia ragione di dubitare che l’invio periodico degli estratti conto esaurisca, in relazione al periodo considerato, l’obbligo della banca di rendere il conto al cliente, che non ha più titolo per richiedere in seguito altre forme di
rendiconto relative al medesimo periodo (v. la cit. Cass. 22 maggio 1997, n. 4598).
Dunque è principio consolidato, quanto alla « documentazione inerente a singole operazioni », espressione da intendere riferita anche al contratto – che deve redigersi per iscritto fin dall’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 – ed agli estratti conto, che grava sulla banca una duplice obbligazione:
da un lato la banca, senza che occorra alcuna sollecitazione del cliente in proposito, deve consegnare il contratto in dipendenza della sua stipula ai sensi del primo comma dell’art. 117 del TUB, in applicazione del secondo comma dell’art. 119 dello stesso testo unico, deve inviare gli estratti conto secondo la cadenza temporale dovuta nel rapporto di conto orrente, con la conseguenza che l’inadempimento dell’obbligazione – da adempiersi presso il cliente creditore della prestazione – si consuma una volta che il termine sia spirato senza che la banca abbia provveduto;
dall’altro lato, a semplice ma necessaria richiesta del cliente, deve ri-consegnare la medesima documentazione, e più in generale quella concernente le operazioni bancarie, purché risalente ad un arco temporale ricompreso nel decennio anteriore, con la conseguenza che di inadempimento può parlarsi solo ove – a fronte della richiesta del cliente – sia spirato inutilmente il termine allo scopo previsto.
4.2.4. – Quanto al limite temporale del diritto in discorso di cui al quarto comma dell’art. 119 non v’è alcuno spazio per dubitare che il riferimento alle « operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni » valga effettivamente a delimitare l’obbligazione di ri -consegna della documentazione bancaria: ciò non soltanto perché il dato letterale depone inequivocamente in tal senso, ed il giudice vi si deve attenere ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, ma anche perché la previsione così congegnata, sul piano della ratio , identifica per volontà del legislatore un ragionevole punto di
equilibrio tra l’obbligazione imposta in forza di legge alla banca (in un’ottica di valorizzazione del già citato principio di trasparenza) e la delimitazione temporale di essa, che può supporsi ispirata al dettato dell’art. 2220 c.c. che enuncia un principio generale.
In altre parole, sia l’esistenza dell’obbligo di conservazione e di rilascio copia, sia l’applicazione del termine decennale, si desumono dalle nome predette (codicistica e di legislazione speciale) e dalla lettura delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (v. le sentenze già citate in materia), né può esserci spazio per una loro interpretazione che affermi l’obbligo ed escluda al tempo stesso l’applicazione del termine; d’altronde, il cliente risulta ampiamente tutelato dalla possibilità di esercitare il diritto di ottenere quella documentazione in un lasso di tempo notevolmente ampio (dieci anni), in funzione del quale è costruito essenzialmente l’obbligo di conservazione della banca, sicché, al di fuori di questi limiti, opera il generale onere di conservazione della documentazione rappresentativa dei fatti costitutivi dei propri diritti, che grava, si osserva incidentalmente, in modo identico e speculare su entrambe le parti (si vedano per tutte Cass. n. 24641/2021; Cass. n. 23861/2022; Cass. n.35039/2022: « il diritto del cliente ad ottenere copia della documentazione relativa alle operazioni effettuate, previsto dall’art. 119, quarto comma, d.lgs. n. 385 del 1993, ha natura di diritto sostanziale ed ha fondamento negli obblighi di buona fede in executivis . Esso è riferibile anche ai rapporti derivanti dai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. cit. e riguarda tutta la documentazione negoziale, compresi gli estratti conto, a prescindere dalla comunicazione periodica degli stessi, ma copre solo le operazioni degli ultimi dieci anni, operando, al di fuori di questo limite, il generale onere di conservazione della documentazione rappresentativa dei propri diritti, gravante in modo indifferenziato su tutte le parti »).
4.2.5. – Venendo, dunque, al rapporto che intercorre tra la norma sostanziale posta dall’art. 119, quarto comma, del TUB e l’art. 210 c.p.c. si osserva che il diritto sancito dalla prima disposizione può essere azionato direttamente nei confronti della banca o può essere fatto valere per il tramite dell’intervento del giudice, a mezzo dell’ actio ad exibendum , la quale in questo caso costituisce proiezione sul piano processuale dell’esercizio preventivo ma senza successo della norma sostanziale (Cass. 13 settembre 2021, n. 24641; Cass. 1 agosto 2022, n. 23861; Cass. 31 marzo 2023, n. 9082). In altre parole il diritto del cliente di ottenere, ex art. 119, quarto comma, d.lgs. n. 385 del 1993, la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio può essere esercitato, nei confronti della banca inadempiente, attraverso un’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. nel corso di un giudizio, a condizione che la documentazione invocata sia stata precedentemente fatta oggetto di richiesta non necessariamente stragiudiziale – e siano decorsi novanta giorni senza che l’istituto di credito abbia proceduto alla relativa consegna (v. Cass. n. 24641/2021: « il cliente, o chi per lui, ha certo diritto di ottenere gli estratti conto direttamente dalla banca, ma non per il tramite del giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c., salvo che, in ossequio alla consolidata giurisprudenza di questa Corte formatasi con riguardo a tale disposizione, una volta effettuata la richiesta alla banca, questa non si sia resa inadempiente al proprio obbligo »).
Invero, come chiarito dalla sentenza da ultimo citata: (i) la norma di cui all’art. 119 deve essere letta quale presidio del principio di trasparenza dell’attività bancaria, volto a rendere chiaro e comprensibile all’utente medio il funzionamento del rapporto con la banca anche nel corso della sua esecuzione; (ii) l’ordine di esibizione, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, non può avere ad oggetto nient’altro che documenti che la parte non
possa procurarsi da sé, quali sono quelli di cui si discute per tutto quanto s’è detto a proposito del diritto sostanziale che la legge ha in proposito delineato con il secondo e quarto comma dell’art. 119; (iii) solo, perciò, laddove la banca non ottemperi all’obbligo che si attiva con la richiesta ex art. 119 quarto comma è consentita un’azione « di adempimento » – qual è quella introdotta con la richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.; (iv) una diversa interpretazione inciderebbe sulla distribuzione dell’onere probatorio regolata dall’art. 2697 c.c. conducendo a ritenere che sia la banca – su istanza del cliente che chieda la dichiarazione di nullità parziale del contratto di conto corrente e la ripetizione di indeb ito -a dover produrre, su ordine del giudice, gli estratti conto che il cliente (attore) non abbia né prodotto né preventivamente richiesto con esito negativo, « ovvero evidentemente ad affermare che è la banca a dover offrire, in giudizio, il supporto probatorio della domanda attorea », in contrasto con le regole del riparto degli oneri probatori; (v) ciò in piena in conformità con il consolidato principio nella giurisprudenza di questa Corte per cui l’esibizione a norma dell’art. 210 c.p.c. non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante, perciò, se il cliente, o chi per lui, non ha effettuato la preventiva richiesta, e questa non è rimasta inadempiuta, non vi sono margini per l’ordine di esibizione di cui all’art. 210 c.p.c.
4.2.6. – Da quanto precede discende che se il cliente ha richiesto la consegna della documentazione alla banca ante causam o, sussistendone la concreta possibilità, anche in corso di causa, e la banca non abbia ottemperato, ciò sarà sufficiente ad ottenere dal giudice l’ordine di esibizione, ma né più né meno che della stessa documentazione che il cliente aveva diritto di ottenere ai sensi dell’art. 119, ossia della documentazione riferita all’ultimo decennio.
Non ha senso, in proposito, l’obiezione dell’odierno ricorrente secondo cui l’art. 210 c.p.c. non contiene alcun limite temporale: il che, naturalmente, è vero, come altrettanto vero è però che, se l’ordine di esibizione è chiesto in dipendenza dell’inadempimento dell’obbligazione di ri -consegna sancito dal quarto comma dell’art. 119 del TUB, se è proiezione di quell’inadempimento, esso non potrà che essere esteso e circoscritto solo e soltanto alla documentazione ivi considerata.
4.2.7. – Qualora, viceversa, la richiesta dell’ordine di esibizione sia svincolata dal precetto dell’art. 119, quarto comma, del TUB (il che non è nel caso di specie come rilevato dalla Corte di merito, ma appare opportuno chiarire, avendo insistito il ricorrente sulla estensione ultradecennale del proprio diritto ad ottenere detta esibizione), ovvero sia esorbitante rispetto al precetto dettato da quest’ultima norma perché concernente documentazione antecedente al decennio, lo spazio perché possa sussistere l’insieme dei presupposti dell’ordine di esibizione di cui all’art. 210 citato è diverso, come segue.
Com’è noto, tali presupposti sono in sintesi i seguenti:
a) l’istanza di parte; il cui contenuto specifico è disciplinato dall’art. 94 disp. att. c.p.c., il quale prevede che essa debba contenere la specifica indicazione del documento o della cosa da esibire, ciò al fine di rendere possibile al giudice la verifica della necessità dell’ordine (Cass. 26943/2007; Cass. 13072/2003; Cass. 10916/2003; Cass. 9514/1999; Cass. 4363/1997), sicché è recisamente escluso che l’esibizione possa essere chiesta a scopo meramente esplorativo (Cass. 16233/2024), con la precisazione che detta esigenza di specificità deve essere osservata anche nella istanza di esibizione degli estratti di conto corrente nei confronti di istituti bancari (Cass. 6511/2016; Cass. 17602/2011), fermo restando che occorre in ogni caso la certezza dell’esistenza del documento di cui si chiede l’esibizione nonché la prova del
possesso della documentazione richiesta in capo al destinatario dell’ordine (Cass. 11709/2002; Cass. 12507/1999; Cass. 10238/1997);
b) la necessità dell’esibizione; giacché l’ordine di esibizione non presuppone la mera rilevanza del mezzo, bensì, appunto, la necessità dell’acquisizione del documento al processo, quale condizione necessaria perché possa giustificarsi la costrizione nei riguardi del destinatario dell’ordine, necessità da intendersi in ciò, che la situazione processuale sia tale che la prova non possa essere fornita altrimenti (Cass. 34690/2023; Cass. 31251/2021; Cass. 19319/2016; Cass. 14656/2013; Cass. 1266/2013; Cass. 9522/2012; Cass. 10043/2004), sempre considerando che l’esibizione non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante (Cass. 8 agosto 2006, n. 17948; Cass. 25 maggio 2004, n. 10043).
Orbene, poiché si tratta di documenti – gli estratti conto – che di regola il cliente ha già ricevuto in adempimento dell’obbligazione di cui si è detto di cui al secondo comma dell’art. 119, si deve osservare, in generale, che ciò recide alla base la possibilità di fare applicazione dell’art. 210 c.p.c., norma che deroga così radicalmente al principio dispositivo, in quanto – come questa Corte ha già osservato nell’escludere l’operatività nella materia del principio di c.d. vicinanza della prova, a proposito, in quel caso, della richiesta dell’esibizione del contratto -l’impiego della norma per i fini dell’ostensione della documentazione « deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall’obbligo richiamato dall’art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, ‘I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti’ » (Cass. 4 aprile 2016, n. 6511): il che vale egualmente quanto agli estratti conto.
4.2.8. – Si può dare, tuttavia, il caso che il correntista alleghi che gli estratti conto non gli sono stati inviati alle debite scadenze relative – in ipotesi – ad un arco temporale più ampio del decennio contemplato dall’art. 119, quarto comma, del TUB. Non vi è dubbio che, in siffatta ipotesi di omesso invio degli estratti conto, l’obbligazione della banca di consegnare i medesimi rimanga in vita e possa essere azionata, ai sensi del secondo comma, e non del quarto comma, dell’art. 119, e salvo naturalmente il compiersi della prescrizione estintiva: trovano difatti applicazione, da un lato, l’art. 2946 c.c. (salvi i casi in cui la legge disponga diversamente, tutti i diritti, incluso quello di ottenere copia degli estratti conto, si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni), e, dall’altro, l’art. 2935 c.c. (la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto di ottenere copia degli estratti conto può essere fatto valere, e cioè dalla scadenza di volta in volta applicabile).
A fronte dell’obbligo di cui al quarto comma dell’art. 119 TUB, che opera solo e soltanto rispetto al decennio antecedente, sicché solo entro detti limiti il cliente può farlo valere, l’obbligo di cui al secondo comma si atteggia diversamente, giacché, ove non venga formulata l’eccezione di prescrizione ovvero il corso della prescrizione risulti interrotto o sospeso, esso non è sottoposto al medesimo limite temporale. Inoltre, mentre per l’esercizio del diritto previsto dal quarto comma non è necessario alcunché, a parte il sostenere l’eventuale spesa, l’azione volta alla consegna degli estratti conto, in relazione ad un periodo eventualmente eccedente il decennio, quale azione di adempimento, presuppone l’inadempimento, e cioè che essi non siano stati consegnati a tempo debito.
4.2.8.1. – Dunque è astrattamente concepibile un actio ad exibendum , in presenza dei presupposti di cui all’art. 210 c.p.c., di estratti conto ante decennio in quanto proiezione dell’allegato
inadempimento (non dell’obbligazione di ri -consegna ma) dell’obbligazione originaria di consegna degli estratti conto.
Il che induce ad una ulteriore precisazione in punto onere della prova, poiché è nota la regola generale secondo cui (anche) in causa di adempimento il creditore deve dedurre e provare l’esistenza dell’obbligazione e deve semplicemente dedurre l’inadempimento, essendo onere del debitore quello di provare di aver adempiuto. Nell’ipotesi in argomento tale onere grava perciò sulla banca, quale obbligata ex art. 119 secondo comma TUB, tenuta a dimostrare di aver consegnato la documentazione cartacea asseritamente mai inviata (fintanto che il problema si porrà e non sarà superato dall’impiego di strumenti di comunicazione digitali). Detto onere probatorio potrà essere soddisfatto con ogni mezzo e, quindi, pure a mezzo di presunzioni semplici (Cass. 13 gennaio 1988, n. 178, ripresa più di recente da Cass. n. 989/2021).
E dunque, considerato che:
l’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 119 comma secondo risponde ad un diritto del cliente ma nel contempo ad un interesse della banca, dal momento che il recapito degli estratti conto comporta il decorso del termine semestrale di cui all’art. 1832, il che consente, d’altronde, di spiegare perché il legislatore, come pure l’autorità richiamata dall’art. 119, non si sia determinato ad imporre uno strumento di comunicazione tale da lasciare traccia, trattandosi di obbligo che risponde anche ad interesse proprio;
ii) dinanzi al reiterato omesso invio degli estratti conto è ragionevole attendersi che un simile inadempimento debba « costituire oggetto di una apposita e tempestiva documentata istanza all’Istituto di credito » (Cass. 4 aprile 2016, n. 6511);
ben potrà il giudice di merito valorizzare, nel rispetto del consueto paradigma di gravità, precisione e concordanza, circostanze quali, ad esempio, la durata del rapporto; l’eventuale
variazione concordata delle condizioni originarie anche tramite richieste di affidamenti, aperture di credito operazioni di sconto; il fatto che il cliente non abbia mai contestato la mancanza delle informazioni che la banca era tenuta ad offrire, ed altro.
4.3. – In conclusione, per quanto qui interessa, il motivo di gravame – che denuncia un erroneo trasferimento del limite decennale di cui all’art. 119 TUB all’interno dell’art. 210 c.p.c., poiché l’ordine di esibizione non soffre limitazioni temporali e il giudice può ordinare la produzione di qualsivoglia documento indifferentemente dalla sua datazione – è infondato avendo la Corte di merito correttamente confermato la correttezza del diniego in primo grado del richiesto ordine di esibizione, rilevando che era « pacifico ed incontestato che i documenti oggetto della richiesta esibizione sono tutti anteriori al decennio e che quindi la richiesta esula dall’alveo della norma di cui all’art. 119 IV comma del TUB (anche per la richiesta copia di contratti e non solo di singole operazioni) » e ne ha ribadita l’inammissibilità in quanto detta richiesta era « fondata solo sulla asserita ingiustificata inottemperanza della banca alla stessa istanza ex art. 119 TUB documentata in atti ». E ciò poiché, come sopra motivato, se si tratta di estratti conto entro il decennio, il cliente può chiederne senza ulteriori condizioni la riconsegna ai sensi dell’art. 119, quarto comma, del TUB; se si tratta di estratti conto oltre il decennio, la richiesta – ai sensi di tale ultima norma com’ è nella specie – è sempre inibita.
– Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 116, 191, 194 c.p.c per avere la Corte d’appello di Milano negato l’istanza di ammissione di CTU contabile ritenendola erroneamente finalizzata a supplire alle carenze probatorie di RAGIONE_SOCIALE. Reputa la ricorrente che la motivazione della decisione gravata sia errata in ragione dell’orientamento di legittimità per cui il giudice non può
qualificare come esplorativa la consulenza senza dimostrare che la documentazione esibita sarebbe, comunque, irrilevante, essendo consentita la consulenza c.d. percipiente, laddove – come nel caso di specie – sia pacifica e documentata l’esistenza dei rapporti oggetto di indagine.
6. – Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1355, 2697 c.c. 119 TUB, nonché 115, 116, 191, 194 c.p.c, e 111 cost., per aver la Corte d’appello negato l’ammissione di CTU contabile per l’impossibilità di ricostruire i rapporti bancari oggetto del procedimento con la sola documentazione agli atti.
Osserva la ricorrente che sulla questione giuridica attinente alla possibilità di far ricorso alla CTU ove sia incompleta la produzione degli estratti conto la Corte di Cassazione ha statuito che non è vietato al giudice del merito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio, perché in tal caso la questione si riduce alla verifica di attendibilità dell’esito della CTU, ovvero ad una questione di fatto. La Corte territoriale, quindi, avrebbe confermato la decisione del primo giudice e negato l’utilità della CTU in modo apodittico con una motivazione apparente, senza alcun riferimento alle risultanze di prova già acquisite agli atti del processo, laddove l’assenza di 5 trimestri su 96 per il primo rapporto e di 2 trimestri su 40 per il secondo, sarebbe stata irrilevante, potendo l’analisi peritale riguardare i soli periodi documentati, prendendo a base il primo saldo contabile documentato.
7. – I due motivi possono essere trattati insieme in quanto sono evidentemente connessi, riguardando l’uno la valutazione espressa dal giudice di merito a proposito della finalità esplorativa della CTU l’altro la valutazione espressa dal giudice di merito circa l’utile esperimento dell’indagine contabile.
7.1. – I motivi sono inammissibili.
Anzitutto a renderli inammissibili è la loro formulazione che prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea, prospettando una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016; Cass. n. 3248 del 2012; Cass. n. 19443 del 2011). Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze della parte ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, finisce con il sovvertire i ruoli dei diversi soggetti del processo, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria. Peraltro nella specie la formulazione del motivo non permette di cogliere con chiarezza le diverse doglianze prospettate, rendendole di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, giacché neppure è illustrato con quali argomenti e affermazioni la sentenza d’appello sarebbe incorsa nell’omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio, fermo il fatto che trattandosi di un ipoteso di pronuncia c.d. doppia conforme è precluso alla ricorrente – ex art. 360 comma 4 c.p.c. – invocare il vizio di legittimità invocato.
7.2. – I motivi sono inammissibili anche perché con riguardo all’uso della CTU, questa Corte ha ribadito in diverse pronunce che la consulenza tecnica d’ufficio è atto processuale istruttorio che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e
degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente), elemento istruttorio da cui è possibile, cioè, trarre il «fatto storico», rilevato e/o accertato dal consulente (v. ex multis Cass. n. 12387/2020).
Tanto premesso, va ricordato che: a) il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, cui spetta – alla luce di un ragionamento decisorio che attiene alla valutazione delle specifiche emergenze probatorie del caso l’apprezzamento delle circostanze che consentano nel caso specifico di ammettere o escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante (v. Cass. n. 20820/2006; Cass. n. 72/2011; Cass. n. 17399/2015; Cass. n. 7472/2017); b) detta decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione (Cass. n. 4853/2007; Cass. n. 7472/2017): se è vero, infatti, che, come detto, il giudice di merito è tenuto a motivare adeguatamente, caso per caso, il rigetto dell’istanza di ammissione della consulenza proveniente da una delle parti, nel vigore nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. (risultante dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012) è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053).
Fermi i principi predetti nel caso di specie è sufficiente osservare – previa precisazione che sulla base delle allegazioni che risultano in atti mancavano non i solo i trimestri intermedi detti, bensì anche la documentazione relativa ai primi dieci anni del rapporto più risalenteche il rigetto dell’istanza è stato oggetto di
motivazione, e che questa è fondata sul fatto che la CTU in mancanza di idonea documentazione dell’andamento dei rapporti di conto corrente era da ritenersi non utilmente esperibile, motivazione che non può certo considerarsi apodittica né apparente laddove « il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assumono inficiarla sino al punto di renderne apparente il supporto argomentativo, devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti (dato che in ordine alla quaestio juris non è nemmeno configurabile un vizio di motivazione) » (v. Cass. Sez. Un. 8053/2014 cit.) .
7.3. – Quanto alla possibilità di far ricorso alla CTU ove sia incompleta la produzione degli estratti conto, è vero che ove si tratti di ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza, ma controversi quanto al loro andamento è consentito il ricorso alla CTU – che in tal senso non può ritenersi esplorativa; tuttavia – richiamato quanto sopra osservato nel § 2.1. a proposito della censura relativa all’incompletezza della documentazione prodotta agli effetti dell’ onus probandi resta fermo il fatto che la possibilità che la documentazione offerta consenta o meno la ricostruzione attendibile del saldo tramite CTU, è una valutazione che appartiene in via esclusiva al giudice di merito ( nella specie conforme in primo e secondo grado), non sindacabile in questa sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione ma nei ristretti e specifici termini in cui ciò è consentito come già ricordato .
– In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 7200,00di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile