SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4862 2025 – N. R.G. 00006835 2021 DEPOSITO MINUTA 25 08 2025 PUBBLICAZIONE 25 08 2025
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Terza Sezione Civile
Così composta:
Dott. NOME COGNOME Dott. A.NOME COGNOME Dott. B. R. COGNOME
Presidente rel.
Consigliere,
Consigliere.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile di II° grado iscritta al N. 6835/2021 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi, riservata in decisione in data 5 maggio 2025
avente ad oggetto: appello avverso sentenza Tribunale di Roma n. 12988/2021 e vertente tra
, C.F. rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME P.
– appellante –
e
C.F.
, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
P.
– appellata –
IN FATTO E IN DIRITTO
Rilevato che:
-il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12988/2021 del 27.7.2021 ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da nei confronti del , ha revocato integralmente il decreto ingiuntivo opposto e ha condannato parte opposta al rimborso delle spese di lite, liquidate in Euro 9.785,00 oltre ad IVA, CPA e rimborso spese generali, nonché contributo unificato.
Le vicende di causa possono così riassumersi:
a seguito del ricorso per Decreto Ingiuntivo presentato dal
(in seguito per brevità
), il Tribunale di Roma emise in data 4 febbraio 2018 il decreto ingiuntivo n. 3483/18 con il quale ingiunse alla (in seguito per brevità di pagare al ricorrente la somma di € 68.039,72, oltre gli interessi sul capitale ex d. lgs. 231/02 come da domanda, oltre le spese della procedura ingiuntiva, liquidate in € 1.630,00 per compenso, € 406,50 per esborsi, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali ex D.M. 55/2014.
A fondamento della propria pretesa, il aveva dedotto di non aver ricevuto il pagamento di n. 10 fatture emesse nei confronti di in relazione al contratto di pulizia svolto presso la struttura alberghiera gestita dalla Hotel Excel Monte Mario), stipulato con decorrenza dal 1° dicembre 2016 e con il quale il si era impegnato ad eseguire, con utilizzo di prodotti e strumenti propri, i servizi di pulizia e riassetto delle camere.
roponeva opposizione al decreto ingiuntivo deducendo i) la nullità della notifica del decreto opposto; ii) la carenza probatoria circa l’effettivo svolgimento delle prestazioni asseritamente svolte; iii) carenza probatoria
circa l’esatta sussistenza e determinazione del credito; iv) gravi inadempimenti compiuti dal nello svolgimento del contratto.
Nel corso del rapporto, come comprovato dalla documentazione agli atti del giudizio, la veva formulato contestazioni in merito all’operato negligente del e, a fronte delle dichiarazione dei dipendenti del , che lamentavano l’omesso pagamento dei loro stipendi, la veva richiesto all’appaltatore i documenti attestanti la regolarità retributiva e contributiva del personale impiegato nell’appalto, con espresso avvertimento che in caso di irregolarità il rapporto non avrebbe potuto proseguire. A seguito di tale richiesta, trascorsi pochi mesi dalla stipula del contratto di appalto, il aveva comunicato alla in data 6 luglio 2017, il proprio recesso dal contratto concedendo alla n preavviso di 30 giorni e giustificando tale decisione con la affermazione che il contratto di appalto sarebbe stato ‘sottocosto’.
Si costituiva nel giudizio di primo grado il contestando li motivi di opposizione e producendo copia del contratto di appalto, copia del registro vendite e delle fatture, nonché il DURC del .
Il giudice di primo grado, istruita la causa documentalmente, rigettò le istanze istruttorie di interrogatorio formale della parte opposta, e, ritenendo non provato l’effettivo svolgimento delle prestazioni di servizi di cui alle fatture azionate in sede m onitoria, accolse l’opposizione al decreto ingiuntivo promossa da nei confronti del , revocando integralmente il decreto ingiuntivo opposto e condannando parte opposta al rimborso delle spese di lite, liquidate in Euro 9.785,00 oltre ad IVA, CPA e rimborso spese generali, nonché contributo unificato.
Il ha proposto appello, preliminarmente chiedendo di sospendere l’efficacia della sentenza impugnata, per i seguenti motivi:
ERRONEITA’ ED ILLOGICITA’ DELLA SENTENZA NELLA PARTE IN CUI NON RITIENE PROVATO IL CREDITO
NULLITA’, ERRONEITA’ ED ILLOGICITA’ DELLA SENTENZA INUTILITER DATA PER VIOLAZIONE DELLE NORME PROCESSUALI.
ECCESSIVA CONDANNA ALLE SPESE
la controparte i è costituita e ha chiesto, in via preliminare dichiarare inammissibile l’appello proposto dal in quanto privo di una ragionevole probabilità di essere accolto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 342 e 348bis e ss. c.p.c.s; – sempre in via preliminare confermare la provvisoria esecutività della sentenza; – sempre in via principale, rigettare le richieste
-in via principale, rigettare l’appello proposto dal istruttorie formulate dall’appellante in quanto ina mmissibili;
-la Corte, con ordinanza del 22.3.2022, ha rigettato l’istanza di sospensione;
il giudizio è stato riservato in decisione in data 5.5.2025, con i termini ex 190 cpc.
Ritenuto, a scioglimento della riserva, che l’appello è infondato e va rigettato, per quanto segue.
Con il primo motivo di appello l’appellante contesta la decione del giudice di prime cure fondata sull’aver ritenuto non provato il credito.
Sul punto, è dirimente il fatto che contrariamente a quanto affertamato da parte appellante, ha effettivamente contestato le fatture fatte valere dal non solo sul quantum , ma anche sul an debeatur . A fronte della contestazione, ne discende che l’onere probatorio sull’effettivo svolgimento delle prestazioni di
servizi di cui alle fatture incombeva non su ma sul .
La fattura può essere valido elemento di prova quando non contestata, ma è di tutta evidenza che la a contestato le fatture, nonché l’operato del , e ha inoltre rilevato che la mancata prova degli adempimenti retributivi e contributivi nel confronti dei dipendenti del , i quali, hanno dichiarato di non aver ricevuto la retribuzione a decorrere dal giugno 2017.
Per cui è pacifico che la contestazione vi sia stata, e che questo abbia determinato l’inversione dell’onere della prova con obbligo del di dimostrare le prestazioni svolte.
Tuttavia il non ha prodotto in giudizio la prova; come opportunamente rilevato da parte appellata, il non ha prodotto alcun resoconto mensile dei servizi prestati ai fini della determinazione del compenso mensile, come previsto nel contratto di appalto; non risulta agli atti alcuna comunicazione, nemmeno relativa ad aspetti esecutivi o di carattere quotidiano, manca ogni indicazione relativa ai lavoratori impiegati, alle ore lavorate, e alle camere.
Il ha solo richiesto di ammettere quale prova l’interrogatorio formale, rispetto alla quale il giudice di prime cure ha, con ordinanza motivata, argomentato sualla inammissibilità e irrilevanza della stessa.
Quanto all’estratto delle scritture contabili prodotte dal , con particolare riferimento al registro vendite, il giudice di prime cure ha rilevato che la attestazione del commercialista non era di per sé sufficiente
ad attestarne la regolarità formale art. 2710 cc., anche alla luce del fatto che, essendovi contestazione del credito, manca comunque la prova dell’effettivo svolgimento dei servizi.
Sempre nel primo motivo di appello, il deduce di aver provato la situazione di regolarità contributiva attraverso la produzione del DURC. Viene correttamente rilevato però, da parte appellata, che il Durc depositato è relativo ad un periodo successivo rispetto a quello della contestazione (2018 -2019) e comunque non prova l’elemento essenziale della controversia, ovvero la sussitenza del credito in base all’effettivo svolgimento delle prestazioni dedotte nelle fatture azionate in sede monitoria.
Si ritiene pertanto di rigettare il primo motivo di appello in quanto infondato nel merito, avendo il giudice di prime cure motivato la sua decisione argomentando in modo logico e corretto sulla mancata prova del credito da parte del .
Con il secondo motivo di appello , la parte appellante deduce la nullità, erroneità ed illogicità della sentenza per per violazione delle norme processuali, in quanto il giudice di prime cure avrebbe palesemente violato le norme del codice di rito sulla materia probatoria. In particolare l’appellante contesta il mancato accogliemento, da parte del giudice di prime cure, della richiesta di ammissione dell’interrogatorio formale. L’appellante ritiene che con l’interrogatorio formale avrebbe potuto assolvere all’onere probatorio relativamente alla fondatezza delle proprie pretese creditorie.
Il giudice di prime cure, con ordinanza del 26.6.2019, ha puntualmente motivato circa l’inammissibilità dei capitoli di prova per interrogatorio formale ritenendo il numero 1 ‘irrilevante ai fini della decisione’, il numero 2 ‘già documentalmente provato’ e i numeri da 3 a 13 ‘valutativi’.
Rispetto ai mezzi di prova, basti richiamare la numerosa giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia, che ritiene che ‘ la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3 n. 37382 del 21/12/2022), tra l’altro non sindacabile in sede di legittimità in quanto rientrante nella sfera discrezionale del giudice di merito.
Le istanze istruttorie di parte appellante, ripresentate nel corso del presente giudizio, non sono state ammesse in quanto non se ne sono ravvisate l’ammissibilità e la rilevanza ai fini decisori in sede di riesame.
Si ritiene correttamente motivata la scelta del giudice di prime cure, rientrante nella sua discrezionalità valutativa, e si ritiene non sussista alcun vizio nella sentenza di primo grado derivante da violazione delle norme processuali. Pertanto si rigetta anche il secondo motivo di appello.
Con il terzo motivo di appello , parte appellante contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui viene disposta la condanna del al pagamento delle spese determinate in Euro 9.785,00 e chiede che il capo della sentenza venga riesaminato con pronuncia di compensazione delle spese di giudizio, chiedendo altresì tale compensazione anche per il giudizio di appello.
Sul punto, si evidenzia come il giudice di prime cure abbia correttamente applicato i parametri medi di liquidazione di cui alle Tabelle allegate al DM 55/2014 e s.m.i. per i giudizi di cognizione innanzi al Tribunale per cause di valore compreso tra Euro 52.001,00 ed euro 260.000,00.
Quanto alla richiesta di compensazione delle spese, in deroga al principio di soccombenza, l’appellante non ha adeguatamente motivato circa la sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni che ne consentirebbero la sua disposizione.
Si rigetta pertanto anche il terzo motivo.
Al rigetto dell’appello segue la condanna di parte appellante alle spese, come liquidate in dispositivo; sussistono, altresì, i presupposti per il raddoppio del c.u. ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater D.p.r. 115/2002.
P.Q.M
Rigetta l’appello e condanna l’appellante alle spese, che liquida, in favore della appellata, in euro 4500,00 oltre competenze di legge.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del c.u. ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater D.p.r. 115/2002.
Roma, data del deposito
Il presidente est. (dr. NOME COGNOME)