Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3837 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3837 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2140 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME , in giudizio ex art. 86 c.p.c., domiciliato presso l’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliati presso lo studio INDIRIZZO;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1527/2020 depositata il 16 settembre 2020 della Corte di appello di Catania.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 gennaio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ Con sentenza del 18 maggio 2016 il Tribunale di Catania, giudicando sulle domande proposte da NOME COGNOME e vertenti su un rapporto di conto corrente bancario da lui intrattenuto con Unicredit s.p.a., ha dichiarato la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, reputato fondate le deduzioni attoree circa i tassi di interesse, la commissione di massimo scoperto, le spese e le valute e ha rideterminato il saldo del conto alla data del 3 maggio 2012 nell’importo di euro 31.830,50 a credito del c orrentista.
2 . ─ Unicredit ha proposto un gravame che la Corte di appello di Catania ha accolto con sentenza del 16 settembre 2020: il saldo del conto corrente oggetto di causa è stato così rideterminato in ragione di euro 25.071,87 a credito della banca.
– Per la cassazione di quest’ultima pronuncia ricorre COGNOME. L’impugnazione consta di otto motivi (non potendo essere considerata tale la richiesta di una nuova regolazione delle spese del giudizio di merito, dipendente dall’auspicato accoglimento del ricorso ). Resiste con controricorso Unicredit.
La parte istante ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.. Si deduce che con riferimento al secondo motivo di appello la banca non avrebbe individuato la parte della sentenza impugnata e le ragioni su cui si sarebbe fondata la censura.
Il motivo è inammissibile.
Occorre premettere che la Corte di appello ha disatteso l’eccezione di inammissibilità del gravame proposta dall’odierno ricorrente rilevando come nel caso di specie la parte appellante avesse posto il giudice nella condizione di comprendere con chiarezza quale era il contenuto della doglianza proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni esposte nella pronuncia di primo grado e indicando il perché
queste fossero censurabili.
Ora, i l principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che ha la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, egli deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Cass. 23 dicembre 2020, n. 29495). Come è stato ancora precisato, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello ne impone, anche alla luce delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME altri contro Italia), una modulazione secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (così Cass. 4 febbraio 2022, n. 3612).
Il motivo di impugnazione manca di una illustrazione della censura proposta avanti al Giudice di appello, sicché esso non può avere ingresso in questa sede.
2. – Col secondo mezzo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si rileva che in primo grado il consulente tecnico d’ufficio aveva rilevato la mancanza degli estratti conto e chiesto al giudice l’autorizzazione all’utilizzo degli estratti conto non rinvenuti nel fascicolo d’ufficio ma prodotti dalla parte attrice nel corso delle operazioni peritali: autorizzazione che il Tribunale aveva accordato. Col proprio atto di appello la banca aveva eccepito che il saldo del conto era stato rideterminato anche sulla base di estratti conto dei quali essa aveva contestato l’acquisizione e la Corte di merito aveva disposto la riconvocazione del consulente tecnico affinché procedesse alla rideterminazione del rapporto di dare e avere tra le parti limitando il calcolo al periodo ricompreso tra il 1 gennaio 2007 e il 3 maggio 2012, e quindi sulla base della sola documentazione da essa ritenuta oggetto di tempestiva produzione. Il ricorrente si duole che il Giudice distrettuale abbia ritenuto privo di riscontro il proprio assunto, secondo cui i documenti in contestazione erano stati tempestivamente prodotti in primo grado e successivamente smarriti per causa imputabile alla cancelleria del Tribunale. In particolare, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare due circostanze decisive: che, prima di iniziare il giudizio di primo grado, il ricorrente aveva richiesto alla parte convenuta copia degli estratti conto e dei riassunti scalari di cui non aveva la disponibilità; che detta documentazione, consegnata dalla banca, era stata utilizzata dal consulente tecnico della parte attrice per la redazione di una perizia stragiudiziale prodotta insieme all’atto di citazione.
Col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c. . Si osserva che l’accettazione e la timbratura, da parte del cancelliere, della documentazione prodotta con il fascicolo
di parte doveva far presumere l’effettiva produzione degli scritti indicati nell’indice degli allegati. Si aggiunge che a fronte del successivo smarrimento dei detti documenti il Tribunale era tenuto a ordinare la ricerca degli stessi da parte della cancelleria o ad autorizzare la parte a ricostruire il suo fascicolo.
I due motivi ruotano intorno alla medesima questione.
Il secondo è inammissibile, mentre il terzo va rigettato.
La Corte di merito ha rilevato che nel corso delle operazioni peritali svoltesi in primo grado il c.t.u. aveva dato conto dell’assenza della documentazione delle movimentazioni del conto riferite a nove trimestri; in particolare, «per tali periodi risultavano depositate le parti iniziali delle liquidazioni (riepilogo per valuta), ma non il prospetto contenente il dettaglio delle competenze»; inoltre, sempre secondo il consulente, era mancata la produzione di estratti conto relativi a diciassette mesi. A fronte della deduzione dell’appellato vertente sull a tempestiva produzione di tale documentazione, la Corte di merito ha osservato che l’attore, nell’indicare, all’interno della citazione, i documenti prodotti, si era limitato a far menzione della produzione di «copia estratti conto», senza ulteriori precisazioni, e che l’indice degli allegati oggetto di produzione non risultava essere più preciso. Secondo il Giudice di appello, dunque, non esisteva prova che l’attore avesse prodotto in giudizio tutti gli estratti conto e, anzi, la condotta processuale di COGNOME -in particolare la richiesta di esibizione da lui formulata con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. -lasciava logicamente supporre che la documentazione prodotta fosse incompleta: di talché risultava essere privo di riscontro l’assunto attoreo, secondo cui i documenti prodotti erano andati smarriti per causa non imputabile allo stesso COGNOME.
Ciò detto, quanto al secondo motivo è sufficiente osservare che, in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo non è riconducibile
al vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c. quanto, piuttosto, a quello ex art. 360, n. 4, c.p.c., ovvero a quelli di cui ai precedenti numeri 1 e 2, ove si tratti -in quest’ultimo caso -di fatti concernenti l’applicazione delle disposizioni in tema di giurisdizione o competenza (Cass. 8 marzo 2017, n. 5785).
Con riguardo al terzo mezzo, poi, il ricorrente invoca il principio secondo cui l’accettazione da parte del cancelliere degli atti e documenti depositati dalla parte che si costituisce, tramite l’apposizione del timbro di cancelleria in calce all’indice del fascicolo, ai sensi dell’art. 74, quarto comma, disp. att. c.p.c.., senza l’annotazione di alcun rilievo formale, fa presumere la regolare produzione degli stessi (così Cass. 18 giugno 2015, n. 12670).
E’ tuttavia da osservare che nella fattispecie la Corte di merito ha osservato come la modalità di compilazione dell’indice non era idonea a dar conto della presenza, nel fascicolo, dei documenti di cui qui si dibatte. Ebbene, una elencazione massiva e generica dei documenti, che non consenta di raccordare, nemmeno attraverso il numero d’ordine, i singoli scritti prodotti (in questo caso gli estratti conto) al contenuto dell’indice di cui all’art. 74, comma 4, disp. att. c.p.c. non soddisfa la condizione dettata dalla legge processuale per la produzione documentale, in quanto non fornisce alcuna precisa informazione su ciò che è realmente refluito nel fascicolo di causa: deve conseguentemente escludersi che in una tale evenienza il documento trovi corrispondenza nell’indice sottoscritto dal cancelliere. Ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. c.p.c., gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, con la conseguenza che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova (Cass. 7 giugno 2024, n. 15969; Cass. 29 maggio 2019, n. 14661). Vero è che la giurisprudenza di questa Corte ammette che la parte interessata sia
ammessa a dimostrare che, malgrado la mancanza di prova dell’osservanza di dette formalità, il documento è stato prodotto, ancorché senza le modalità predette, nei termini stabiliti dal codice di rito (Cass. 23 novembre 2006, n. 24874; Cass. 1 settembre 2006, n. 18949; Cass. 19 luglio 2005, n. 15189; cfr. pure: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27313; Cass. 7 marzo 2014, n. 5408, non massimata in CED ). Tale prova non è stata però fornita. Essa, difatti, non è di certo integrata dalla circostanza, dedotta dal ricorrente, e prospettata col secondo motivo di censura, della acquisita disponibilità , prima dell’introduzione del giudizio, dei documenti in questione; come è del tutto evidente, si può possedere un documento senza produrlo in giudizio.
– Il quarto motivo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 263 ss. c.p.c. e dell’art. 119 t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993), Assume il ricorrente che, in quanto correntista, aveva il diritto di ottenere il rendiconto delle intercorse movimentazioni.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata nella parte che interessa.
La Corte territoriale ha osservato che dall’orientamento di giurisprudenza indicato dalla ricorrente (che faceva capo a Cass. 15 settembre 2017, n. 21472, non massimata) poteva desumersi non già una deroga all’ordinario sistema di riparto degli oneri probatori, quanto piuttosto alla regola d ell’ inammissibilità dell’istanza di esibizione in mancanza del mancato avvalimento, da parte del correntista dello strumento di cui all’art. 119, comma 4, t.u.b.: e ha precisato che l’istanza ex art. 210 c.p.c. non poteva trovare accoglimento in quanto, disattesa dal primo giudice, non era stata reiterata in appello e nemmeno in primo grado, all’udienza di precisazione delle conclusioni, talché doveva intendersi fosse stata oggetto di rinuncia.
Va qui precisato che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesta
dall’art. 366 n. 4 c.p.c. (cfr: Cass. 9 aprile 2024, n. 9450; Cass. 3 luglio 2020, n. 13735).
Per mera completezza, si osserva come non possa sostenersi che il convenuto in ripetizione sia tenuto alla produzione degli estratti in ragione del suo obbligo di rendere il conto: anche a voler prescindere dal rilievo per cui l’ invio periodico degli estratti conto esaurisce l’obbligo della banca di rendere il conto (Cass. 22 maggio 1997, n. 4598, in motivazione), va rimarcato il principio per cui chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell’ accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma versata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta (Cass. 23 novembre 2022, n. 34427; Cass. 12 giugno 2020, n. 11294) e ciò significa che compete al correntista attore in ripetizione fornire la prova dei movimenti del conto (Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; cfr. pure Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948).
4. Col quinto mezzo la sentenza è censurata per l’omessa pronuncia su di un’eccezione ritualmente proposta. Lamenta l’istante che la Corte di merito non si sia pronunciata sulla propria deduzione quanto alla tardività dell’eccezione di prescrizione proposta dalla banca.
Il sesto mezzo denuncia la violazione degli artt. 38, 166, e 167 c.p.c., nonché dell’art. 2938 c.c.. Si deduce che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare che l’ eccezione di prescrizione andava proposta in una comparsa di risposta tempestivamente depositata, mentre nella fattispecie la banca convenuta si era costituita all’udienza di comparizione.
Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto non si mostrano in grado di cogliere, per la parte che interessa, il senso effettivo della decisione impugnata.
Questa ha reputato implicitamente assorbita ogni questione relativa all’eccepita prescrizione. La Corte di merito ha difatti rielaborato
il saldo a far data dal 1 gennaio 2007 (e cioè a partire dal momento in cui era stata acquisita documentazione idonea alla rideterminazione del saldo): tenuto conto che , come ricordato dallo stesso ricorrente, l’atto introduttivo del ricorso fu notificato il 18 giugno 2012, la prescrizione decennale del diritto a ripetere le rimesse solutorie non aveva modo di operare: per tale ragione il Giudice distrettuale non l’ha presa in considerazione.
5. – Col s ettimo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Sostiene chi impugna : che la ricostruzione del conto avrebbe potuto attuarsi attraverso l’uso dei riassunti scalari; che la Corte di appello, una volta rilevata l’assenza di alcuni estratti conto, avrebbe dovuto disporre che il consulente tecnico non procedesse al ricalcolo degli interessi per i periodi mancanti; che il criterio di vicinanza della prova imponeva di usare come dato di partenza il cosiddetto saldo zero.
Il motivo è nel complesso infondato.
Come si è detto, l’onere di provare le movimentazioni del conto gravava sul ricorrente, quale attore in ripetizione. L’applicazione del criterio del c.d. saldo zero, che in caso di conto in passivo premia il correntista, è conseguentemente esclusa. Come osservato da questa Corte, nei rapporti bancari di conto corrente, esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, riportando il primo dei disponibili un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio. Nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, idonei quantomeno ad escludere che, con riferimento
al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta. Nel caso di domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi i quali consentano di affermare che il debito, nell’intervallo temporale non documentato, sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo dal primo saldo debitore documentato (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543).
Esula, poi, dal sindacato di legittimità la verifica circa la concreta idoneità di questo o quel documento, di questo o quel metodo contabile, a colmare le lacune degli estratti conto. In caso di incompletezza degli estratti la prova dei movimenti del conto ben può desumersi da altri mezzi di prova, ma il relativo accertamento in fatto è insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass. 19 luglio 2021, n. 20621). Ebbene, nel caso in esame la Corte di merito ha spiegato che «espedienti di natura contabile resi possibili da raccordi tra i diversi periodi documentati o dal ricorso ai riassunti scalari» rappresentavano «al più ipotesi di rideterminazione del saldo dal risultato variabile a seconda del metodo prescelto»: e quindi soluzioni prive della necessaria attendibilità.
6. – Con l’ottavo mezzo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1194 c.c. , Viene sostenuto che detta norma non è
utilizzabile in costanza del rapporto di conto corrente.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha reputato corretto applicare alle rimesse solutorie il criterio di imputazione che antepone gli interessi al capitale: e tale opzione è conforme alla giurisprudenza di questa S.C., secondo cui nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito il meccanismo di imputazione del pagamento degli interessi, di cui all’art. 1194, comma 2, c.c., trova appunto applicazione in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell’affidamento (Cass. 15 febbraio 2021, n. 3858).
7. – Il ricorso è respinto.
– Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ric orrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione