Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25902 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25902 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15044/2024 r.g. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv ocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Lagonegro (PZ), alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
-intimata – avverso la sentenza, n. cron. 103/2024, della CORTE DI APPELLO DI POTENZA depositata in data 21/02/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 17/09/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citò RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Sala Consilina deducendo: i ) di aver intrattenuto presso la stessa, quale titolare di
attività di costruzioni edili, un rapporto di conto corrente affidato, contraddistinto con numero 293/29351; ii ) che la banca convenuta gli aveva addebitato interessi ultra legali mai convenuti, usurari ed anatocistici, commissioni e spese non dovute; iii ) di aver sostenuto spese notarili per il mutuo ipotecario stipulato per ripianare la debitoria, nonché di aver subito danni ulteriori. Chiese, pertanto, condannarsi la banca al pagamento della somma di € 24.906,53, comprensiva di saldo creditore, all’esit o della rideterminazione del rapporto come da perizia di parte, e degli invocati danni.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE che contestò le avverse pretese, il Tribunale di Lagonegro rigettò la domanda dell’attore, compensando le spese di lite e ponendo quelle della espletata c.t.u. a carico di entrambe le parti, in ragione del 50% ciascuna.
Esito negativo ebbe anche il gravame promosso dal NOME avverso quella decisione, respinto dall’adita Corte di appello di Potenza con sentenza n. 103 del 2024, pronunciata nel contraddittorio con Unicredit s.p.a. e previo rigetto di un’istanza di rimessione in termini per il deposito delle memorie conclusionali formulata dall’appellante .
Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) in relazione all’istanza di riammissione in termini formulata dall’appellante prima dell’adottata decisione, riconobbe che la cancelleria non aveva provveduto ad allegare copia del proprio provvedimento nella pec notificata al Romano e che aveva solo comunicato che la causa era ‘ in decisione ‘. Tuttavia ritenne quell’istanza non accoglibile in quanto, a suo dire, in base ad un normale dovere di collaborazione, sarebbe stato onere dello stesso appellante consultare il fascicolo telematico al fine di controllare l’ordinanza nella sua interezza . In ogni caso, l ‘assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c od. proc. civ. si sarebbe dovuta presumere, posto che, tra l’altro , proprio il Romano li aveva richiesti nelle note dell’ultima udienza ; ii ) ritenne, confermando, sul punto, la decisione del tribunale, che l’appellante non avesse adempiuto all’onere della prova su di lui incombente, dimostrando l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto di conto corrente e dell’invocato affidamento.
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi a tre motivi. Unicredit s.p.a. è rimasta solo intimata.
Il 25 novembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 13/16 dicembre 2024, il COGNOME ha chiesto la decisione del suo ricorso, depositando pure una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, violazione degli artt. 190 e 101 c.p.c. ». Si ascrive alla corte di appello di avere ritenuto correttamente informato l’appellante circa l’avvenuto passaggio in decisione della causa e la possibilità per lo stesso di produrre le memorie conclusionali o, comunque, di informarsi dei concessi termini di cui all’art. 190 c od. proc. civ., laddove, invece, il Romano, con apposita istanza formulata prima della pronuncia della impugnata sentenza, aveva chiesto la remissione in termini proprio al fine di poter produrre le memorie conclusionali ex art. 190 cod. proc. civ. assumendo che non gli era stata comunicata dalla cancelleria l’ ordinanza di assegnazione di termini di cui alla norma predetta, come rilevato, peraltro, anche dal collegio e riferito nella medesima sentenza;
II) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, violazione dell’art. 2697 c.c. in rapporto all’art. 115 c.p.c. », per aver la corte distrettuale ritenuto accoglibile l’eccezione di prescrizione formulata dalla banca , benché formulata in modo generico e senza indicare quali rimesse fossero ripristinatorie e quali solutorie al fine di stabilire il dies a quo del corrispondente termine e, comunque, senza allegare alcuna prova della stessa invocata prescrizione. Secondo, il Romano, invece, sarebbe stato onere della banca convenuta eccepire e provare che le rimesse nel corso del rapporto di conto corrente fossero solutorie, al fine di beneficiare di un diverso dies a quo rispetto alla data della chiusura del conto
corrente. Si contesta, inoltre, alla medesima corte di avere considerato accoglibile l’eccezione della banca per la mancanza di allegazione del contratto di conto corrente e di affidamento, malgrado l’appellante avesse sostenuto che fosse onere della banca produrli, posto che aveva eccepito la liceità degli addebiti. In ogni caso, considerata la produzione di tutti gli estratti del conto e della consulenza tecnica di parte, e tenuto conto della espletata consulenza tecnica di ufficio, sarebbe stato onere della banca di formulare osservazioni, eccezioni ed opposizioni ad essi;
III) « V iolazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3; v iolazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c .; difetto di motivazione, inesistenza, lacunosità, insufficienza per avere omesso l’esame di un documento decisivo per il giudizio -la consulenza tecnica di ufficio -che riconosce un diritto di credito in capo all’appellante in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ». Si contesta alla corte territoriale di non aver scrutinato le prove offerte, tra cui la consulenza tecnica di ufficio. Si assume, inoltre, che la stessa corte avrebbe dovuto motivare perché, nonostante la mancanza del contratto (sia del c/c che dell’affido), la consulenza tecnica aveva riconosciuto in capo al Romano un credito di € 29.505,16 ed avrebbe dovuto dire per quale ragione era sbagliata la consulenza, perché l’ausiliario del giudice, malgrado la mancanza del contratto, avesse riconosciuto un credito al l’odierno ricorrente .
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. Il primo motivo si rivela insuscettibile di accoglimento.
1.1. Invero, come riferito dallo stesso ricorrente, oltre che chiaramente desumibile dalla sentenza oggi impugnata, l’udienza del 20 giugno 2023, innanzi alla corte di appello, fu effettivamente destinata alla precisazione delle conclusioni. La stessa udienza, peraltro, fu tenuta mediante trattazione scritta e la corte potentina diede atto (cfr. pag. 3-54 della sua motivazione) dell’avvenuta lettura ‘delle note di trattazione depositate dalle parti’. La censura, peraltro, non denuncia il mancato invito a precisare le conclusioni,
né la omessa assegnazione dei termini ex art. 190 cod. proc. civ., bensì soltanto la mancata integrale comunicazione, da parte della cancelleria e nei suoi confronti, del testo integrale con cui la medesima corte, ebbe a riservare la causa in decisione con l’assegnazione dei termini suddetti. In particolare, il ricorrente assumendo che detta comunicazione era avvenuta informandolo soltanto dell’avvenuta riserva in decisione della causa, non anche dell’assegnazione dei termini predetti, si duole, in questa s ede, del rigetto della sua richiesta di rimessione in termini del 5 febbraio 2024, con cui aveva lamentato alla corte distrettuale tale solo parziale comunicazione.
1.2. Fermo quanto precede, giova ricordare che questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendone la nullità per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; infatti, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (cfr. Cass., SU, n. 36596 del 2021). Analogamente in passato è stato affermato che è nulla la sentenza che pronunci nel merito della causa senza che siano state precisate le conclusioni ed assegnati i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie finali di replica, essendo in tal modo impedito ai difensori delle parti il pieno svolgimento del diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio (cfr. Cass. n. 20732 del 2018; Cass. n. 18149 del 2016; Cass. n. 7760 del 2011; Cass. n. 4805 del 2006).
1.2.1. Trattasi, però, di precedenti nei quali la decisione era intervenuta in ogni caso prima della scadenza del termine di cui all’art. 190 cod. proc. civ., che in ipotesi sarebbe spettato alla parte, ma che il giudice aveva omesso di concedere. La soluzione si impone in maniera differente laddove, pur essendovi stata una formale assegnazione dei termini (né risultando una espressa rinuncia ad essi) ed essendo mancata soltanto la comunicazione della loro assegnazione avvenuta in una udienza comunque pacificamente destinata alla precisazione delle conclusioni, la decisione del giudice (che peraltro ha ampiamente motivato le ragioni del diniego della rimessione in termini richiesta dall’odierno ricorrente) sia avvenuta come nella specie -in data successiva alla scadenza dei termini stessi, ripetesi pacificamente concessi.
1.2.2. A tal fine può farsi richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che, in relazione al vecchio testo dell’art. 180 cod. proc. civ. in tema di termine per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, ha affermato che la mancata assegnazione al convenuto del termine, ex art. 180, comma 2, cod. proc. civ. (nel testo, utilizzabile ratione temporis , anteriore alla modifica operata dalla legge 14 maggio 2005, n. 80), per proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, non comporta la nullità ipso jure della sentenza qualora tra l’udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano comunque intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge (cfr. Cass. n. 18583 del 2014; Cass. n. 12242 del 2011), e ciò in quanto il vizio del procedimento, consistente appunto nella mancata assegnazione al convenuto del termine di venti giorni di cui al comma 2 dell’art. 180 cod. proc. civ., risulta sanato qualora tra l’udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge, così da restare escluso che le eccezioni ivi previste possano essere sollevate nella prima udienza di trattazione o, addirittura, in una udienza a questa successiva, dovendo esse invece essere proposte, al più tardi, nell’intervallo tra l’udienza di prima comparizione prevista dall’art. 180 cod. proc. civ. e quella di trattazione di cui all’art. 183 del medesimo codice.
1.2.3. Tornando al caso in esame, è vero che la corte d’appello ha riservato la causa in decisione formalmente assegnando i termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. (nemmeno risultando esservi è stata una loro espressa negazione o rinuncia agli stessa ad opera delle parti) ma la corrispondente ordinanza è stata comunicata all’odierno ricorrente in modo incompleto, cioè senza la indicazione dell’avvenuta assegnazione dei menzionati termini. Emerge, tuttavia, che la sentenza gravata è stata deliberata nella camera di consiglio del 20 febbraio 2024, per essere poi pubblicata il giorno successivo (21 febbraio 2024), e quindi, come specificato da Cass. S.U. n. 36596/2021, è alla prima data che occorre far riferimento per verificare se la decisione sia stata ad ottata senza il rispetto dei termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. : verifica, questa, che, nella fattispecie, consente di affermare come la deliberazione sia stata presa in data successiva alla scadenza dei termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. , fatti decorrere dalla udienza di precisazione delle conclusioni risalente al 20 giugno 2023). Può quindi ritenersi, anche a voler accedere alla tesi difensiva del Romano, che, in assenza di un’espressa rinuncia alla concessione dei termini de quibus e malgrado il rigetto opposto dalla corte d’appello alla sua richiesta di rimessione in termini (peraltro, giova rimarcarlo, formulata solo il 5 febbraio 2024 e dopo che lo stesso aveva avuto comunque comunicazione, fin dal settembre 2023, dell’avvenuto de posito, ad opera della controparte, della propria comparsa conclusionale), egli avrebbe potuto fare affidamento sul termine di legge dettato dall’art. 190 cod. proc. civ. e, quindi, avrebbe potuto in ogni caso provvedere autonomamente al deposito degli scritti conclusionali (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. n. 34861 del 2022). L’omissione della parte, unitamente al rilievo per cui la sentenza è stata deliberata in data successiva alla scadenza dei termini per il deposito degli scritti conclusionali, induce a ritenere che la violazione dedotta sia manifestamente infondata non avendo la parte adeguatamente dimostrato l’effettivo pregiudizio derivante dalla violazione asseritamente commessa dalla corte d’appello (cfr. Cass. n. 22341 del 2017; Cass. n. 26 087 del 2019).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che: i) un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che ‘ è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ ); ii) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 25376, 19371, 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), nella specie nemmeno prospettato (e comunque da rapportarsi – in ipotesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 21 febbraio 2024); iii) come ancora recentemente ribadito, in motivazione, da Cass. n. 26897 del 2024, ‘ è onere del correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. allegare i fatti costitutivi della domanda che specificamente attengono all’esistenza di un pagamento e alla natura indebita dello stesso, e detta allegazione si consider a assolta con l’indicazione dell’esistenza di versamenti
indebiti e con la richiesta di restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato; mentre l’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetiz ione di somme indebitamente pagate, ha l’onere di allegare solo l’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U. n. 15895/2019, confermata da arresti costanti in tal senso dalle sezioni semplici, v. per tutte Cass. n. 34997/2023) poiché il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti; né deve individuare e specificare le diverse rimesse solutorie in funzione di completare l’allegazione con l’indicazione del momento iniziale o del termine finale della prescrizione eccepita, trattandosi di questioni di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (cfr. SS.UU. cit.); fermo quanto precede a proposito dell’onere di allegazione – distinto concettualmente dall’onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione de l thema decidendum ed il secondo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione -‘il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente’ (SS.UU. citate); perciò, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo l’onere della prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate (Cass. n. 31927/2019; Cass. n. 2660/2019); ne consegue che la prova della sussistenza di un’ apertura di credito, da cui dipende la valenza ripristinatoria dei versamenti operati per ripianare le esposizioni che non eccedano il limite dell’accordato, non può che gravare sul correntista stesso; ma, onde verificare se la parte gravata abbia assolto al proprio onere probatorio, «il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula
di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass. n. 31927/2019; in senso conforme: Cass. n. 20455/2023; Cass.18230/2024), come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti».
2.2. Nella specie, dunque, la corte di appello, nel ritenere non fornita dal Romano, gravato del relativo onere, la dimostrazione dell’invocato affidamento al fine della qualificazione come solutorie (e non ripristinatorie) delle rimesse affluite sul conto corrente per cui è causa, ha fatto corretta applicazione degli appena riportati principi nomofilattici affermati, su dette questioni, dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il terzo motivo, infine, è inammissibile sia per quanto si è già complessivamente riferito disattendendosi la precedente doglianza, sia perché: i) esso è chiaramente carente di autosufficienza, nella misura in cui richiama, ripetutamente, una relazione di c.t.u. di cui, però, non riporta il concreto contenuto, quanto meno nelle sue parti essenziali, così impedendo a questa corte di valutarne l’effettiva decisività, o non, oppure di accertare la concreta configurabilità del lamentato vizio di motivazione omessa o apparente. Va qui solo ricordato che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, i-a) in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o
produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021; Cass. n. 31999 del 2022; Cass. n. 5141 del 2023); i-b) il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. n. 5733 del 2022; Cass. n. 16812 del 2018; Cass. n. 19150 del 2016); ii) laddove invoca, poi, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., esso, innanzi tutto, mostra di non considerare che avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022, a decorrere dal 28 febbraio 2023, ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dall’odierno ricorrente con atto presentato per la notificato il 17 aprile 2018, come emerge dalla pagina 3 della sentenza impugnata), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘doppia conforme’), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘doppia conforme’ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che «Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice»), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a
base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. nn. 26255, 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua; iii) l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 21 febbraio 2024) -riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. , ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26255, 19371, 17021, 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018); iv) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024) ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì evidenziando che le stesse nemmeno appaiono efficacemente confutate dalla memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. depositata dal Romano in data 11 agosto 2025.
Invero: i ) l’insistere, in essa, in relazione al primo motivo di ricorso, sul fatto che « Il ricorrente COGNOME non ha mai avuto comunicazione, notifica e/o informazione dell’avvenuto deposito della Comparsa Conclusionale della Controparte. L’unica informazione ricevuta gli è stata data dalla cancelleria, della Corte territoriale, nei primi giorni di febbraio 2024, sulla quale ha immediatamente formulato, in data 5 febbraio 2024, istanza di rimessione in termini al fine di poter depositare la sua Comparsa Conclusionale e Memoria di Replica, che avrebbe potuto cambiare l’esito della decisione della Corte Territoriale la quale ha solo acquisito le deduzioni, eccezioni della controparte », non solo mostra di non considerare che un tale assunto (peraltro espressamente smentito dalla contraria affermazione della sentenza impugnata. Cfr . pag. 4 della sua motivazione) imporrebbe accertamenti fattuali incompatibili con il giudizio di legittimità, ma, soprattutto, non considera l’effettiva ratio della pronuncia resa da Cass. n. 34861 del 2022 (benché ampiamente richiamata proprio nella descritta proposta ex art. 380bis cod. proc. civ.), secondo cui, ove non risulti l’avvenuta rinuncia all’assegnazione dei termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. per il deposito di memorie conclusionali e repliche (e, nella specie, la corte distrettuale ha espressamente escluso che ci fosse stata una tale rinuncia), non è configurabile alcuna nullità ipso iure della sentenza qualora tra l’udienza di precisazione delle conclusioni ed il deposito della sentenza siano comunque intercorsi (come pacificamente accaduto nella odierna vicenda processuale) i termini sanciti dalla predetta disposizione; ii ) il richiamare, in quella sede, quanto al secondo motivo di ricorso, l’ indirizzo giurisprudenziale contrario all’ammissibilità , in controversie come quella oggi in esame, di un’eccezione di prescrizione formulata dalla banca in maniera generica, sostenendo che «la banca che abbia interesse ad eccepire il compiuto decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione non possa semplicemente allegare la suddetta circostanza, ma abbia invece l’onere di indicare specificamente il fatto impeditivo-estintivo che intende fare valere a sostegno della pretesa eccepita (il venir meno del diritto alla ripetizione), ossia l’onere di indicare la specifica rimessa/pagamento per cui si sia compiuto il decennio prescrizionale e,
quindi, il relativo dies a quo dell’inizio del computo del periodo di prescrizione, ovverosia la data dell’effettuazione, da parte del correntista, della rimessa solutoria», dimentica completamente che, giusta Cass., SU, n. 15895 del 2019, « In tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte» ( cfr ., nello stesso senso, tra le numerose pronunce successive, anche le motivazioni di Cass. n. 34997 del 2023 e Cass. n. 26897 del 2024). A tanto va solo aggiunto, da un lato, che, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. n. 3229 del 2025; Cass. 24434 del 2016) ; dall’altro, che, c ome puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022 e, più recentemente, da Cass. n. 8671 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente:
Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) »; iii ) la mera affermazione, infine, ivi contenuta quanto al terzo motivo di ricorso, che « un puntuale/punto della CTU non è stato possibile richiamarlo e/o sottolinearlo in quanto la banca non ha formulato nessuna eccezione alla CTP e alla CTU ma si è solo limitata ad eccepire la prescrizione in modo generico senza specificare e allegare quale rimessa e/o dies a quo della o delle rimesse sia intervenuta la prescrizione decennale. La Ctu è stata richiamata nella sua interezza in quanto dalla stessa come dagli estratti di conto corrente non si evince nessuna rimessa solutoria. Tutte le rimesse sono state eseguite per compensare gli interessi aggiunti al capitale e quindi per ripristinare il saldo negativo al fine di contenerlo nell’affido concesso », si rivela palesemente inidonea al superamento delle plurime ragioni di inammissibilità (alcune delle quali nemmeno specificamente censurate) di quel motivo rimarcate nella qui condivisa proposta ex art. 380bis cod. proc. civ..
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere respinto, senza necessità di pronuncia quanto alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo Unicredit s.p.a. rimasta solo intimata.
4.1. Alla stregua di quanto sancito, affatto condivisibilmente, dalla qui condivisa giurisprudenza di questa Corte ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 27195 del 2023; Cass. n 27947 del 2023; Cass. nn. 5243 e 26383 del 2024; Cass. nn. 7385 e 8668 del 2025) -secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel caso in cui il giudizio in conformità alla proposta, l’omessa costituzione dell’intimato, se da un lato preclude la statuizione ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. (non ricorrendo una situazione che consenta una pronuncia sulle spese), dall’altro ne impone la condanna al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di cui all’art. 96, comma 4,
cod. proc. civ., alla stregua dell’autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nel citato art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., che si giustifica in funzione della ratio di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata (esigenza che sussiste anche nel caso di mancata costituzione dell’intimato) –NOME COGNOME va condannato al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso proposto da NOME COGNOME e lo condanna al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME