Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4866 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4866 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32522/2020 R.G. proposto da
LABORATORIO DI ANALISI RAGIONE_SOCIALE DEL RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 396/20, depositata il 15 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 1833/06, emesso il 20 novembre 2006, con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 83.755,00, oltre interessi, a titolo di corrispettivo per prestazioni sanitarie di patologia clinica e RIA erogate nell’anno 2003 in regime di accreditamento.
A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì il difetto di giurisdizione della Autorità giudiziaria ordinaria e l’infondatezza della pretesa, in quanto riguardante prestazioni contrassegnate dalla lettera R del d.m. 22 luglio 1996 e della deliberazione della Giunta regionale n. 1874 del 31 marzo 1998, rese in assenza della specifica autorizzazione regionale prescritta dall’art. 1, comma secondo, del predetto decreto e non effettuate in regime di convenzione o accreditamento provvisorio, contestando inoltre la decorrenza degl’interessi.
Si costituì la convenuta, e resistette all’opposizione, affermando di aver legittimamente erogato le prestazioni in esecuzione della convenzione stipulata precedentemente all’accreditamento provvisorio, come previsto dalla deliberazione della Giunta regionale n. 377 del 3 febbraio 1998, la quale aveva consentito alle strutture sanitarie di erogare tutte le prestazioni comprese nel nomenclatore tariffario, purché riferibili alla branca per cui risultavano già convenzionate.
1.1. Con sentenza del 19 marzo 2014, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accolse parzialmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 83.755,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che con sentenza del 15 aprile 2020 ha rigettato la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE.
A fondamento della decisione, la Corte ha rigettato innanzitutto l’ecce-
zione di difetto di giurisdizione, osservando che, in quanto avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo di prestazioni erogate in regime di accreditamento provvisorio, senza alcuna contestazione in ordine alla legittimità degli atti amministrativi presupposti, la domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo spettava alla giurisdizione ordinaria.
Nel merito, ha ritenuto che, avendo l’RAGIONE_SOCIALE contestato il pregresso espletamento delle prestazioni di cui alla lettera R in regime di convenzionamento, incombesse al RAGIONE_SOCIALE l’onere di fornire la prova del fatto costitutivo della pretesa azionata, consistente nella possibilità di continuare ad effettuare le prestazioni, in quanto rientranti nel precedente rapporto di convenzione. Ha rilevato che il RAGIONE_SOCIALE si era limitato a ribadire di aver ottenuto l’accreditamento provvisorio e di aver eseguito prestazioni comprese nel nomenclatore tariffario, senza documentare il contenuto della convenzione, con riferimento alle prestazioni che costituivano oggetto della controversia. Ha ritenuto altresì indimostrato che le prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario fossero quelle eseguibili in un laboratorio di analisi specializzato in genetica medica e che il RAGIONE_SOCIALE fosse in possesso fin dal 1990 di tutti i requisiti prescritti per l’erogazione delle stesse, non essendo stati mai prodotti la delibera della Giunta regionale n. 378 del 3 febbraio 1998 e i decreti sindacali nn. 1078 del 1990 e 23 del 2007. Ha aggiunto che, per tali ragioni, non poteva verificarsi neppure la previsione dell’art. 5 della delibera della Giunta regionale n. 2108 del 31 dicembre 2008, secondo cui nelle more dell’accreditamento definitivo le prestazioni di cui alla lettera R potevano essere erogate dalle strutture in possesso dell’accreditamento provvisorio per il settore specialistico cui si riferivano le prestazioni e che avessero presentato domanda di accreditamento istituzionale.
Avverso la predetta sentenza il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 cod. civ., osservando che, nel porre a suo carico la prova dell’in-
clusione delle prestazioni di cui alla lettera R nella convenzione precedentemente stipulata con il RAGIONE_SOCIALE e del possesso dei requisiti necessari per l’erogazione delle stesse, la sentenza impugnata ha sostanzialmente attribuito alla convenzione la natura di fatto costitutivo della pretesa, senza considerare che, nel periodo di transizione dal regime delle convenzioni a quello dell’accreditamento, la deliberazione della Giunta regionale n. 377 del 1998 aveva consentito ai laboratori di analisi già in possesso dell’autorizzazione all’apertura e all’esercizio dell’attività sanitaria di erogare, in attesa del rinnovo dei decreti autorizzativi, tutte le prestazioni incluse nel nomenclatore tariffario, senza limitazioni, in modo tale da evitare soluzioni di continuità nell’assistenza sanitaria. Premesso inoltre che le prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario sono quelle eseguibili in un laboratorio di analisi specializzato nel settore di genetica medica, afferma di essere in possesso fin dal 1990 dei requisiti prescritti per l’erogazione delle stesse, aggiungendo che, poiché la Regione Campania non ha mai provveduto alla definizione degli ulteriori requisiti, tali prestazioni vengono fruite dagli assistiti presso strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, ai sensi del d.m. 10 settembre 1998.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia posto l’onere della prova a carico di una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi e fatti estintivi, modificativi o impeditivi (cfr. Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092; 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395).
Nell’individuazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo, la sentenza impugnata ha mostrato di condividere la tesi sostenuta dalla ricorrente nel giudizio di merito, secondo cui, nel periodo di transizione dal regime del convenzionamento a quello dell’accreditamento, le strutture sanitarie potevano erogare le prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario, purché riferibili alla stessa branca specialistica per cui risultavano convenzionate, e già erogate in virtù della convenzione pre-
cedente all’accreditamento provvisorio: ha ritenuto infatti che, ai fini del riconoscimento del diritto al pagamento delle prestazioni, non fosse sufficiente la prova dell’accreditamento provvisorio, rimasto peraltro incontestato, ma fosse necessaria la prova dell’inclusione delle prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario (DGRC n. 377 del 1998), contestata dall’RAGIONE_SOCIALE, e quella dell’inerenza delle stesse alla branca specialistica di genetica medica, nonché quella del pregresso svolgimento di tali prestazioni sulla base della convenzione precedentemente stipulata con l’RAGIONE_SOCIALE. Sulla base di tale interpretazione della disciplina applicabile, ha quindi rilevato che la ricorrente non aveva provato il fatto costitutivo della pretesa azionata, non avendo documentato il contenuto della convenzione, necessario ai fini della dimostrazione del pregresso svolgimento delle prestazioni in regime di convenzionamento, e non avendo prodotto il nomenclatore tariffario, necessario ai fini dell’accertamento dell’inerenza delle prestazioni alla medesima branca specialistica.
Nel censurare il predetto apprezzamento, la ricorrente fa valere un’interpretazione diversa della disciplina applicabile, sostenendo che, nelle more dell’accreditamento, i laboratori di analisi già autorizzati all’apertura e all’esercizio dell’attività sanitaria potevano erogare tutte le prestazioni previste dal nomenclatore tariffario, senza limitazioni: in tal modo, essa propone una lettura alternativa delle delibere con cui, ai sensi dell’art. 6, comma sesto, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la Giunta regionale ha provveduto ad autorizzare le strutture precedentemente convenzionate a continuare a svolgere l’attività sanitaria nel periodo di transizione, che consentirebbe di prescindere dalla prova della riconducibilità delle prestazioni alla medesima branca specialistica cui inerivano quelle precedentemente erogate. Tale interpretazione, peraltro, oltre a non trovare riscontro nei precedenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, che confortano anzi la lettura fornita dalla sentenza impugnata, non risulta accompagnata dalla trascrizione del contenuto delle delibere richiamate e dall’indicazione dei criteri ermeneutici violati dalla sentenza impugnata, ovvero del modo e delle considerazioni attraverso i quali la stessa se ne è discostata, con la conseguenza che le censure proposte risultano prive di specificità.
Le delibere della Giunta regionale costituiscono infatti atti amministrativi
a contenuto non normativo, la cui interpretazione, risolvendosi nell’accertamento della volontà della Pubblica Amministrazione, è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicità della motivazione: la parte che intenda far valere l’erroneità di tale interpretazione non può dunque limitarsi a contrapporre la propria personale lettura a quella fornita dal giudice di merito, ma è tenuta, a pena d’inammissibilità, ad indicare le norme interpretative violate o le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, corredando le proprie doglianze con la trascrizione dei passi salienti dell’atto, in modo tale da consentire a questa Corte di valutare la pertinenza delle censure, prima ancora di verificarne la fondatezza (cfr. Cass., Sez. I, 23/02/2022, n. 5966; Cass., Sez. lav., 2/04/2013, n. 7982; 27/07/2010, n. 17367).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28/11/2023