Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12466 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10516-2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Modena, alla INDIRIZZO in persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore , dott. ing. NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME e dall’Avvocato Prof. NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Correggio (RE), al INDIRIZZO in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza, n. cron. 2737/2020, della CORTE DI APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il giorno 19/10/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 24/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 12 dicembre 2012, RAGIONE_SOCIALE citò la Banca Popolare dell’Emilia Romagna s.p.a. (d’ora in avanti anche, breviter , BPER s.p.a.) innanzi al Tribunale di Reggio Emilia esponendo di aver acceso, presso la filiale di Correggio di quest’ultima, ‘ negli anni 80 ‘, ‘ un articolato rapporto contrattuale ‘ nell’ambito del quale le era stata concessa una apertura di credito sotto forma di vari negozi bancari, ‘ tutti regolati nel conto corrente n. 7058 tutt’ora in essere ‘, e che, n el corso del rapporto, BPER s.p.a. aveva fatto illegittima applicazione di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, di interessi ultralegali non validamente pattuiti, di spese fisse di chiusura periodica e di commissioni di massimo scoperto non dovute. Chiese, pertanto, la condanna della banca predetta a ‘ rettificare il saldo, annotando e versando in conto e/o a pagare ‘ ad essa attrice la somma capitale di € 368.655,49, oltre interessi.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituì la convenuta, resistendo alle avverse pretese e concludendo per il relativo rigetto.
1.2. L’adito tribunale, con sentenza del 18 giugno 2015, n. 948, rigettò la domanda di RAGIONE_SOCIALE e pose a suo carico le spese di lite e della espletata c.t.u.
Il gravame promosso dalla medesima società avverso quella decisione fu parzialmente accolto dall’adita Corte di appello di Bologna, con sentenza del 19 ottobre 2020, n. 2737, la quale, pronunciata nel contraddittorio con BPER s.p.a., così dispose: « In riforma della sentenza appellata e in parziale accoglimento della domanda di ripetizione di indebito proposta da RAGIONE_SOCIALE condanna Banca Popolare d ell’Emilia Romagna alla restituzione in favore di RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 1.882,96, oltre interessi legali
dal 17 novembre 2011 al saldo; dichiara l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio ».
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte: i ) richiamò la giurisprudenza di legittimità in tema di oneri probatori del correntista che agisca contro la Banca per la ripetizione di somme asseritamente non dovutole, altresì rimarcando che, « In sostanza, la Suprema Corte pone la distinzione tra estratti conto analitici, attestanti in dettaglio la movimentazione del conto corrente su base trimestrale, e i cd. scalari, carenti dell’indicazione di tale movimentazione di dettaglio e, dunque, inido nei a documentare adeguatamente l’andamento del rapporto »; ii ) rilevò che l’attrice/appellante non aveva prodotto gli estratti conto del dedotto rapporto, bensì, esclusivamente, i cd. estratti scalari , che, tuttavia, non avevano consentito al c.t.u. di giungere ad una ricostruzione del saldo del conto corrente realmente affidabile. Pertanto, doveva « confermarsi la sentenza appellata nella parte in cui ha rigettato l’azione di ripetizione di indebito fondando la decisione sulla inidoneità degli scalari al fine di operare un ricalcolo del saldo di conto corrente dotato di un sufficiente grado di certezza e attendibilità »; iii ) precisò, infine, che « parte appellante ha chiesto che la Corte emetta una statuizione di mero accertamento della illegittimità degli addebiti di interessi ultralegali, di c.m.s., di spese nonché della capitalizzazione trimestrale, anche tenuto conto dell’omissione di pronuncia sul punto da parte del primo giudice. Tale accertamento, nell’originaria prospettazione di parte appellante, era stru mentale all’accoglimento dell’azione di ripetizione di indebito e non assurgeva alla dignità e rilevanza di una domanda autonoma rispetto a quella di ripetizione di indebito. Si trattava, in sostanza, di accertamenti incidentali rispetto a quello, eventuale, della somma oggetto di ripetizione di indebito. Non sussiste un concreto interesse ad agire rispetto ad una pronuncia di illegittimità dell’anatocismo ovvero dell’applicazione degli interessi ultralegali, in assenza della possibilità di quantificazione di una somma oggetto di ripetizione a tale titolo. Dalla relazione di c.t.u., invece, si evince l’importo illegittimamente addebitato a titolo di spese fisse di chiusura periodica e di c.m.s.: si tratta rispettivamente
degli importi di euro 1.043,80 e di euro 839,16. Ai fini dell’esatta individuazione di tali importi è stata sufficiente la produzione dei cd. scalari, non essendo necessaria quella degli estratti conto trimestrali contenenti l’intera movimentazione di dett aglio. Tali importi devono essere oggetto di ripetizione, oltre interessi legali decorrenti dalla data della messa in mora stragiudiziale (17 novembre 2011), dovendosi presumere ai sensi dell’art. 2033 c.c., la buona fede dell’ accipiens , in assenza di elementi di segno contrario ».
Per la cassazione di questa sentenza, Banca Popolare dell’Emilia Romagna s.p.a. ha promosso ricorso affidato a due motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE la quale ha proposto anche ricorso incidentale recante due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del ricorso principale di BPER s.p.a. denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione di legge sostanziale: violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere ritenuto che, in assenza di tutti gli estratti di conto corrente, fosse sussistente la prova del l’addebito a titolo di spese fisse di chiusura periodica e c.m.s., rispettivamente per euro 1.043,80 ed euro 839,00 ». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto, erroneamente, che per la condanna della banca alla restituzione di importi a titolo di spese di chiusura periodica e c.m.s. fossero sufficienti gli scalari e non servissero gli estratti conti trimestrali;
II) « Violazione, ex art. 112 c.p.c., tra chiesto e pronunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – c.d. extrapetizione ». Si assume che, « Nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALE ha espressamente e specificamente domandato la ‘rettificazione del saldo’ di conto corrente e, quindi, la Corte d’Appello non poteva limitarsi a contemplare la restituzione di singoli (pretesi e, peraltro, non provati) addebiti, ma avrebbe dovuto addivenire alla rettificazione del saldo finale. Come è noto, la rettifica del saldo e la rideterminazione del conto
è cosa ben diversa dalla restituzione di singole imposte (i pretesi e non provati addebiti per spese di chiusura periodica e CMS) e, peraltro, impossibile nel caso di specie in assenza degli estratti di conto corrente e, peraltro, addirittura in presenza di un conto corrente pacificamente ancora aperto. Siccome la domanda formulata da RAGIONE_SOCIALE non era la domanda di condanna della Banca alla restituzione di singoli indebiti oggettivi, ma la specifica domanda di rettifica del saldo di conto corrente, la sentenza della Corte d’appello di Bologna censurata in questa sede si rappresenta nulla per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e per avere dato luogo ad una statuizione (comunque erronea per quanto già sopra osservato) non oggetto di domanda processuale di RAGIONE_SOCIALE ».
Il primo dei suddetti motivi è inammissibile.
2.1. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare, ripetutamente, che, allorquando il cliente agisce nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e la ripetizione di quel danaro dato alla banca, dall’inizio del corrispondente rapporto fino alla sua cessazione, sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente relative , ad esempio, alla misura degli interessi, all’anatocismo ed alla commissione di massimo scoperto, nonché ad addebiti di danaro non previsti dal contratto, è il cliente stesso che deve provare, innanzitutto, mediante il deposito degli estratti di conto corrente, in applicazione dell’art. 2697 cod. civ., la fondatezza dei fatti e delle domande di accertamento costituenti il presupposto anche dell’accoglimento della domanda di ripetizione di indebito oggettivo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 17584 e 1763 del 2024; Cass. nn. 30789, 30661, 28191 e 25417 del 2023; Cass. n. 11543 del 2019; Cass. n. 30822 del 2018; Cass. n. 24948 del 2017); con la conseguenza che, in mancanza di taluni estratti di conto corrente, egli perde semplicemente la possibilità di dimostrare il fondamento della domanda di restituzione di danaro da lui dato alla banca (per effetto di addebiti da questa operati) nel solo periodo di tempo compreso fra l’inizio del rapporto e quello cui si riferiscono gli estratti di conto corrente depositati ( cfr . Cass. nn. 30789, 30661, 28191 e 10025 del 2023); ben potendo il giudice
accertare, di regola mediante consulenza tecnica d’ufficio, se vi siano addebiti alla banca non dovuti, secondo la prospettazione dell’attore, in quanto risultanti dagli estratti di conto da questi depositati ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 35979 del 2022; Cass. n. 7697 del 2023; Cass. n. 12993 del 2023).
2.2. In particolare, la recente Cass. n. 1763 del 2024 (alla cui ampia motivazione, per la parte qui di interesse, può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ. In senso analogo, si vedano, in motivazione, anche le successive Cass. nn. 4043, 4067, 5387, 11270 ed 11577 del 2024), ha puntualizzato ( cfr ., in particolare i §§ 2.9, 2.9.2. 2.9.4. 2.9.5. e 2.9.6 delle ‘ Ragioni della decisione ‘), tra l’altro, che, nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario: a ) « l’istit uto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 cod. civ. »; b ) « Una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, l’accertamento del dare ed avere può attuarsi con l’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (cfr. Cass. n. 22290 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023). Questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Essi -come rimarcato dalla già menzionata Cass. n. 37800 del 2022 (e sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n. 10293 del 2023 e Cass. n. 22290 del 2023) -consentono di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, allora, a fronte della mancata acquisizione di
una parte dei citati estratti, il giudice del merito: i) ben può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti da ultimo a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (come già opinato proprio dalla citata Cass. n. 13186 del 2020, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito), oppure, come sancito da altra recentissima pronuncia di questa Corte , – -anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking , se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio (cartaceo o digitale) ».
2.3. Fermo quanto precede, la doglianza in esame, per come concretamente argomentata, intende riproporre un giudizio sul fatto, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto di aderire alle risultanze della espletata c.t.u., nella quale è stato spiegat o che l’attrice/appellante non aveva prodotto gli estratti conto del dedotto rapporto, bensì, esclusivamente, i cd. estratti scalari , che, tuttavia, non avevano consentito di giungere ad una ricostruzione del saldo del conto corrente realmente affidabile. Una tale conclusione, da un lato, non incorre nella violazione delle norme invocate dalla ricorrente, e, dall’altro, lato, appartiene all’ambito del giudizio sul fatto ed all’apprezzamento delle risultanze processuali, interamente affidato al giudice del merito. Come è stato già rilevato ( cfr . Cass. n. 23476 del 2020;
Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 1763 del 2024), il ricorso allo strumento degli estratti scalari (in cui, come ivi si osserva, vengono registrati con la medesima valuta i movimenti per somma algebrica) non è necessariamente inaffidabile ed è una valutazione del giudice di merito -nel caso di specie negativamente svolta dalla corte distrettuale che, sul punto, ha condiviso le risultanze del c.t.u. -l’idoneità, o non, dei predetti estratti scalari a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (principio, del pari, già espresso da Cass. n. 13186 del 2020, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito). In altri termini è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori e diversi dagli estratti conto, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete, sicché la prova dei movimenti del conto può desumersi aliunde (Cass. n. 29190/2020), avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che ridetermini il saldo del conto in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio, che devono fornire indicazioni certe e complete nei termini sopra illustrati.
Ne deriva che la valutazione del materiale probatorio presente è attività riservata al giudizio del merito, senza che possa intervenire un sindacato e controllo da parte di questa Corte. La censura in esame, invece, – a fronte di un giudizio di fatto operato dal giudice di merito, sulla base degli estratti scalari e della c.t.u. – tende ad un’inammissibile rivisitazione del merito.
In definitiva, l’odierna ricorrente come chiaramente dimostra la corrispondente censura -incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, anche processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, come ripetutamente chiarito da questa Corte: i ) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale
onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr. , anche nelle rispettive motivazioni, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 7597 del 2025; Cass. nn. 25376, 19371, 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), nella specie nemmeno prospettato (e comunque da rapportarsi – in ipotes al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 19 ottobre 2020); ii ) un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3229 del 2025; Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, « ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.,
non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. n. 3229 del 2025; Cass. 24434 del 2016); iii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. n. 1166 e 8671 del 2025); iv ) come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022 e Cass. n. 8671 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Il secondo motivo è parimenti inammissibile, perché formulato senza rispettare il principio di autosufficienza sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., oltre a non tener conto della conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza di questa Corte proprio in materia di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 360 -bis , cod. proc. civ.
3.1. Invero, come ancora recentemente ricordato da Cass. n. 34762 del 2024, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, il ricorrente in cassazione deve formulare argomentazioni che siano a tal fine idonee, ‘ riportando anche la trascrizione esplicita dei passaggi degli atti e documenti su cui le censure si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la SRAGIONE_SOCIALE di ricercare autonomamente in tali atti e documenti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti ‘ ( cfr ., sul punto, Cass. nn. 28135 e 4131 del 2023; Cass. n. 6709 del 2022; Cass., SU, n. 34469 del 2019). In tale contesto, il giudice di legittimità, attesa la sua funzione di decidere le sole questioni di diritto (sostanziali e processuali), prima di ogni altro esame deve verificare l’ammissibilità del motivo di ricorso avuto riguardo proprio alla sua formulazione; dopodiché, può valutarne la fondatezza. Ed è esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione che de ve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali ( cfr . Cass. n. 12481 del 2022; Cass. n. 6014 del 2018).
Nel caso in esame, la ricorrente ha articolato il motivo de quo senza trascrivere gli atti di primo grado, né quelli d’appello, ma unicamente le conclusioni, dalle quali, a suo dire, dovrebbe dedursi l’assenza della domanda di condanna della banca alla restituzione di singoli indebiti. In tal modo, la stessa non permette di verificare ex actis , non solo la fondatezza dei suoi assunti, ma anche la loro veridicità. V’è, dunque, una aperta distonia tra le censure di ultrapetizione ed i principi sopra ricordati, risolvendosi la doglianza di RAGIONE_SOCIALE in una generica affermazione di assenza di esplicita domanda ed in una altrettanto generica opposizione secondo cui la pronuncia restitutoria non poteva essere ricompresa nella richiesta dell’attrice/appellante RAGIONE_SOCIALE
di condannare la convenuta ‘ a rettificare il saldo annotando e versando in conto e/o a pagare alla medesima attrice la somma di € 386.655,40, o la maggiore o minore somma risultante a suo credito, in esito di istruttoria, per restituzione di somme della correntista corrisposte per i titoli di cui sopra e mancato accredito degli interessi creditori ‘ (cfr. le riportate conclusioni della citazione di primo grado) o ‘ a riaccreditare in conto, così rettificandone il saldo, la somma di € 245.526,04, come evi denziata dalla svolta c.t.u. (di cui € 203.672,53 a titolo di interessi anatocistici e spese di chiusura, € 41.014,35, a titolo di interessi ultralegali ed € 839,16 a titolo di CMS) ola maggiore o minore somma risultante a suo credito in esito di istruttoria, per restituzione di somme della correntista corrisposte per i titoli di cui sopra ‘ ( cfr . le riportate conclusioni della citazione in appello), senza quindi cogliere la ratio decidendi della pronuncia impugnata che invece a quei principi si conforma.
Sul punto, infatti, costituisce insegnamento ormai consolidato quello secondo cui il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ricorre se v’è stata, da parte del giudice del merito, una carenza nella interpretazione di un atto processuale, sindacabile in sede di legittimità unicamente come vizio motivazionale, che può integrare l’ultrapetizione. Questo significa che la doglianza del ricorrente deve riguardare l’omesso esame di una domanda o la pronuncia su una domanda non proposta e non censurare l’i nterpretazione data, dal giudice di merito, alla domanda stessa o alla sua estensione. Ebbene, solo nel primo caso ricorre la violazione dell’art. 112 c.p.c., prospettandosi l’ error in procedendo del giudice di merito, rispetto al quale la Corte di cassazione deve procedere all’esame diretto degli atti per acquisire tutti gli elementi utili a rendere la pronuncia richiesta. Quando, invece, la doglianza della parte ricorrente, come nella fattispecie, è volta all’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, l’attività richiesta alla Corte di cassazione integra un accertamento in fatto, che però è per sua natura riservato al solo giudice del merito ( cfr . Cass. nn. 34762, 22724 e 4739 del 2024; Cass. n. 20373 del 2008). In tal caso, se costui ‘ abbia espressamente ritenuto che era stata avanzata ed era compresa nel
thema decidendum, tale statuizione, ancorché in ipotesi erronea, non può essere censurata per ultrapetizione, atteso che il suddetto difetto non è logicamente verificabile prima di avere accertato l’erroneità della relativa motivazione, sicché detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale ‘, nei ristretti limiti derivanti dalla riformulazione dell’art. 360, comm a 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr . Cass. nn. 34762, 22724, 19400 e 3575 del 2024; Cass. n. 23935 del 2023).
La corte di merito ha ritenuto, in base ad una valutazione insindacabile in questa sede, che le già descritte richieste di condanna contenute nelle citazioni di primo e secondo grado di RAGIONE_SOCIALE fossero comprensive anche della pronuncia restitutoria concretamente adottata dalla prima, per cui la statuizione impugnata è rimasta nei limiti del petitum , né può assumere rilievo, in ragione della specifica tipologia di vizio denunciato, l’eventuale erroneità di detta statuizione (in rapporto al fatto che il conto corrente de quo fosse ancora aperto), in parte qua non adeguatamente censurata.
4. Il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE -recante i seguenti due motivi: « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non aver la Corte territoriale ritenuto gli ‘estratti conto trimestrali’ idonei e sufficienti alla quantificazione dell’indebito riferito ad interessi anatocistici ed interessi ultralegali » e « Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per non aver esplicitamente la Corte d’appello a ccolto la domanda di riaccredito in conto » -deve intendersi promosso ex art. 334, comma 1, cod. proc. civ., tenuto conto della data (27 maggio 2021) di sua proposizione, rispetto a quella (19 ottobre 2020) di pubblicazione della impugnata sentenza della corte territoriale, pacificamente non notificata.
Ne consegue che la declaratoria di complessiva inammissibilità del ricorso principale di BPER s.p.a. lo rende inefficace, ai sensi dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ. -senza che, in senso contrario, rilevi che esso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, comma 2, cod. proc. civ.
(quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale. Cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 5375 del 2024; Cass. nn. 33186, 13408 e 7332 del 2023; Cass. n. 17707 del 2021; Cass. n. 6077 del 2015) -ricordandosi che: i ) secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., si osserva, a norma degli artt. 155, comma 2, cod. proc. civ. e 2963, comma 4, cod. civ., il sistema della computazione civile, non ex numero bensì ex nominatione dierum , nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale ( cfr. e multis , Cass. n. 22518 del 2023; Cass. n. 2186 del 2021; Cass. nn. 17640 e 15029 del 2020; Cass. n. 17313 del 2018; Cass. n. 22699 del 2013; Cass. n. 11491 del 2012). Il termine scade, pertanto, nell’ultimo istante del giorno del mese c orrispondente a quello in cui il fatto si è verificato, dovendosi considerare il giorno del mese iniziale quale riferimento per determinare il giorno di scadenza; ii ) nella specie, quindi, il termine da osservarsi giusta l’art. 327, comma 1, cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 69 del 2009 (sei mesi dall’avvenuta pubblicazione della sentenza impugnata, risalente al 19 ottobre 2020, trattandosi di giudizio iniziato, in primo grado, con citazione notificata nel dicembre 2012) è spirato il 19 aprile 2021 (lunedì), anteriormente, dunque, al momento (27 maggio 2021) della notificazione del ricorso incidentale predetto.
In conclusione, l’odierno ricorso principale di Banca Popolare dell’Emilia Romagna s.p.a. deve essere dichiarato inammissibile, mentre quello incidentale tardivo di Rossi F.lli s.r.l. deve ritenersi inefficace, ex art. 334 cod. proc. civ.
5.1. Le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla società da ultimo indicata restano a carico della menzionata banca, in forza del principio di soccombenza, con attribuzione all’Avvocato NOME COGNOME per dichiarazione di fattone anticipo, dandosi atto, altresì, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245
del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente principale (non anche della controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo è stato ritenuto inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità di quello principale. Cfr . Cass. n. 5375 del 2024; Cass. n. 28331 del 2023; Cass. n. 1343 del 2019; Cass. n. 18348 del 2017), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale di Banca Popolare dell’Emilia Romagna s.p.a. ed inefficace, ex art. 334, comma 2, cod. proc. civ., quello incidentale tardivo di RAGIONE_SOCIALE
Condanna la Banca Popolare dell’Emilia Romagna s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da Rossi FRAGIONE_SOCIALEr.l., liquidate in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge, con attribuzione all’Avvocato NOME COGNOME per dichiarazione di fattone anticipo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile