Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4043 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4043 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 37862/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona della procuratrice speciale AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ed NOME AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, in persona della legale rappresentante pro tempore
NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 1049/2019, della CORTE DI APPELLO DI GENOVA, pubblicata il giorno 10/07/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
07/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, breviter , RAGIONE_SOCIALE), già intestataria di un conto corrente presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME, intestatarie di un altro conto corrente presso la medesima RAGIONE_SOCIALE e garanti della predetta società, citarono il RAGIONE_SOCIALE, in qualità di avente causa della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, innanzi al TribuNOME di Savona per sentir accertare la somma da loro dovuta al menzionato istituto di credito a titolo di saldo debitore dei conti correnti e la responsabilità dello stesso per la falsificazione delle sottoscrizioni apposte su documenti attribuiti ad esse attrici, con la relativa condanna al risarcimento dei danni. A sostegno della domanda, esposero che, con lettere raccomandate del 7 febbraio 2001, il RAGIONE_SOCIALE, sull’errato presupposto della decadenza della società dal beneficio del termine, aveva disdetto gli affidamenti loro concessi ed intimato il pagamento del saldo debitore dei conti correnti, comunicando che, in mancanza, avrebbe proceduto alla realizzazione dei valori vincolati in pegno dalle COGNOME ed alla compensazione del ricavato con l’importo dovuto.
1.1. Costituitosi il RAGIONE_SOCIALE, che resistette alle avverse domande, chiedendo, in via riconvenzioNOME, la condanna delle attrici al pagamento della somma di € 190.990,64 (per residuo credito di c/c n. 3895/835 girato a sofferenza), oltre interessi, l’adito tr ibuNOME, con sentenza del 26/27 marzo 2007, n. 277,
rigettò sia la domanda principale che quella riconvenzioNOME per mancanza di prove.
Le impugnazioni separatamente proposte dalla RAGIONE_SOCIALE, in qualità di avente causa dal RAGIONE_SOCIALE, e dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME, quest’ultima in proprio ed in quali tà di erede di NOME COGNOME, nel frattempo deceduta, furono decise dalla Corte di appello di Genova, che, previa loro riunione, con sentenza del 6 ottobre 2011, n. 961, accolse la prima e rigettò la seconda, condannando la RAGIONE_SOCIALE e la COGNOME al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 190.990,64, oltre interessi.
2.1. Premesso che le attrici avevano addebitato all’istituto di credito di aver provveduto abusivamente alla vendita di titoli e valori di loro proprietà asseritamente vincolati in pegno a suo favore e di avere compensato il ricavato con il saldo dei conti correnti a loro intestati, la corte escluse l’illiceità di tale comportamento, rilevando che la RAGIONE_SOCIALE aveva agito nel rispetto della disciplina contrattuale che regolava i rapporti con le correntiste. Precisato, infatti, che i contratti stipulati tra le parti attribuivano alla RAGIONE_SOCIALE la facoltà di recedere con preavviso di cinque giorni anche senza giusta causa e di valersi dei titoli e dei valori costituiti in pegno dalla correntista, rilevò che tale facoltà, accordata anche dalle garanti con atto del 30 gennaio 1993, non disconosciuto tempestivamente, era stata esercitata con due lettere del 7 febbraio 2001, prodotte in giudizio, alle quali avevano fatto seguito due lettere recanti la firma di NOME e NOME COGNOME con cui le garanti, riferendosi alla propria posizione debitoria ed a quella della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avevano invitato la RAGIONE_SOCIALE a realizzare i titoli ed a detrarre il ricavato dall’importo dovuto, impegnandosi a soddisfare il debito residuo; con le medesime lettere, inoltre, esse avevano proposto dapprima l’accensione d’ipoteca a garanzia di un piano di rientro da formalizzare e, in seguito, un accordo bonario recante la vendita dei titoli costituiti in pegno e la concessione di un mutuo ipotecario. Ravvisato nelle predette lettere un riconoscimento del debito, al quale il RAGIONE_SOCIALE aveva dato riscontro comunicando la propria intenzione di procedere alla vendita dei titoli e la propria
disponibilità a prendere in considerazione proposte di pagamento dilazionato, la corte ritenne generiche le doglianze sollevate dalle attrici in ordine ad altre irregolarità commesse dalla RAGIONE_SOCIALE, al mancato invio degli estratti conto ed all’errato conteggio d’interessi e commissioni, affermando pertanto, sulla base della documentazione prodotta, la fondatezza della domanda riconvenzioNOME.
Per la cassazione della predetta sentenza proposero autonomi ricorsi NOME COGNOME (anche quale erede di NOME COGNOME), per undici motivi, e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per sei motivi. Resistettero, con distinti controricorsi, la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di procuratrice del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, succeduta alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, San RAGIONE_SOCIALE e San RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima proponendo ricorso incidentale, articolato in ventitré motivi, a sua volta resistito dalla menzionata RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
3.1. Con sentenza del 19 maggio/13 ottobre 2016, n. 20689, questa Corte: i ) respinse il ricorso principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ne dichiarò inammissibile il successivo ricorso incidentale; ii ) rigettò il primo ed il terzo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME, dichiarandone assorbiti il quarto ed il quinto, ed accogliendone il secondo e quelli dal sesto all’undicesimo; iii ) cassò la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinviò la causa, anche per le spese, alla Corte d’ appello di Genova in diversa composizione.
Pertanto, con atto ritualmente notificato il 17 gennaio 2017, NOME COGNOME, quale erede testamentaria di NOME COGNOME, riassunse il giudizio innanzi alla corte di appello suddetta, ex art. 392 cod. proc. civ., ivi citando il RAGIONE_SOCIALE coopRAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale incorporante per fusione di RAGIONE_SOCIALE, ed insistendo, in parziale riforma dell’impugnata sentenza n. 277/07 del TribuNOME di Savona, per l’accoglimento delle domande come formulate nelle conclusioni della citazione di primo grado. Si costituì RAGIONE_SOCIALE, avente causa del RAGIONE_SOCIALE, contestando integralmente le pretese di controparte e concludendo per il rigetto del l’appello ex adverso proposto, in quanto
infondato, ed invocando la condanna di NOME, debitrice principale, e di NOME COGNOME (quale erede di NOME COGNOME, a sua volta in proprio e quale erede di NOME COGNOME), a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma capitale di € 190.990,64, oltre interes si convenzionali dalla domanda al saldo.
4.1. La Corte di appello di Genova, con sentenza del 19 giugno/10 luglio 2019, n. 1049: a ) respinse l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Milano RAGIONE_SOCIALE.p.a. e quello incidentale di NOME COGNOME avverso la sentenza del TribuNOME di Savona n. 277/07, che confermò; b ) dichiarò interamente compensate le spese di lite dell’intero giudizio (grado di appello, giudizio di Cassazione e giudizio di rinvio) e pose definitivamente a carico delle parti, in misura del 50%, ciascuna le spese di c.t.u., già liquidate con separato provvedimento.
4.2. Per quanto qui ancora di interesse, il giudice di rinvio: i ) rilevò « che la sentenza di appello è passata in giudicato nei confronti di NOME, essendo stato respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dalla stessa proposto avverso il provvedimento della Corte di appello. Pertanto, devono essere dichiarate inammissibili e non possono essere esaminate le domande dalla stessa formulate nel presente grado di giudizio »; ii ) quanto alla domanda di NOME COGNOME ed a quella riconvenzioNOME del RAGIONE_SOCIALE, rimarcò che « la causa è stata rimessa a questa Corte relativamente al secondo motivo del ricorso in Cassazione nonché per i motivi dal sesto all’undicesimo », del cui esito in sede di legittimità diede conto; iii ) disposta una c.t.u. contabile concernente la situazione dei conti correnti nn. 20560 e 3895, diede atto che il consulente nominato aveva verificato che « Non sono presenti in atti i contratti (iniziali) di conto corrente n. 2560 e n. 3895, bensì sono presenti solo alcune lettere di fido e alcune lettere di deposito valori relativi ai conti correnti n. 2560 e n. 3805 , e che vi erano lacune nelle produzioni relative agli estratti conto ». Opinò, quindi, che « Tale circostanza, appurata dal c.t.u. e non contestata dalle parti, è dirimente ed assorbente per l’esame della domanda riconvenzioNOME di pagamento della banca e delle altre eccezioni sollevate dalla COGNOME per contrastare la predetta domanda, nonché quelle di mero accertamento dalla
stessa proposte, essendo sulle altre sceso il giudicato in conseguenza della reiezione o della dichiarazione di inammissibilità degli altri motivi di ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 961/2011 »; iv ) affermò che « la banca che si dica creditrice deve produrre i contratti di conto corrente e gli estratti a partire dall’inizio del rapporto, dando, così, integrale dimostrazione del credito vantato con riguardo alle afferenti risultanze, esattamente come accade a parti invertire per il correntista ove si tratti di azione di ripetizione da questi avanzata per effetto della dedotta nullità di alcune clausole del contratto di conto (v., da ultimo, Cass. n. 28947-17, Cass. 20693-16). La banca non può pretendere, sol perché non in grado di produrlo, l’azzeramento di eventuali risultanze del primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti, in quanto ciò comporterebbe l’alterazione sostanziale del rapporto di conto corrente bancario. Tale rapporto vede nella banca l’esecutrice degli ordini impartiti dal cliente; esso è unitariamente strutturato, postula operazioni di prelievo e di versamento non integranti distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra banca e cliente, rispetto ai qu ali l’azzeramento unilaterale delle risultanze possa valere alla stregua di rinuncia. Per cui ‘L’accertamento giudiziale deve perciò considerare tutte le evidenze contabili, poiché il saldo del conto presuppone in sé la effettiva e integrale ricostruzione del dare e dell’avere: dunque suppone di procedere sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate senza possibilità di ricorrere a criteri presuntivi o approssimativi’ (Cass., sent. 9365/2018, in motivazione). Nel caso in esame , inoltre, oltre alla riscontrata non continuità delle produzioni degli estratti conto, non risultano neppure prodotti i contratti di conto corrente, cosicché non è dato sapere neppure quali condizioni le parti avessero pattuito. Tutto ciò premesso, deve essere confermata la sentenza del TribuNOME di Savona nella ratio incentrata sulla inosservanza dell’onere della prova da parte della banca, rivelatasi esatta (per tutte, Cass. n. 2108-12, Cass., Sez. U, n. 793113); come pure il rigetto delle domande di accertamento di quanto dovuto da parte della fideiubente, per gli stessi motivi. Ciò posto, risultano assorbiti i motivi di cui dal n. 6 al n. 11 del ricorso per cassazione di COGNOME e riproposti
nella presente sede, in quanto tesi a provare la sussistenza di un minor credito della banca nei confronti della società e conseguentemente dei suoi fideiussori ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE (avente causa, con effetti dall’1 gennaio 2017, del RAGIONE_SOCIALE), affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con distinti controricorsi, NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima proponendo anche ricorso incidentale affidato ad otto motivi, alcuni dei quali recanti plurime censure, corredato pure da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova premettere che il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento o il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. nn. 32008 e 35790 del 2022).
1.1. È opportuno ricordare, allora, che la pronuncia rescindente emessa da Cass. n. 20689 del 2016, decidendo sul ricorso principale promosso da NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME, contro la sentenza n. 961/2011, resa il 6 ottobre 2011 dalla Corte di appello di Genova, ne accolse il secondo motivo e quelli dal sesto all’undicesimo, respingendone il primo ed il terzo e dichiarandone assorbiti il quarto ed il quinto (quella stessa decisione, inoltre, rigettò il ricorso principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ne dichiarò inammissibile il successivo ricorso incidentale).
1.1.1. Nella menzionata decisione di legittimità si legge, quanto ai motivi ivi accolti, che ( cfr . pag. 15-17): « 11. Con il secondo motivo, la ricorrente
ribadisce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ., anche in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., osservando che, anche a volervi ravvisare un riconoscimento del debito, le lettere inviate al RAGIONE_SOCIALE spiegavano effetto sul piano esclusivamente processuale, dispensando il creditore dall’onere di fornire la prova del rapporto fondamentale, e non risultavano pertanto idonee a precludere l’esame delle censure da lei sollevate, riflettenti l’irregolarità di una serie di operazioni contabili e bancarie e l’illegittimità della capitalizzazione degl’interessi passivi, che inficiavano il calcolo della somma dovuta al RAGIONE_SOCIALE.
12. La predetta censura dev’essere esaminata congiuntamente a quelle proposte con i motivi dal sesto all’undicesimo, con cui la ricorrente denuncia l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, facendo valere l’omesso esame delle contestazioni sollevate in ordine a) all’avvenuta concessione di un’ulteriore apertura di credito di Lire 112.000.000 in favore della società attrice, idonea a modificare anche la posizione di esse garanti, b) all’addebito dell’importo di Lire 118.000.000 sul conto intestato alla RAGIONE_SOCIALE, riguardante un credito di terzi per IVA, in ordine al quale il RAGIONE_SOCIALE non avrebbe dovuto procedere alla ritenuta, c) all’accredito di Lire 49.000.000 sul conto corrente intestato alla RAGIONE_SOCIALE a seguito della vendita dei titoli dati in pegno da esse garanti, in considerazione del periodo trascorso tra le due operazioni e del differenziale esistente tra i tassi d’interesse applicati ai due conti, d) al rifiuto del RAGIONE_SOCIALE di pagare ad esse garanti la rendita delle azioni bancarie in deposito, non vincolate a garanzia di alcun conto corrente, e) all’addebito di un bonifico a terzi di Lire 78.468.000, per il quale il RAGIONE_SOCIALE non aveva mai documentato l’ordine di pagamento impartito da esse correntiste, f) alla capitalizzazione composta degl’interessi applicati ai conti correnti.
13. I motivi sono fondati.
Anche a voler ritenere che la Corte di merito abbia inteso fondare la propria decisione esclusivamente sull’efficacia ricognitiva delle lettere inviate dalle COGNOME al RAGIONE_SOCIALE a seguito della revoca degli affidamenti, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente
la produzione dei predetti documenti, ai fini del rigetto della domanda principale e dell’accoglimento della domanda riconvenzioNOME, respingendo quindi le contestazioni sollevate dalle garanti in ordine all’ammontare del debito, senza procedere alla verifica della loro fondatezza, attraverso la valutazione dei mezzi di prova offerti a sostegno delle stesse, se ed in quanto ammissibili, nonché di quelli ulteriori eventualmente dedotti e prodotti dal RAGIONE_SOCIALE a giustificazione della propria pretesa. Le predette censure non potevano ritenersi infatti precluse dall’avvenuto riconoscimento del debito, il quale non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, comportando, ai sensi dell’art. 1988 cod. civ., un’astrazione meramente processuale della causa debendi; tale astrazione si traduce in una mera relevatio ab onere probandi , in virtù della quale il destinatario della dichiarazione è dispensato dall’onere di fornire la prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale: pertanto, ogni effetto vincolante della ricognizione è destinato a venir meno ove sia giudizialmente allegato e provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto o è invalido o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento (cfr. Cass., Sez. 31 marzo 2010, n. 7787; Cass., Sez. II, 22 agosto 2006, n. 18259; Cass., Sez. 111, 11 dicembre 2000, n. 15575) ».
1.2. È noto, poi, che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la decisione di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, oppure per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, oppure -come accaduto nella specie -per l’una e per l’altra ragione ( cfr. Cass. n. 12817 del 2014; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 35790 del 2022). Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n.
35790 del 2022; Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass. n. 3572 del 1987); nella seconda, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata ( cfr . Cass. n. 31901 del 2018; Cass. n. 35790 del 2022); nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse ( cfr. Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 35790 del 2022).
1.2.1. Inoltre, come ancora ribadito da Cass. n. 11202 del 2018 ( cfr . in motivazione), il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto ( cfr., ex aliis , Cass. n. 16171 del 2015). In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico/giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità ( cfr . Cass. n. 7656 del 2011, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019). Ciò perché il giudizio di rinvio è un ” processo chiuso “, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese né formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione fiNOME ( cfr . Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In
senso sostanzialmente conforme si veda anche la successiva Cass. n. 5137 del 2019).
1.3. Ne consegue, dunque, che, alla stregua delle argomentazioni esposte dalla pronuncia rescindente di Cass. n. 20689 del 2016, al giudice di rinvio spettava, nella specie, di esaminare e pronunciare nuovamente sulle impugnazioni concernenti l’avvenuto ri getto, in primo grado, delle domande di NOME COGNOME (anche quale erede di NOME COGNOME), su cui aveva insistito NOME COGNOME, sua erede, e su quella riconvenzioNOME della banca. Il giudice di rinvio, peraltro, doveva tenere conto dell’espresso avvertimento impartitogli dalla Suprema Corte secondo cui, per l’adottanda sua decisione, non poteva considerare sufficiente la mera dichiarazione di ricognizione di debito rinvenibili nelle due lettere del 7 febbraio 2001 indirizzate dalle COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE perché, per effetto della tipologia di contestazioni sollevate dalle prime in ordine all’ammontare del debito, l’efficacia probatoria propria della ricognizione ex art. 1988 cod. civ. era venuta meno.
2. Fermo quanto precede, il primo motivo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE denuncia la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comm a, n. 3), c.p.c. ». Assume l’istituto di credito suddetto ( cfr., amplius , pag. 18 e ss. del ricorso) che: i ) la Corte di cassazione, con la sentenza rescindente n. 20689 del 2016, aveva accolto esclusivamente il ricorso della COGNOME nei soli limiti (motivi secondo e dal sesto all’undicesimo) ivi indicati, riconoscendo, quindi, la natura ricognitiva e l’effetto vincolante delle lettere indirizzate dalle signore NOME alla RAGIONE_SOCIALE e da questa prodotte in giudizio; ii ) « Costituisce, e costituiva già all’epoca del giudizio di rinvio, questione coperta dal giudicato interno quella riguardante l’efficacia ricognitiva delle lettere inviate da NOME NOME ed NOME COGNOME in risposta alle intimazioni di pagamento loro rivolte dalla RAGIONE_SOCIALE. L’esistenza e l’entità del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, dunque, si presumono fino a prova contraria. A ciò deve aggiungersi che, come rilevato dalla stessa sentenza della Suprema Corte n. 20689/2016 (cfr. pagine 12-13), le lettere
di ricognizione del debito inviate dalle fideiubenti ‘non hanno costituito l’unico elemento di prova posto a fondamento della decisione, avendo la Corte di merito dato atto dell’avvenuta produzione dei contratti stipulati con il RAGIONE_SOCIALE, recanti anche l’indicazione del tasso d’interesse pattuito per la disponibilità accordata alla società attrice, e delle fideiussioni rilasciate dalle COGNOME, nonché della corrispondenza intervenuta tra le parti a seguito della revoca degli affidamenti, dalla quale ha desunto anche l’ammontare del credito’ »; iii ) il giudizio di rinvio « doveva quindi esclusivamente consentire: alla signora NOME COGNOME, avente causa di NOME COGNOME, di provare il diverso ammontare del saldo del rapporto esistente con la RAGIONE_SOCIALE; alla Corte d’Appello di valutare i mezzi di prova offerti, se ed in quanto ammissibili »; iv ) la COGNOME « non ha provato l’esistenza di alcun elemento attinente al rapporto fondamentale suscettibile di incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento di debito (a nzi, come si è detto, l’espletata consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE aveva una consistenza ampiamente superiore a quella dichiarata nel riconoscimento di debito). In mancanza della prova contraria, non esisteva altra soluzione praticabile se non la conferma della sentenza n. 906/2011 della Corte d’Appello di Genova. La Corte territoriale, invece, ha respinto la domanda riconvenzioNOME presentata dalla RAGIONE_SOCIALE, argomentando in ordine al mancato assolvimento da parte de lla stessa dell’onere di produrre, ‘al fine della determinazione del saldo fiNOME mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, gli estratti conto a partire dall’apertura del medesimo…’ »; v ) « Così decidendo, il giudice del rinvio ha violato l’art. 324 c.p.c., in punto di cosa giudicata formale, e l’art. 2909 cod. civ., sul giudicato sostanziale, nonché gli artt. 1988 e 2697 cod. civ., per aver ritenuto la RAGIONE_SOCIALE gravata da un onere probatorio da cui era pacificamente esonerata (per effetto de ll’astrazione processuale derivante dal riconoscimento di debito) e la controparte esonerata da un onere probatorio da cui era invece gravata (quello di fornire la prova contraria) ».
2.1. Questa doglianza si rivela fondata nei soli limiti di cui appresso.
2.2. Innanzitutto, deve escludersi la configurabilità, nel contestato dictum della corte distrettuale, del giudicato interno come lamentato dalla ricorrente.
2.2.1. Si è già spiegato, infatti, che, giusta le chiare indicazioni desumibili dalla pronuncia rescindente di Cass. n. 20689 del 2016, al giudice di rinvio spettava di esaminare e pronunciare nuovamente sulle impugnazioni concernenti l’avvenuto rigetto, i n primo grado, delle domande di NOME COGNOME (anche quale erede di NOME COGNOME), su cui aveva insistito NOME COGNOME, sua erede, e su quella riconvenzioNOME della banca. Quel giudice, inoltre, avrebbe dovuto rispettare l’espresso avvertimento i mpartitogli dalla Suprema Corte secondo cui, per l’adottanda sua decisione, non avrebbe potuto considerare sufficiente la mera dichiarazione di ricognizione di debito rinvenibili nelle due lettere del 7 febbraio 2001 indirizzate dalle COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE: ciò perché, attesa la tipologia di contestazioni sollevate dalle prime in ordine all’ammontare del debito asseritamente riconosciuto, l’efficacia probatoria propria della ricognizione ex art. 1988 cod. civ. era venuta meno.
2.2.2. Va qui solo ribadito che, consistendo in una dichiarazione unilaterale recettizia che non integra una fonte autonoma di obbligazione, avendo piuttosto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale ( cfr. , tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 31296 e 15097 del 2023; Cass. n. 2091 del 2022; Cass., SU, n. 6459 del 2020; Cass. n. 20689 del 2016), la ricognizione di debito di cui all’art. 1988 cod. civ. produce un’astrazione meramente processuale della causa debendi , comportante una semplice relevatio ab onere probandi per la quale il solo destinatario della ricognizione è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, ma della cui esistenza o validità, anche in relazione a singole clausole, non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull’obbligazione
derivante dal riconoscimento ( cfr . Cass. n. 2091 del 2022; Cass., SU, n. 6549 del 2020).
2.2.3. Pertanto, è assolutamente ragionevole ritenere, da un lato, che la conseguenza del descritto avvertimento impartito da questa Corte al giudice di rinvio non poteva che essere, evidentemente, quella che ciascuna parte avrebbe dovuto dimostrare la fondatezza dei rispettivi assunti attesa la tipologia di contestazioni (tra cui quella di pretesa capitalizzazione illegittima degli interessi) mosse dalle COGNOME al debito asseritamente ‘riconosciuto’ nelle menzionate dichiarazioni del 7 febbraio 2001 indirizzate alla RAGIONE_SOCIALE; dall’altro, che, così avendo concretamente proceduto la corte di rinvio, nessuna violazione di qualsivoglia giudicato interno può realmente configurarsi in un siffatto modus operandi.
2.3. A differenti conclusioni, invece, deve giungersi con riguardo al diverso profilo della carenza di prova delle rispettive pretese delle parti -ritenuta dalla corte distrettuale sul presupposto della mancanza in atti dei contratti (iniziali) di conto corrente n. 2560 e n. 3895, e delle riscontrate lacune nelle produzioni relative agli estratti conto -e delle conseguenze totalmente negative da tanto fatte derivare sulle domande di queste ultime.
2.3.1. In proposito, rileva il Collegio che, con specifico riferimento alle conseguenze dell’omessa produzione del contratto di conto corrente, la recente Cass. n. 3310 del 2024 (alla cui motivazione, per la parte qui di interesse -pag. 14-15 -può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In senso del tutto analogo si vedano anche Cass. nn. 9213 e 12993 del 2023), riaffermato che deve ritenersi gravante sull’attore, che agisca per l’accertamento del corretto saldo di un conto corrente (e per la restituzione di quanto versato in forza di clausole comunque invalide), la prova dell’inesistenza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto, ancorché si tratti di prova di un fatto negativo, ha rimarcato che, « nelle azioni suddette, colui che agisce allega la dazione senza causa di una somma di danaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa, sicché può assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i
contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem -così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 cod. civ. per la prova testimoniale -operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo (cfr. Cass. n. 5880 del 2021; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 566 del 2001) ». Dovendo qui solo aggiungersi che, quanto alla prospettata corresponsione di anatocistici, varrebbe comunque la disciplina di cui all’art. 1283 cod. civ., come interpretato, in ambito di conto corrente bancario, dall’ormai consolidatasi giurisprudenza di legittimità.
2.3.2. Con riguardo, poi, al tema dei rispettivi oneri probatori in controversie che vedano contrapposte domande di pagamento del saldo di un conto corrente (formulata dalla banca) e di rideterminazione dello stesso al fine di espungerne poste illegittimamente ivi addebitate (generalmente proposta dal correntista o, in ragione degli obblighi nascenti dalla garanzia prestata, dal suo fideiussore), la recentissima Cass. n. 1763 del 2024 (alla cui ampia motivazione, per la parte qui di interesse, può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.) ha puntualizzato ( cfr ., in particolare i §§ 2.9, 2.9.2. 2.9.4. 2.9.5. e 2.9.6 delle ‘ Ragioni della decisione ‘) che, nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario: a ) « l’istituto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 cod. civ. »; b ) « Una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto,
l’accertamento del dare ed avere può attuarsi con l’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (cfr. Cass. n. 22290 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023). Questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Essi -come rimarcato dalla già menzionata Cass. n. 37800 del 2022 (e sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n. 10293 del 2023 e Cass. n. 22290 del 2023) -consentono di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, allora, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito: i) ben può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti da ultimo a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (come già opinato proprio dalla citata Cass. n. 13186 del 2020, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito), oppure, come sancito da altra recentissima pronuncia di questa Corte tuttora in corso di pubblicazione (resa nel giudizio n.r.g. 14776 del 2019), – -anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta
dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio (cartaceo o digitale); ii) parimenti, può attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ. »; c ) « È innegabile, peraltro, che malgrado la richiamata, vasta tipologia di documentazione utilizzabile per la integrale ricostruzione delle operazioni che si sono susseguite sul conto (spesso in un arco temporale anche molto ampio), non sia possibile addivenire a quel risultato, sicché, solo in tale ipotesi al giudice di merito sarà consentito utilizzare, dandone adeguata giustificazione, i metodi di calcolo che ritenga più idonei al raggiungimento comunque di un risultato che rispecchi quanto più possibile l’avvenuto effettivo sviluppo del rapporto tra le parti »; d ) « In quest’ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo della ripartizione dell’onere probatori o tra le parti sancito dall’art. 2697 cod. civ. »; e ) « se la banca agisca in giudizio per il pagamento dell’importo risultante a saldo passivo ed il correntista chieda, a sua volta, la rideterminazione del saldo, concludendo o per la condanna dell’istituto di credito a pagare in proprio favore o per l’accoglimento della domanda di quest’ultimo in misura inferiore rispetto a quella originariamente formulata, l’eventuale carenza di alcuni estratti conto o, comunque di altra documentazione che consenta l’integrale ricostruzione dell’andamento del rapporto, comporta che: i) per quanto riguarda la banca, il calcolo del dovuto potrà farsi: ia) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto (ricordandosi, in proposito, che la banca non può sottrarsi all’assolvimento di un tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Cfr. Cass. n. 13258 del 2017; Cass. n. 7972 del 2016; Cass. n. 19696 del 2014; Cass. n. 1842 del 2011; Cass. n.
23974 del 2010; Cass. n. 10692 del 2007), azzerando il saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest’ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e procedendo, poi, alla rideterminazione del saldo fiNOME utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura del conto (o alla data della domanda); i-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, azzerando i soli saldi intermedi: intendendosi, con tale espressione, che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell’ultimo estratto conto disponibile (la banca, cioè, perde solo quello che si sarebbe accumulato nel periodo non coperto dagli estratti conto mancanti, sicché il dato fiNOME risulterà abbattuto di quella somma); ii) per quanto riguarda, invece, il correntista che lamenti l’illegittimo addebito di importi non dovuti (per anatocismo, usura, pagamento di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, commissioni di massimo scoperto etc.) e ne chieda la restituzione, egli si trova, in realtà, in posizione praticamente analoga a quella della banca, atteso che il calcolo del dovuto potrà farsi tenendo conto che: iia) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto, egli o dimostra l’eventuale vantata esistenza di un saldo positivo in suo favore, o di un minore saldo negativo a suo carico (ma, in tal caso, la corrispondente documentazione vale per entrambe le parti, per il congegno di acquisizione processuale), o beneficia comunque dell’azzeramento del saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (o ve quest’ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e della successiva rideterminazione del saldo fiNOME avvenuta utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura (o alla data della domanda); ii-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, anche in tal caso, egli, se sostiene che in quei periodi si è accumulata una somma a suo credito o un minore importo a suo debito per effetto, ad esempio di anatocismo e/o usura e/o pagamento di interessi ultralegali non pattuiti e/o commissioni di massimo scoperto non concordate, lo deve
provare, producendo la corrispondente documentazione che, in tal caso, però, nuovamente sarà utilizzabile anche per la controparte, sempre per il congegno di acquisizione processuale. Altrimenti, beneficerà del meccanismo di azzeramento del/i saldo/i intermedio/i nel significato in precedenza chiarito, con l’evidente risultato che la banca, per quel/quei periodo/i, non ottiene niente ed il correntista, per lo stesso o gli stessi periodi, nulla recupera. Questi, cioè, è come se non ci fossero, posto che nessuno ha provato che cosa sia successo. Con la conseguenza che l’estratto conto immediatamente successivo, e tutti i successivi ancora, devono essere corretti ricollegando l’ultimo saldo disponibile al primo saldo in cui ricominciano ad essere presenti gli estratti conto ».
2.4. Fermo quanto precede, la motivazione dell’impugnata sentenza n. 1049/2019, resa dalla Corte di appello di Genova, quale giudice di rinvio designato da Cass. n. 20689/2016, si rivela non coerente con i principi suddetti laddove ha respinto l’impugnazione concernente l’avvenuto rigetto, in primo grado, della domanda riconvenzioNOME della banca, sicché l’odierna doglianza di quest’ultima deve essere accolta, affidandosi al giudice di rinvio il compito di procedere ad una nuova verifica, alla stregua, appunto, di quei principi, dell’entità dell’eventuale credito invocato dalla banca medesima (NOME COGNOME, nella indicata qualità, non ha ritenuto, invece, di proporre ricorso incidentale al fine di contestare il rigetto, con motivazione sostanzialmente analoga, anche delle proprie domande ed eccezioni).
Il secondo motivo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE, rubricato, « Violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. con riguardo alla mancata condanna alle spese nei confronti di RAGIONE_SOCIALE », contesta alla corte di rinvio l’avvenuta integrale compensazione delle spese di lite del precedente grado d’appello, del giudizio avanti la Corte di cassazione e del giudizio di rinvio, in ragione della reciproca soccombenza, anche con riferimento al rapporto processuale intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Si deduce che « La Corte di cassazione, infatti, ha rigettato il ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza n. 961/2011 pronunciata dalla
Corte d’Appello di Genova nel secondo grado di giudizio e ne ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. Nei confronti di RAGIONE_SOCIALE è, quindi, passata in giudicato la sentenza n. 961/2011 della Corte d’Appello di Genova, con le spese ivi liquidate in sede di dispositivo. Nel giudizio di rinvio, nonostante gli effetti della pronuncia della Corte di cassazione sopra ricordata, RAGIONE_SOCIALE ha depositato comparsa di risposta, rassegnando conclusioni a danno della RAGIONE_SOCIALE, ha presentato istanze istruttorie insistendo per la CTU contabile, ha presentato diverse istanze volte alla modifica ed all’integrazione dell’ordinanza istruttoria, insistendo nell’ordine di esibizione, ha presentato successive osservazioni alle CTU contabile, con richiesta di supplemento di indagine e ricorso ex art. 92 disp. att. c.p.c., ha depositato comparsa conclusioNOME e memoria di replica, determinando conseguentemente le giuste difese della RAGIONE_SOCIALE, che ha sempre eccepito l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 961/2011 della Corte d’Appello di Genova. Nell’ambito della sentenza nella presente sede gravata, la Corte d’Appello di Genova, dopo aver ricordato che la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio instaura un processo chiuso e dopo aver rilevato che nei confronti di RAGIONE_SOCIALE era oramai passata in giudicato la sentenza resa nel secondo grado di giudizio, ha dichiarato inammissibili ed insuscettibili di esame le domande dalla stessa formulate. Così stando le cose, non si vede come possa essere ravvisata una reciproca soccombenza nell’ambito del rapporto processuale intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ».
3.1. Questa doglianza deve considerarsi assorbita, posto che l’avvenuto accoglimento del motivo precedente ha determinato il venir meno, almeno allo stato, della reciproca soccombenza fondante la lamentata decisione di compensazione.
Passando al ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE, ne va pregiudizialmente affermata la tempestività, atteso che lo stesso è stato proposto nel controricorso della menzionata società spedito per la notifica alla ricorrente principale il 10 dicembre 2019, nel rispetto, dunque, sia del termine di cui all’art. 370, comma 1, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione
temporis , anteriore alle modifiche apportategli dal d.lgs. n. 149 del 2022), risultando ad essa notificato il ricorso principale il 5 dicembre 2019, sia del termine annuale di cui all’art. 327, comma 1, cod. proc. civ. (nel testo, qui utilizzabile ratione temporis , anteriore alla modifica apportatagli dalla legge n. 69 del 2009 ed applicabile ai soli giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore di quest’ultima, mentre quello odierno è iniziato, in primo grado, con la notifica della corrispondente citazione risalente al 2003), rapportato alla data di pubblicazione della sentenza impugnata (10 luglio 2019), avendo la menzionata controricorrente dichiarato di non aver ricevuto la notificazione di quest’ultima, ai sensi dell’art. 285 cod. proc. civ., eseguita, in data 8 ottobre 2019, solo nei confronti della banca ricorrente principale. In proposito, infatti, è utile ricordare che questa Corte ha già chiarito che, « In tema di impugnazioni, il principio secondo il quale, nel processo con pluralità di parti, vige la regola dell’unitarietà del termine dell’impugnazione (sicché la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola delle parti segna l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti), va interpretato nel senso che detto momento rileva per la decorrenza del termine breve per impugnare, nei confronti del notificante e delle altre parti del giudizio, solo per il notificante stesso e per la parte destinataria della notificazione, atteso che anche ciascuna delle altre parti ha diritto di ricevere la notifica della sentenza, che è condizione per far scattare il termine breve per l’impugnazione ».
5. Tanto premesso, il primo motivo di questo ricorso incidentale, rubricato « Vizio ex art. 360, n. 4), c.p.c. -Erronea declaratoria di giudicato -Violazione dell’art. 331 c.p.c. in materia di cause dipendenti, in relazione agli artt. 1936, 1939, 1941 e 1945 c.c. -Falsa applicazione degli artt. 1306 e 1944 c.c. », è volto a censurare l’affermazione della corte di rinvio secondo cui la precedente « sentenza di appello è passata in giudicato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, essendo stato respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dalla stessa proposto avverso il provvedimento della Corte di Appello. Pertanto, devono essere dichiarate inammissibili e non possono essere esaminate le domande dalla stessa formulata nel presente grado di
giudizio » ( cfr . pag. 6-7 della sentenza impugnata). Assume la menzionata società che la regola generale ex artt. 1306 e 1944 cod. civ. (alla quale, sebbene in assenza di specifiche argomentazioni in diritto, la menzionata corte si era chiaramente rifatta), per cui, tra debitore principale e fideiussore, il litisconsorzio è solo facoltativo, sicché le rispettive posizioni restano scindibili ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., « non si applica quando a) entrambi i soggetti siano di fatto attori e/o convenuti nel medesimo processo e b) il fideiussore muova contestazioni attinenti all’obbligazione principale o, comunque, su temi comuni al debitore principale, come gli consente di fare l’art. 1945 c.c.: in tale specifico caso, si rientra nell’ipotesi di causa inscindibile perché dipendente, prevista sempre dall’art. 331; e la posizione dipendente -sembra appena il caso di dirlo -è quella dell’obbligato in via accessoria ». Richiamati i principi sanciti da Cass. n. 16669 del 2012, la medesima società sostiene che, « nel caso di specie, il fideiussore ha appunto fatto valere temi comuni. Infatti -come riferisce la sentenza impugnata –NOME COGNOME ha ottenuto una cassazione con rinvio ‘relativamente al secondo motivo del ricorso in Cassazione nonché per i motivi dal sesto all’undicesimo’ (pag. 7), ossia sulla stessa possibilità di contestare l’obbligazione principale e su specifiche contestazioni volte ‘a provare la sussistenza di un minor credito della RAGIONE_SOCIALE‘, precisamente (cfr. pag. 11): 1. l a ‘avvenuta concessione di una ulteriore apertura di credito di lire 112.006.000 in favore della società attrice, idonea a modificare anche le posizioni delle garanti’; 2. l’indebita applicazione della ritenuta» giusta la legge Prodi «sul CCT da 118 milioni, in danno di RAGIONE_SOCIALE; 3. il tardivo accredito del saldo fiNOME del conto n. 2560 ‘sul conto corrente intestato alla RAGIONE_SOCIALE a seguito della vendita dei titoli dati in pegno da essi garanti”; 4. il ‘rifiuto del RAGIONE_SOCIALE di pagare ad esse garant i la rendita delie azioni bancarie in deposito, non vincolate a garanzia di alcun conto corrente’; 5. l’esecuzione indebita, a carico del conto n. 2560, ‘di un bonifico a terzi di lire 78.468.000 per il quale il RAGIONE_SOCIALE non aveva mai documentato l’ordine di pagamento impartito da esse correntiste’; 6. infine, ma non da ultimo, l’anatocismo su entrambi i conti. I punti 1) e 2), nonché il 6) quanto al conto n. 3895,
riguardano per definizione il debitore principale. E tanto basterebbe a escludere la sussistenza del giudicato in questione. Ma siccome il saldo fiNOME del conto n. 2560, come si è già spiegato illustrando l’iter processuale, per ordine delle garanti doveva essere (ed è stato) girato a ripianare proprio il debito principale, in concreto tutte le questioni che incidono sull’entità di tale saldo sono a loro volta temi comuni. Pertanto, la statuizione di giudicato è erronea e va cassata, dimodoché risultino ammissibili tutte le domande ed eccezioni svolte da RAGIONE_SOCIALE rispetto ai predetti temi comuni (oltre a quelle per cui si invoca l’applicazione dell’art. 336 c.p.c.: v. il secondo motivo). E visto che il ricorso avversario deve essere respinto, si chiede -per il caso di rigetto dei motivi che seguono e che riaprirebbero l’accertamento del quantum -che l’Ecc.ma Corte, cassando e decidendo nel merito, estenda alla debitrice principale l’azzeramento del saldo creditorio tuttora preteso ex adverso. Sal vo, anche in tal caso, il rinvio per l’esame delle domande risarcitorie, di cui in appresso ».
5.1. Una tale doglianza si rivela inammissibile, atteso che le domande e le eccezioni di RAGIONE_SOCIALE risultano, ormai, già respinte definitivamente perché i suoi ricorsi, principale ed incidentale, contro la sentenza della Corte di appello di Genova n. 961/2011, sono stati, rispettivamente, rigettato e dichiarato inammissibile dalla pronuncia rescindente resa da Cass. n. 20689 del 2016.
5.1.1. La stessa RAGIONE_SOCIALE, peraltro, ha anche partecipato al giudizio di rinvio successivo all’appena menzionata pronuncia , sicché è concretamente inconfigurabile qualsivoglia rilievo del tema della riconducibilità della odierna fattispecie di solidarietà a quella dell’art. 331 cod. proc. civ. piuttosto che dell’art. 332 del medesimo codice .
5.1.2. Parimenti irrilevante, inoltre, si rivela l’ approfondimento dell’ ulteriore tema -controverso in dottrina e nella giurisprudenza -concernente la possibilità, o non, per la ricorrente incidentale suddetta, malgrado la sua avvenuta partecipazione al corrispondente giudizio, di avvalersi, ex art. 1306 cod. civ., di eventuali effetti favorevoli in esso ottenuti dalla condebitrice solidale NOME: la menzionata controricorrente, infatti, non
ha svolto alcun ricorso incidentale contro il rigetto delle sue domande ed eccezioni rinvenibile nella decisione della corte di rinvio impugnata in questa sede.
6. Da quanto si è appena detto consegue, altresì, che tutti gli altri motivi del ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -così rispettivamente rubricati: II) « Vizio ex art. 360, n. 4. Erronea delimitazione del thema decidendum e omesso esame delle domande risarcitorie -Violazione dell’art. 336 §1 c.p.c. e violazione o falsa applicazione dell’art. 276 stesso codice »; III) « Ritenuta pregiudizialità dell’accertamento del saldo fiNOME rispetto alle domande risarcitorie (art. 276 c.p.c.) e/o esclusione delle singole operazioni illegittime come fonti di danno risarcibile (artt. 1218, 1842 e 1843 c.c.) e/o ritenuta necessità della serie completa di estratti conto e/o contratti anche per l’esame delle stesse (artt. 1832 c.c., 116 e 345 c.p.c. »; IV) « Commissioni di massimo scoperto e spese: violazione dell’art. 2697 c.c. e/o omesso esame di fatto controverso e decisivo »; V) « Omesso esame di fatti decisivi, ex art. 360, n. 5), in relazione alle risultanze della CTU e alle contestazioni delle parti »; VI) « Omesso esame degli ulteriori fatti controversi e decisivi di cui ai motivi 6, 7, 8, 9 e 11 del precedente ricorso in Cassazione di NOME COGNOME »; VII) « Sul rigetto delle istanze istruttorie -Violazione degli artt. 263 c.p.c., 119 TUB, 210 c.p.c. e 2711 c.c.», censurandosi l’avvenuto rigetto, confermato nella sentenza impugnata, delle istanze istruttorie delle parti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, che avrebbero potuto consentire di superare le lacune probatorie rimarcate nella medesima sentenza «essendo rivolte ad ottenere l’esibizione o comunque l’acquisizione di ulteriori documenti che sono o dovrebbero essere in possesso della controparte Istituto di credito »; VIII) « Comunque e in ogni caso: violazione dell’art. 2697 c.c. rispetto alla cd. ‘regola del saldo zero’, in relazione agli artt. 1218 e 1832 c.c., nonché all’art. 116 c.p.c. » -si rivelano inammissibili perché investono profili coperti dal giudicato già formatosi nei confronti della ricorrente incidentale suddetta e/o su cui sarebbe stato onere della COGNOME, su di essi rimasta concretamente soccombente in sede di rinvio proporre impugnazione incidentale in questa sede.
7. In definitiva, quindi, il ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE (avente causa, con effetti dall’1 gennaio 2017, del RAGIONE_SOCIALE) deve essere accolto limitatamente al suo primo motivo, dichiarandosene assorbito il secondo, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale promosso da RAGIONE_SOCIALE La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione al motivo di impugnazione qui accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
7.1. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE limitatamente al suo primo motivo, dichiarandone assorbito il secondo.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale promosso da RAGIONE_SOCIALE
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di impugnazione qui accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di RAGIONE_SOCIALE , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso incidentale, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile