Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18430 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18430 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2021/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di PADOVA n. 1006/2019 depositata il 27/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- La RAGIONE_SOCIALE propone tempestivo ricorso per cassazione articolato in tre motivi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME per la cassazione della sentenza n. 1006 del 2019 del Tribunale di Padova e della successiva ordinanza di inammissibilità dell’impugnazione resa dalla Corte d’Appello di Venezia in data 2.11.2020, comunicata alla ricorrente in data 9.11.2020.
– Resiste la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME con controricorso.
– Entrambe le parti hanno depositato memoria.
– Questa la vicenda processuale: la società di autotrasporti, attuale ricorrente, citava in giudizio la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, assumendo di aver effettuato un rifornimento di carburante con un proprio autocarro ad una stazione di servizio gestita dalla società convenuta, che poco dopo l’automezzo si bloccava in autostrada e il giorno dopo si accertava che il serbatorio conteneva una rilevante quantità d’acqua, la cui presenza aveva danneggiato il motore. Ritenuto che l’acqua fosse stata versata nel serbatoio insieme alla benzina durante il rifornimento, l’attrice chiedeva il risarcimento dei danni, pari al costo di riparazione. Erano assunte prove orali, acquisita la perizia fatta eseguire dalla compagnia di assicurazioni del veicolo, eseguita una consulenza tecnica. Il c.t.u. concludeva individuando la causa del danno nella presenza di acqua libera all’interno del serbatoio, dovuta alla condensa. Il tribunale, recependo le conclusioni del consulente, rigettava la domanda.
-L’appello della RAGIONE_SOCIALE veniva dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., non avendo ragionevoli probabilità di accoglimento, in quanto l’appellante non spiegava perché le considerazioni del c.t.u., trasfuse nel provvedimento di primo grado, dovessero ritenersi erronee e fuorvianti.
– La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale all’esito della quale il collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi 60 giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 1218, 1490, 1494, 2697 c.c. in relazione alla ripartizione dell’onere della prova e al suo assolvimento.
Sostiene che, trattandosi di un danno derivante da inadempimento contrattuale, l’attore doveva fornire solo la prova del contratto ed eccepire l’altrui inadempimento, mentre non incombeva su di lui l’onere della prova dell’inadempimento della prestazione, consistente nell’aver versato gli operatori della società convenuta nel serbatoio gasolio misto ad acqua. Sarebbe spettato invece alla convenuta provare di aver fornito gasolio dalle proprietà integre e non frammisto ad acqua, mentre la convenuta non aveva offerto alcuna prova liberatoria.
Segnala poi che il tribunale, disponendo la c.t.u., avrebbe di fatto sollevato la convenuta dall’assolvimento dell’onere probatorio, demandando peraltro al c.t.u. un accertamento, quello della provenienza dell’acqua rinvenuta nel serbatoio, che esulava dalle sue competenze tecniche.
– Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., per
aver il giudice di prime cure fatto proprie le illogiche e apodittiche conclusioni del c.t.u., fondando esclusivamente su di esse la propria decisione.
Aggiunge che non è verosimile che una cospicua quantità d’acqua, presente all’interno del serbatoio, si formi per condensa, come ritenuto dal consulente, che avrebbe tratto conclusioni illogiche, tratte dalla sua scienza privata e fondate su circostanze non provate. 3. – Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112,115 , 116 e 196 c.p.c. per non aver il giudice di prime cure disposto il rinnovo della c.t.u. a fronte delle gravi carenze puntualmente denunciate dall’attuale ricorrente in quanto ha ritenuto convincenti, adeguatamente motivate e prive di vizi logici le conclusioni tratte dal consulente nonostante che le conclusioni del c.t.u. fossero state contestate e smentite dal consulente di parte attrice.
4. – Il primo motivo è infondato .
Quando si agisce per ottenere il risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale o da inesatto adempimento, l’onere probatorio gravante sull’attore, attuale ricorrente, a norma dell’art. 2697 c.c. non si limita alla allegazione dell’esistenza del contratto (cioè, nella specie, alla indicazione e se necessario dimostrazione di essersi rifornita di carburante presso la stazione di servizio della società controricorrente) ma comprende anche la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale tra la prestazione eseguita e il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore invece, ex art. 1218 c.c., l’onere di provare l’esattezza del proprio adempimento o comunque che il danno eventualmente verificatosi sia dovuto a causa non imputabile ( v., di recente, Cass. n.12760 del 2024; Cass. n. 2114 del 2024).
Sulla base di questo principio, è corretta la decisione che ha rigettato la domanda ritenendola sfornita di prova, atteso che nella ricostruzione del giudice di merito, il secondo, necessario passaggio
in cui si articola il complessivo onere probatorio a carico dell’attore, ovvero la prova che il danno subito si pone in rapporto di causalità con la prestazione ricevuta, sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice di primo grado, è rimasto privo di prova, in particolare non è stato ritenuto provato che sia stato riversato nel serbatoio della ricorrente carburante di scadente qualità, adulterato o comunque misto ad acqua e comunque il tribunale ha escluso, facendo propria la valutazione del consulente, che la causa del danno fosse da porsi in rapporto causale con la qualità del gasolio versato nel serbatoio o comunque con l’attività svolta dagli addetti alla pompa di benzina in occasione del rifornimento di carburante.
5. – Il secondo motivo è inammissibile .
In effetti, la società ricorrente si duole non tanto dell’applicazione delle norme fatta dal giudice di primo grado nel decidere la causa quanto dell’esito della decisione, che sarebbe a suo dire arbitrariamente fondata soltanto sulle risultanze della CTU, che ritiene arbitrarie, svalutando tutti gli altri apporti istruttori.
La stessa riporta poi direttamente alcuni passi della consulenza tecnica d’ufficio effettuata in primo grado e si confronta direttamente con essa, più che con la sentenza impugnata, per illustrare come il tribunale abbia deciso considerando solo quella risultanza e svalutando tutto il residuo materiale probatorio raccolto benché la consulenza non dimostrasse con ragionevole certezza scientifica ciò che era realmente avvenuto nel caso di specie.
Come evidenziato anche dalla ordinanza di inammissibilità dell’appello, l’accertamento della causa del danno è stato effettuato a mezzo del consulente tecnico ritenendo il giudice di prime cure che fosse necessario, a questo scopo, fruire di un complesso giudizio tecnico mentre non poteva arrivarsi a questo tipo di accertamento soltanto attraverso le prove testimoniali.
La sentenza impugnata motiva sul punto, segnalando che la decisione è stata fondata necessariamente anche sulla valutazione tecnica non essendo sufficienti a supporto del giudizio sull’origine dell’acqua presente nel serbatoio le semplici prove testimoniali addotte dal ricorrente, grazie alle quali si è ricostruita la dinamica, quindi si è provato che il rifornimento è stato effettuato nel momento indicato presso quella determinata stazione di servizio, ma non sarebbero state risolutive per accertare la qualità del carburante versato nel serbatoio e le cause relative alla presenza di acqua nel serbatoio, frutto come detto di un complesso giudizio tecnico e non di un mero fatto ricostruibile solo con l’apporto di testimoni.
6. – Anche il terzo motivo è inammissibile .
Come più volte è stato affermato da questa Corte, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o del tutto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice. In particolare, è discrezionale la scelta se rinnovare o meno una c.t.u. a fronte di contestazioni che non siano relative alla regolarità del procedimento ma al merito delle conclusioni tratte dal consulente. L’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass. n. 3262 del 2021; Cass. n. 2103 del 2019). Nel caso di specie, la scelta del giudice di non procedere alla rinnovazione della consulenza è stata motivata, avendo questi ritenuto che la consulenza già eseguita fosse esauriente e che le controdeduzioni dell’attrice non inducessero alla necessità di approfondimenti.
7 . – Il ricorso va pertanto complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.500,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 31