Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27463 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27463 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15680/2022 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’a AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE.p.a., in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difeso dall’AVV_NOTAIO per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Roma , n. 1006/2022, depositata in data 14.2.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29.9.2025 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME conveniva innanzi al Tribunale di Cassino la Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, sulla premessa di essere titolare di due rapporti di conto corrente accesi presso la banca convenuta, lamentando una conduzione degli stessi non corretta e caratterizzata dal costante appostamento da parte dell’istituto, di oneri, costi ed interessi non dovuti o illegittimamente computati, e di non avere mai concluso per iscritto contratto di conto corrente, sia riguardo al conto ordinario, sia riguardo a quello ‘anticipi’, di aver reiteratamente e vanamente chiesto all’istituto bancario copia di tale documentazione (laddove esistente), nonché delle eventuali successive modifiche intervenute in ordine alle condizioni economiche regolanti i suddetti rapporti .
Pertanto, l’attore chiedeva che fosse accertata la sussistenza di tale illegittima condotta tenuta dalla banca e la condanna della stessa alla restituzione degli importi indebitamente pretesi.
Il Tribunale di Cassino, con sentenza depositata il 24.5.2021, accertata la nullità dei contratti di conto corrente, condannava la convenuta al pagamento della somma di euro 49.858,90 osservando che: l’attore aveva agito per far dichiarare la nullità degli addebiti in ragione del fatto che nessun testo negoziale era stato sottoscritt o, rilevando come ben prima del giudizio lo stesso si fosse attivato presso l’istituto attraverso formale richiesta di documenti ex art. 119 TUB; la banca, senza mai affermare l’esistenza dei documenti in questione, si era limitata a contestare il mancato ade mpimento da parte dell’attore dell’ onus probandi ‘ non avendo quest’ultimo prodotto i testi negoziali ‘; a sostegno di tale eccezione, la banca aveva precisato che, avendo l’attore precedentemente all’instaurazione del giudizio richiesto formalmente copia dei documenti contrattuali, si sarebbe di fatto raggiunta la prova della loro esistenza.
Con sentenza del 14.2.2022, la Corte territoriale accoglieva l’appello della banca, osservando che: era da ritenere erronea la tesi del Tribunale secondo la quale, nel caso di domanda di nullità dei contratti di conti correnti per mancanza della forma scritta, l’onere di produrre i contratti e le relative pattuizioni gravasse sulla banca; il Tribunale non aveva rilevato che la domanda era fondata sulla mancata produzione degli estratti-conto a seguito della richiesta ex art. 119 TUB; tale deduzione non poteva essere considerata prova della domanda, considerando che l’obbligo della banca, ai sensi del citato art. 119, era circoscritto alla documentazione degli ultimi dieci anni; tenuto conto che gli estratti conto richiamati dal correntista risalivano al 2004, era da escludere l’inadempimento della banca e qu alsivoglia ammissione della stessa circa l’asserita mancanza dei contratti in forma scritta, oggetto del giudizio; non mutava l’onere della prova a carico del correntista in ragione che il fatto costitutivo- la mancata stipula dei contratti in forma scritta- si risolvesse in un fatto negativo; né l’attore aveva chiesto, ex art. 210 c.p.c. , l’ordine d’esibizione dei documenti non consegnati dalla banca a seguito della richiesta ex art. 119 TUB ; l’attore non aveva dimostrato l’incompletezza della documentazione consegnata, anche considerando che la banca aveva eccepito di aver messo a sua disposizione i documenti richiesti; ne conseguiva il rigetto delle domande di ripetizione dell’indebito per mancata prova.
NOME COGNOME ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con unico motivo, illustrato da memoria.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
L’unico motivo denunzia violazione degli artt. 2697 c.c. e 24 Cost., per aver la Corte d’appello, aderendo integralmente alla tesi dell’istituto bancario, ritenuto che il correntista non avesse assolto l’onere
probatorio gravante sui fatti costitutivi della propria domanda, nonostante si trattasse di dimostrare un fatto negativo, precisando che in ordine alla richiesta formulata ai sensi dell’art. 119 TUB non vi sarebbe stata prova di quali documenti fossero stati ritirati e di quali invece il correntista non avrebbe curato il ritiro.
Al riguardo, il ricorrente assume di aver agito sostenendo l’inesistenza di un documento, venendo in rilievo in tutta evidenza il caso di prova ‘negativa’ il cui collegato onere probatorio non può gravare su colui che pone a fondamento della propria pretesa tale circostanza, o quantomeno, non in via esclusiva o diretta.
In particolare, il ricorrente espone che: particolare rilievo assumeva la diversa posizione assunta dalla banca nei due gradi del merito, che in primo grado si era limitata a lamentare il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore, senza mai ammettere esplicita mente l’esistenza del documento, mentre in secondo grado aveva invece affermato che i contratti esistevano ed erano stati messi a disposizione del correntista il quale, invece, si sarebbe limitato a ritirare solo gli e/c.; proprio nell’ottica del principio di vicinanza della prova, dunque, il giudice del gravame, così come fatto dal Tribunale in primo grado, avrebbe dovuto valutare che il correntista ebbe a richiedere copia dei contratti al proprio istituto di credito ben prima di proporre la domanda giudiziale proprio al fine di fornire al giudicante quanti più indizi (o prove indirette) possibili circa la fondatezza dei propri assunti, ben consapevole che i documenti contrattuali non erano mai esistiti; la prova indiretta del fatto negativo, come ben interpretata dal giudice di primo grado, trovava ulteriore conforto nel momento in cui la banca affermava l’esistenza dei documenti., solo nel secondo grado del giudizio, ma ciò non doveva/poteva impedirne la produzione sin da subito (circostanza che peraltro le avrebbe permesso di ottenere il
rigetto della domanda giudiziale promossa dal correntista e fondata proprio sull’inesistenza del con tratto); né poteva valere al contrario la mera affermazione (mai formulata in primo grado) circa il fatto che il correntista avrebbe ritirato solo una parte dei documenti rinunziando all’altra, in quanto circostanza non dimostrata.
Il motivo è inammissibile.
Nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (Cass., n. 20490 del 24 giugno 2022).
Al riguardo, è stato affermato, in particolare, che l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni
dalle quali possa desumersi il fatto negativo .’ (Cass. civ. n. 8018/2021). Sul punto, è stato altresì precisato che Il principio di vicinanza della prova non deroga alla regola di cui all’art. 2697 c.c. (che impone all’attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte) ma opera allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le suddette due categorie di fatti, fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto, di modo che la vicinanza riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova (Cass., n. 12910/2022).
Nel caso concreto, il motivo tende a provocare un riesame dei fatti in ordine ai presupposti dell’onere probatorio .
Invero, la Corte d’appello , pur affermando in astratto che la prova del fatto costitutivo negativo incombe sull’attore, non è entrata nel merito della questione su chi incomba l’onere probatorio nel caso di domanda del correntista il quale alleghi la mancata stipulazione per iscritto del contratto.
Al riguardo, il ricorrente invoca quanto affermato nell’ordinanza della Cassazione, n.6480/21, a tenore della quale il principio di distribuzione dell’onere della prova si presta ad essere diversamente modulato con riferimento a due particolari ipotesi, entrambe collegate a un’allegazione attorea circa la conclusione del contratto verbis tantum o per fatti concludenti. E’ possibile che quest’ultima allegazione sia incontroversa tra le parti, e allora il giudice deve dare senz’altro atto dell’integrale nulli tà del negozio e, quindi, anche dell’assenza di clausole che
giustifichino l’applicazione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto. Ma è possibile, pure, che la domanda basata sul mancato perfezionamento del contratto nella forma scritta sia contrastata dalla banca (che quindi sostenga la valida conclusione, in quella forma, del negozio): e in tale seconda ipotesi non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell’accordo, incombendo semmai alla banca convenuta di darne positivo riscontro .
Ora, la Corte territoriale ha sì citato il suddetto precedente (che comunque costituisce un obiter dictum ), ma senza considerarlo dirimente, ricostruendo nella fattispecie la regola dell’onere probatorio partendo dal presupposto di fatto che il correntista avesse fatto richiesta della documenta zione ai sensi dell’art. 119 TUB e che non ha provato ciò che la banca avesse effettivamente consegnato.
Tale presupposto costituisce un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità ed anche la prova presuntiva del fatto negativo, invocata nel motivo di ricorso, implica un giudizio di fatto precluso in questa sede; resta comunque fermo che la prova del fatto costitutivo negativo incombe sull’attore, anche mediante presunzioni.
Come eccepito dalla controricorrente, il giudizio di fatto non è stato adeguatamente censurato dal ricorrente, nella parte in cui la Corte d’appello ha inteso affermare che, non avendo il ricorrente dimostrato i documenti consegnati dalla banca (affermando di non aver ricevuto i contratti), se ne deduceva la mancata prova da parte dell’attore (in sostanza, la Corte ha ritenuto dirimente tale omessa prova dei fatti costitutivi dell’azione).
Sotto questo profilo, non giova al ricorrente neppure invocare la giurisprudenza formatasi in ordine alla possibilità di provare con
presunzioni il fatto negativo, ciò che sarebbe potuto consistere proprio nella dimostrazione analitica dei documenti consegnatigli dalla banca. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 3.700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 29 settembre 2025.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME