Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9727 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 27211/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché RAGIONE_SOCIALE, con sede in Salerno, alla INDIRIZZO, in persona della legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO, tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE, con sede in Siena, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 438/2020, della CORTE DI APPELLO DI POTENZA, pubblicata il giorno 23/07/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 05/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 28 giugno 2007, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE citarono Banca Monte dei Paschi di Siena (d’ora in avanti, anche, breviter , MPS) innanzi al Tribunale di Sala Consilina esponendo che il primo aveva intrattenuto con quest’ultima, presso la sua filiale di Atena Lucana, i rapporti di conto corrente n. 1269, 5220, 5782 e 7635.70 e che la seconda si era resa cessionaria del credito invocato dal COGNOME verso la medesima banca, in relazione ai rapporti suddetti, nella misura del 45%. Dedussero, in particolare, che: i ) MPS aveva eseguito il calcolo degli interessi passivi alla fine di ogni trimestre applicando l’anatocismo; ii ) la clausola contrattuale relativa alla determinazione degli interessi era nulla per violazione degli artt. 1284, comma 3, 1346 e 1418 cod. civ., facendo riferimento al cd. ‘ uso piazza ‘; iii ) era stata illegittimamente calcolata la commissione di massimo scoperto. Chiesero, pertanto, il ricalcolo degli interessi al tasso legale, la rideterminazione di quanto dovuto alla banca e la condanna della stessa alla restituzione delle somme indebitamente percepite, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
1.1. Costituitasi MPS, che, oltre a formulare alcune eccezioni pregiudiziali, contestò l’avversa pretesa chiedendone il rigetto, il Tribunale di Lagonegro (che aveva assorbito, medio tempore , quello di Sala Consilina), con sentenza del 12/18 giugno 2014, n. 139, accolse, per quanto di ragione, le domande degli attori e condannò la banca convenuta al pagamento della somma complessiva di € 398.272,20 ‘ alla data del 5 luglio 2007, oltre gli interessi legale sino al soddisfo, e tanto nella misura del 55% nei confronti di COGNOME NOME e nella misura del 45% nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Pronunciando sul gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE contro quella decisione, l’adita Corte di appello di Potenza, con sentenza del 23 luglio 2020, n. 438, resa nel contraddittorio con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti quali eredi di NOME COGNOME, nelle more deceduto, nonché con RAGIONE_SOCIALE, lo accolse e, per l’effetto, rigettò la domanda originariamente proposta da NOME COGNOME.
2.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, quella corte, disattesa l’eccezione di inammissibilità del gravame formulata dagli appellati ex art. 342 cod. proc. civ., così motivò l’accoglimento del secondo motivo di appello (che aveva censurato la decisione del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che parte attrice avesse offerto produzione documentale idonea a ritenere assolto l’onere probatorio che, ex art. 2697 cod. civ., incombeva sulla stessa, di fornire la prova non solo dell’avvenuto pa gamento, ma anche della mancanza di causa debendi ): « Con la memoria di replica ex art. 190 c.p.c., la difesa di parte appellante afferma di avere, in primo luogo, fondato il suo appello sulla mancata produzione dei contratti di conto corrente oggetto del giudizio; circostanza che rende la sentenza impugnata gravemente deficitaria per la ‘assenza di pr ova circa il preteso accertamento concreto delle sopra ricordate condizioni e delle condivisibili premesse metodologiche su cui ha operato la consulenza -ritenuta esente da vizi logici -, e sia in termini di non documentata validità a prescindere, e dunque valenza probatoria ed utilizzabilità delle schede contabili’. Il punto è decisivo. L’appellante ha, nel suo complesso motivo di appello, censurato vari aspetti della sentenza impugnata, graduando le doglianze nell’ordine che seguono: a) mancata produzione dei contratti di conto corrente; b) utilizzazione delle schede contabili in luogo degli estratti conto a fini di prova, peraltro evidenziando che per l’anno di riferimento di alcune di tali schede ‘non v’è alcuna prova in atti dell’esistenza dei contratti’; c) efficacia probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore. È pertanto evidente che, in primo luogo, l’appellante ha lamentato che il Tribunale abbia fatto affidamento su una CTU che ha dato per assunto un regolamento contrattuale di cui non vi è prova nei sui elementi essenziali, qui contestati (ovvero: mancata pattuizioni di tasso d’interesse
convenzionale; calcolo degli interessi secondo l’uso su piazza; capitalizzazione trimestrale degli interessi; previsione espressa della commissione di massimo scoperto). È, se non altro, in considerazione di tanto che l’eccezione di inammissibilità dell’ap pello proposta dalla difesa di parte appellata si rivela infondata. Non è dato, infatti, parlare di principio di non contestazione con riferimento all’esistenza del contratto ed al suo contenuto. . Con la conseguenza che la Corte dovrà in primo luogo af frontare la questione posta con la prima parte del motivo di appello (mancata produzione dei contatti). In ordine a tale questione non può in nessun modo valere l’eccezione della difesa di parte appellata, fondata su una pretesa ‘non’ specificità dell’appe llo per non aver adeguatamente considerato la ratio decidendi fondata sul principio di non contestazione. L’appello, per ciò che riguarda la mancata produzione dei contratti di conto corrente (onere probatorio incombente sugli attori – odierni appellati -) è fondato. La giurisprudenza di legittimità si è attestata, in anni recenti e senza voci dissonanti, nell’affermare il principio secondo cui nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 33009 del 13/12/2019 e, in precedenza, Sez. 2, Sentenza n. 30713 del 27/11/2018, Sez. 1, Ordinanza n. 30822 del 28/11/2018, Sez. 1, Sentenza n. 11543 del 02/05/2019). Nel caso all’esame, ed in applicazione di detto principio, è invalicabile il limite rappresentato dal fatto che gli attuali appellati non abbiamo prodotto i contratti di conto corrente bancario sui quali hanno fondato la pretesa. Tale circostanza impedisce, principalmente, di ritenere provata la presenza di clausole nulle e l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati. L’ipotesi di
calcolo del CTU, sul quale si è fondata la sentenza di primo grado, assume difatti a fondamento le seguenti circostanze: mancata pattuizione del saggio di interesse convenzionale e per iscritto; calcolo di interessi debitori su base trimestrale e conseguente capitalizzazione; calcolo degli interessi in virtù delle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza; mancata previsione della commissione di massimo scoperto. Orbene, nessuna di tali condizioni può dirsi provata, non essendo stati prodotti i contratti che tali clausole eventualmente contengano. L’accoglimento del motivo, per questa parte, è del tutto assorbente rispetto alla questione dell’efficacia probatoria delle schede contabili prodotte dalle odierne parti appellate. Solo per completezza, la questione necessita di due brevi considerazioni. Avuto riguardo all’eccezione di cui si è innanzi discusso (ai par. 7.1 e 7.3), la giurisprudenza di legittimità afferma che l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c., o di proporre – ove occorra – querela di falso, con la conseguenza che gli elementi costitutivi della domanda devono essere specificamente enunciati nell’atto, restando escluso che le produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l’effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l’individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell’atto introduttivo (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 3022 del 08/02/2018). Nel caso all’esame, le allegazioni in punto di fatto della domanda riguardavano la mancanza di causa per i pagamenti effettuati, sul presupposto della nullità delle clausole contrattuali denunciate. Tale questione è stata innanzi affrontata e risolta. Quanto alla prova dell’andamento del conto corrente, invece, la sentenza impugnata ha applicato il principio di non contestazione con riferimento ai documenti che tale andamento proverebbero, in netto contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza appena riportata. A tal riguardo, occorre infine aggiungere che la giurisprudenza di legittimità afferma che nei rapporti bancari in conto
corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida ‘causa debendi’ , sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute . ».
Per la cassazione di questa sentenza hanno promosso ricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad otto motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.: nello stesso ricorso, infatti, è presente l’esposizione sommaria dei fatti della causa, mediante gli essenziali riferimenti ai precedenti gradi di giudizio; è indicata la decisione impugnata, riportandosene il contenuto per quanto di interesse in relazione alle doglianze formulate in questa sede; infine, come si spiegherà più avanti scrutinando i motivi di ricorso, nella specie non sussiste la condizione di inammissibilità di cui all’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., invocabile solo quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente offra elementi idonei a provocare un superamento dell’orientamento contestato.
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 329 c.p.c. », per avere la corte distrettuale erroneamente rigettato la domanda d’indebito, trascurando che la condotta processuale dell’appellante, con la richiesta della propria condanna a pagare un importo (seppure alquanto) minore di quello liquidato dal tribunale, costituisse acquiescenza alle condizioni economiche, sottese al ricalcolo dello stesso; donde il vizio di ritenere queste ultime non provate da parte attrice;
II) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. », per non avere la sentenza impugnata statuito, in danno di MPS, almeno l’obbligo di versare l’importo, al quale essa stessa aveva chiesto d’esser condannata con l’unico motivo di merito del gravame, e per essersi basata su una causa petendi , mai dedotta dalla banca;
III) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. n. 3, in relazione all’art. 342 c.p.c. », per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto ammissibile l’impugnazione, sebbene l’appellante avesse omesso di criticare i passaggi decisivi della pronuncia di primo grado, sollevando questioni inconferenti e del tutto estranee agli stessi;
IV) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 345 c.p.c. », per avere la corte lucana, in ipotesi, dato ingresso in appello, quale effetto delle avverse difese ex art. 190 c.p.c. al profilo della mancanza di prova dell’applicazione delle condizioni economiche, dedotte in lite;
V) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 167 c.p.c. », per avere la corte distrettuale travisato il principio di ‘ non contestazione ‘ ed erroneamente negato l’applicabilità dello stesso al caso di specie;
VI) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 167 c.p.c., con gli artt. 2721 e ss. c.c. e con l’art. 2729 c.c. », per avere la sentenza d’appello erroneamente posto a carico del correntista l’onere di provare per tabulas le clausole sulla pattuizione degli interessi ad uso su piazza;
VII) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 1283 c.c. », per avere la corte di merito ingiustamente affermato, ai fini della prova (anche) dell’illeceità dell’anatocismo, la necessità che il correntista produca il documento contrattuale, attestante la relativa pattuizione;
VIII) « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 167 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. », per avere la corte a quo ritenuto che, ai fini della prova dell’indebito, occorra la sequenza integrale degli estratti conto della banca, per l’intera durata del rapporto.
Il terzo motivo di ricorso, il cui scrutinio è logicamente prioritario rispetto agli altri, è infondato.
3.1. Giova premettere che, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado; non è necessaria, pertanto, l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 4024 e 1798 del 2024; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 23781 del 2020. Si vedano pure Cass., SU, n. 36481 del 2022 e Cass., SU, n. 27199 del 2017, a tenore delle quali ‘ Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata ‘). Invero, essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, cod. proc. civ. – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la
riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4024 del 2024; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 21745 del 2006).
3.1.1. In definitiva, come significativamente chiarito da Cass. n. 30858 del 2023 ( cfr . in motivazione), « I motivi dell’impugnazione -prima e dopo il 2012 -devono quindi non solo indicare il quantum appellatum, ma anche il quia: il motivo d’appello deve allora individuare le parti di cui l’appellante chiede la riforma e gli errori, in iudicando o in procedendo , da cui esse sono affette. In breve, si può allora dire schematizzando, il motivo di appello è specifico quando, esaminato ex ante , è idoneo a privare la sentenza impugnata della sua base logico-giuridica. Insomma, è come si diceva motivo specifico quello che, valutato ex ante , ossia prima ancora della verifica di fondatezza, possiede l’attitudine a scardinare la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata: la specificità si riassume, dunque, in ciò, tra il motivo e la sentenza impugnata deve correre una relazione di incompatibilità, di reciproca esclusione, nel senso che, ipotizzato il motivo come fondato, allora la sentenza impugnata è necessariamente errata. Non è superfluo aggiungere che il concetto di specificità del motivo di appello, come emergente dalla giurisprudenza di questa Corte, e che il legislatore del 2022 ha non solo espressamente ripristinato ma anche ampiamente rafforzato, non manifesta alcunché di formalistico od eccessivamente rigido e severo, ed anzi esso costituisce valorizzazione dei poteri delle parti, il che è perfettamente in armonia con principi basilari del nostro processo civile, quali il principio dispositivo, che si realizza anche attraverso la necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ed il principio del contraddittorio ».
3.2. Tanto premesso, il Collegio osserva che il diretto esame sentenza di primo grado e dell’atto di appello di MPS, operato da questa Corte in ragione della natura processuale della questione posta con il ricorso (che, in sostanza, deduce un error in procedendo. Cfr . Cass. n. 20716 del 2018; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 4024 del 2024), consente di apprezzare l’idoneità della
censura mossa nel gravame di RAGIONE_SOCIALE ( cfr . il suo secondo motivo) a sottoporre a critica adeguata e puntuale la decisione impugnata e, quindi, la sufficiente specificità della stessa.
Venendo, dunque, agli altri motivi, possono esaminarsi, anzitutto, -e congiuntamente, attesa l’evidente connessione tra essi esistente i motivi di r icorso dal quarto all’ottavo, che si rivelano fondati per le ragioni di seguito esposte.
4.1. È opportuno ricordare che, come emerge dalla già riportata ( cfr . § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) motivazione dell’adottata pronuncia di accoglimento del gravame di RAGIONE_SOCIALE ed integrale rigetto delle domande degli appellati, odierni ricorrenti, la corte territoriale ha attribuito rilievo sostanzialmente decisivo, a tali fini, al mancato deposito, da parte di questi ultimi, cui sarebbe spettato il relativo onere di produzione, dei contratti di conto corrente e degli estratti conto relativi all’andamento dell’in tero periodo dei corrispondenti rapporti.
4.2. Orbene, va immediatamente osservato che, come chiaramente si desume dagli atti di causa, i rapporti di conto corrente di cui si discute, pacificamente affidati, erano sorti ‘ in data antecedente all’entrata in vigore della legge 17.2.92, n. 154 e del successivo TU 385/93 ‘ ( cfr. pag. 7 della comparsa di risposta di MPS in primo grado, come riprodotta in ricorso); pertanto, la conclusione dei corrispondenti contratti (così come di quelli di apertura di credito ad essi collegati) non avrebbe dovuto documentarsi per iscritto a pena di nullità: nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3 della legge n. 154 del 1992, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca ( cfr . Cass. n. 17090 del 2008). Nella vigenza del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia del 1993, la nullità per il d ifetto di forma di cui all’art. 117, comma 1, T.U.B. integra -poi -una nullità di protezione, potendo essa operare « soltanto a vantaggio del cliente » (art. 127, comma 2, T.U.B.): con la conseguenza che il mancato rispetto dell’obbligo di documentazione dell’accordo è inopponibile al correntista che non abbia inteso far valere il vizio che affligge il negozio
( cfr ., in motivazione, Cass. n. 34997 del 2023). Ne deriva, altresì, che era certamente possibile fornire la dimostrazione dei contratti suddetti anche con mezzi di prova diversi dallo scritto, né, in contrario, sarebbe stato invocabile l’art. 2725 cod. civ., evidentemente inapplicabile ai medesimi contratti conclusi in epoca in cui gli stessi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità.
4 .2.1. Ma l’appena menzionata norma codicistica è inapplicabile pure nei confronti di quei contratti conclusi nel vigore del testo unico bancario in una forma diversa da quella scritta, ove il cliente della banca decida di non opporre la nullità: poiché, come sopra accennato, la nullità opera « soltanto a vantaggio del cliente », l’obbligo di forma posto dal cit. art. 117, comma 1, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità del contratto, non ha modo di operare ove la controparte della banca intenda avvalersi del contratto stesso, con ciò rinunciando ad invocare in giudizio il vizio che affligge il negozio. Né rileva che, giusta l’art. 127, comma 2, T.U.B., la nullità di protezione possa essere rilevata d’ufficio dal giudice. Infatti, se la rilevazione ex officio delle nullità negoziali, intesa come indicazione alle parti di tale vizio, è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata «ragione più liquida», la loro «dichiarazione», ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, previo suo accertamento: sempre che, però, non vengano in questione -come nel caso in esame -nullità speciali, le quali presuppongono una manifestazione di interesse della parte ( cfr. Cass., SU, nn. 26242 e 26243 del 2014; in senso conforme, di recente, Cass. n. 39437 del 2021).
4.2.2. Se, dunque, rientra nella disponibilità esclusiva del cliente della banca la scelta se far valere, o meno, in giudizio un contratto privo del requisito di forma, ciò significa, di riflesso, che al cliente che invochi il detto contratto non si può opp orre l’onere di darne prova documentale, onde la conclusione del negozio ben potrà da lui fornirsi attraverso presunzioni, senza incontrare il limite segnato dall’art. 2724, n. 3), cod. civ., cui rinvia l’art. 2725 ( cfr . Cass. n. 34997 del 2023).
4.3. Fermo quanto precede, rileva pure il Collegio che, con specifico riferimento alle conseguenze dell’omessa produzione del contratto di conto corrente, la recente Cass. n. 3310 del 2024 (alla cui motivazione, per la parte qui di interesse -pag. 14-15 -può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In senso del tutto analogo si vedano anche le precedenti Cass. nn. 9213 e 12993 del 2023, nonché la successiva Cass. n. 4043 del 2024), riaffermato che deve ritenersi gravante sull’attore, che agisc a per l’accertamento del corretto saldo di un conto corrente (e per la restituzione di quanto versato in forza di clausole comunque invalide), la prova dell’inesistenza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto, ancorché si tratti di prova di un fatto negativo, ha rimarcato che, « nelle azioni suddette, colui che agisce allega la dazione senza causa di una somma di danaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa, si cché può assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem -così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 cod. civ. per la prova testimoniale -operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo (cfr. Cass. n. 5880 del 2021; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 566 del 2001) ». Dovendo qui solo aggiungersi che, quanto alla prospettata corresponsione di interessi anatocistici, varrebbe comunque la disciplina di cui all’art. 1283 cod. civ., come interpretato, in ambito di conto corrent e bancario, dall’ormai consolidatasi giurisprudenza di legittimità.
4.4. Con riguardo, poi, al tema degli oneri probatori in controversie, che vedano contrapposti banca e correntista, aventi ad oggetto la
rideterminazione del saldo di un conto corrente bancario al fine di espungerne poste illegittimamente ivi addebitate, la recente Cass. n. 1763 del 2024 (alla cui ampia motivazione, per la parte qui di interesse, può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In senso analogo, si vedano, in motivazione, anche le successive Cass. nn. 4043, 4067 e 5387 del 2024), benché non massimata sullo specifico punto, ha puntualizzato ( cfr ., in particolare i §§ 2.9, 2.9.2. 2.9.4. 2.9.5. e 2.9.6 delle ‘ Ragioni della decisione ‘), tra l’altro, che, nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario: a ) « l’istituto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 cod. civ. »; b ) « Una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, l’accertamento del dare ed avere può attuarsi con l’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (cfr. Cass. n. 22290 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023). Questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezz o di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Essi -come rimarcato dalla già menzionata Cass. n. 37800 del 2022 (e sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n. 10293 del 2023 e Cass. n. 22290 del 2023) -consentono di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, allora, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito: i) ben può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710
cod. civ., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti da ultimo a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (come già opinato proprio dalla citata Cass. n. 13186 del 2020, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito), oppure, come sancito da altra recentissima pronuncia di questa Corte in corso di pubblicazione (resa nel giudizio n.r.g. 14776 del 2019), – -anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking , se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio (cartaceo o digitale); ii) parimenti, può attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi de ll’art. 116 cod. proc. civ. »; c ) « È innegabile, peraltro, che, malgrado la richiamata, vasta tipologia di documentazione utilizzabile per la integrale ricostruzione delle operazioni che si sono susseguite sul conto (spesso in un arco temporale anche molto ampio), non sia possibile addivenire a quel risultato, sicché, solo in tale ipotesi al giudice di merito sarà consentito utilizzare, dandone adeguata giustificazione, i metodi di calcolo che ritenga più idonei al raggiungimento comunque di un risultato che rispecchi quanto più possibile l’avvenuto effettivo sviluppo del rapporto tra le parti »; d ) « In quest’ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi
il meccanismo della ripartizione dell’onere probatorio tra le parti sancito dall’art. 2697 cod. civ. ».
4.4.1. La medesima pronuncia, inoltre, indica le modalità di effettuazione dei conteggi da parte del giudice (o del consulente di ufficio da lui eventualmente nominato), ove ritenga di avvalersi del criterio dell’azzeramento del saldo (così non escludendo, dunque, diverse modalità di ricalcolo del saldo medesimo), per l’ipotesi di riscontrata incompletezza degli estratti conto ( cfr. amplius , il § 2.9.6 della relativa motivazione, cui qui può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.).
4.5. Fermo quanto precede, allora, la riportata motivazione della sentenza oggi impugnata si rivela non coerente con i principi tutti fin qui esposti laddove ha accolto il gravame di MPS e respinto interamente le originarie domande su cui avevano insistito, in quella sede, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nelle more deceduto, nonché RAGIONE_SOCIALE, esclusivamente per la mancata produzione, da parte di questi ultimi, dei contratti di conto corrente e per carenza di parte degli estratti conto, sicché le loro doglianze in esame devono essere accolte, affidandosi al giudice di rinvio il compito di procedere ad un nuovo accertamento, tenendo conto, appunto, di quei principi, dell’entità dell’eventual e credito invocato dai menzionati appellati.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, infine, si rivelano anch’essi fondati.
5.1. Invero, dall’esame degli atti del fascicolo di ufficio (consentito a questa Corte in ragione della sostanziale natura di errores in procedendo dei vizi denunciati), emerge chiaramente che Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., nelle conclusioni di merito della propria citazione in appello (oggi riprodotte pure dai ricorrenti), si era limitata a chiedere (« solo nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento della superiore eccezione pregiudiziale di nullità, in via subordinata …») , esclusivamente, la sostituzione dell’importo della condanna inflittale in primo grado (€ 398.272,20) con quello minore (€ 62.614,17, quale ipotesi di rica lcolo effettuato dal c.t.u. al punto 1.8.3. della sua relazione e contraddistinto dal n. 2 delle singole tabelle,
formulato senza l’adozione di criteri illegittimi e munito di adeguato riscontro documentale. Cfr. pag. 17 del menzionato gravame) da essa stessa indicato.
5.1.1. È innegabile, allora, che, così concludendo, l’appellante aveva dimostrato di fare acquiescenza alle condizioni economiche sottese a quel ricalcolo, sicché, almeno rispetto a quell’importo, la decisione della corte territoriale di totale rigetto della pretesa degli attori/appellati risulta ulteriormente (in aggiunta, cioè, alle ragioni giustificative dei precedenti motivi dal quarto all’ottavo) non corretta.
6 . In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché da RAGIONE_SOCIALE, deve essere accolto quanto ai motivi primo, secondo, quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo, respingendosene il terzo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso promosso da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché da RAGIONE_SOCIALE, quanto ai motivi primo, secondo, quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo, respingendone il terzo.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile