Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18794 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18794 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’Avvo cato NOME COGNOME
Ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato COGNOME.
Controricorrente avverso la sentenza n. 480/2020 della Corte di appello di Palermo, depositata il 27.3.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20.6.2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
1.Con sentenza n. 480 del 27.3.2020, la Corte di appello di Palermo confermò la decisione di primo grado, che aveva respinto l’opposizione proposta da COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo emesso nel 2014 che le intimava di pagare a COGNOME NOME la somma di euro 20.569,69, pretesa d a quest’ultima a titolo di rimborso delle somme versate al fine di
ottenere dal comune di Palermo la concessione in sanatoria dell’immobile da lei acquistato con contratto di compravendita del 29.9.2006, che la venditrice aveva, in contratto, espressamente assunto a suo carico.
La Corte di appello motivò la decisione affermando che: nel contratto di compravendita COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME quale parte venditrice, si era impegnata espressamente a pagare tutte le somme dovute, anche dopo la vendita, per l’esito positivo della pratica di sanatoria edilizia in corso; l’acquirente COGNOME aveva provato di avere sopportato gli esborsi di cui chiedeva il rimborso, versati per l’ oblazione, gli oneri concessori e l’onorario corrisposto all’arch . NOME COGNOME che aveva elaborato gli ulteriori progetti per il completamento della pratica; le risultanze di causa avevano smentito la difesa della appellante, secondo cui i suddetti esborsi erano stati affrontati per sanare opere abusive successive alla vendita ed eseguite di sua iniziativa dalla COGNOME, in particolare la trasformazione del sottotetto in spazi abitativi; la versione della opponente risultava contraddetta dalla documentazione prodotta, da cui emergeva che il comune di Palermo aveva riferito le somme richieste e pagate dalla COGNOME all ‘ istanza presentata dalla COGNOME il 21.4.1995, prot. 4238/S; risultava, inoltre, che, nel 2004, cioè prima della vendita, l’arch. COGNOME, inquilino all’epoca dell’immobile, aveva denunciato al comune la presenza in esso di opere abusive, descrivendole in dettaglio, compresa anche la trasformazione del sottotetto; l ‘ appellante non aveva fornito prova contraria, anche considerato che la documentazione dalla stessa allegata, tra cui in particolare una perizia tecnica, non risultava prodotta in causa, né in forma cartacea né in via telematica; l’eccezione svolta dall’appellante , secondo cui la COGNOME avrebbe pagato un debito ormai prescritto, era infondata, decorrendo il termine di prescrizione dal momento in cui il privato produce tutta la documentazione relativa alla pratica di sanatoria, potendo solo da tale momento il comune calcolare le somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, tenuto conto che la pratica di sanatoria, al momento della vendita, non era completa, avendo la COGNOME depositato, dopo il sollecito del comune, gli elaborati tecnici completi nel 2014.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 14.12.2020, ha proposto ricorso COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME affidato a cinque motivi.
COGNOME NOME ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza e del procedimento per grave violazione del principio del giusto processo (artt. 111 Cost. e 101 c.p.c.) e del diritto di difesa (art.24 cost.), lamentando che la Corte di appello abbia deciso la causa senza esaminare la perizia di parte e l’ulteriore documentazione depositata dalla appellante, perché non rinvenuta in atti, così decidendo la controversia sulla base dei soli documenti prodotti dalla controparte. Assume in contrario la ricorrente che tali documenti erano stati depositati fin dal giudizio di primo grado e che il giudicante, constatane la mancanza, avrebbe dovuto disporre ricerche per il rinvenimento del fascicolo ovvero, in caso di esito negativo, invitare la parte appellante alla sua ricostruzione.
3. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha precisato di non poter esaminare la produzione di parte appellante e, quindi, la perizia tecnica da essa richiamata nei propri scritti difensivi, non rinvenendo tali documenti tra gli atti di causa.
L’affermazione è solo genericamente contestata dal ricorso, attraverso la deduzione di avere prodotto la suddetta documentazione fin dal giudizio di primo grado e che il suo mancato reperimento, al momento della decisione sull’appello , era conseguentemente dovuta al suo smarrimento da parte della Cancelleria. La ricorrente aggiunge che ‘ I riscontri pervenuti alla scrivente difesa al Tribunale di Palermo e alla Corte di appello di Palermo hanno evidenziato che né la Corte territoriale né il Tribunale di Palermo sarebbero nel possesso del fascicolo della parte odierna ricorrente, già opponente in primo grado ed appellante nel secondo (doc.1) ‘.
La censura è generica dal momento che la ricorrente non deduce di avere prodotto il proprio fascicolo di primo grado nel giudizio di appello, né precisa quando ciò sarebbe avvenuto. Tale produzione, in ogni caso, non risulta dalla
documentazione depositata dalla ricorrente davanti a questa Corte. Dalle annotazioni telematiche contenute nel documento denominato ‘INDICE STORICO PROCEDIMENTI 17682017’ redatto da lla Cancelleria della Corte di appello, relative alle attività ed agli adempimenti compiuti dalle parti e dall’Ufficio nel procedimento di secondo grado, non è presente, infatti, alcuna menzione de ll’avvenuto deposito, da parte della appellante, del proprio fascicolo di primo grado. Tale fascicolo non risulta in particolare depositato al momento della iscrizione a ruolo dell’atto di appello né successivamente. Risulta, inoltre, dalla comunicazione della Cancelleria del tribunale di Palermo in data 26.10.2020, prodotta anch’essa con il ricorso (doc. 1), che, dopo il deposito della sentenza di primo grado, in data 24.1.2017, il successivo ‘ 30/1/2017 è stata ritirata la produzione dell’Avv. COGNOME.
Il mancato riscontro documentale del deposito del fascicolo di parte dinanzi al giudice di appello impedisce, pertanto, di ravvisare nella decisione impugnata alcuna violazione della legge processuale, gravando sulle parti l’onere di depositare il proprio fascicolo nel giudizio di secondo grado. Si è affermato, in proposito, che, in applicazione del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento, al momento della decisione, del fascicolo di parte o di documenti in esso contenuti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti, con la conseguenza che è onere della parte dedurre quella incolpevole mancanza, ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso, e che il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l’involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione (Cass. n. 6645 del 2024; Cass. n. 10224 del 2017; Cass. n. 13218 del 2016).
4. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere deciso la causa senza esaminare la perizia di parte redatta dall’arch. COGNOME ed i
documenti con essa allegati, nonché il contratto preliminare e quello definitivo di compravendita, da cui risultava che la pratica di sanatoria pendente al momento della vendita aveva ad oggetto solo ed esclusivamente le pregresse opere di frazionamento dell’originaria unità immobiliare e quindi non concerneva le opere di recupero del sottotetto, oggetto solo successivamente del procedimento di sanatoria edilizia. Ciò era confermato dalla perizia tecnica prodotta, che indicava chiaramente l’esistenza di una pratica di condono nuova e diversa da quella menzionata nel rogito di compravendita.
Il motivo, per la parte che rimane non assorbita dal rigetto del precedente, è inammissibile.
In primo luogo perché le censure sollevate non si correlano ai profili che, in tema di prove, gli artt. 115 e 116 c.p.c. consentono di sottoporre al controllo di legittimità affidato a questa Corte. E’ noto , infatti, che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. è deducibile solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. un. n. 20867 del 2020).
Sotto altro aspetto il motivo è inammissibile perché si risolve nella censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che la ricorrente ritiene desumibili dal contratto preliminare e dal contratto definitivo di compravendita. Il vizio
dedotto è però improponibile, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., applicabile ratione temporis essendo stato il giudizio di appello introdotto nel 2017, che non consente la proposizione del ricorso per cassazione per il motivo di cui alll’art.360, comma 1 n. 5, c.p.c. nel caso in cui la sentenza di appello sia conforme a quella di primo grado (c.d. doppia conforme).
6. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente affermato che incombeva alla opponente dare la prova di non avere eseguito alcuna opera di recupero del sottotetto prima de lla vendita dell’immobile, laddove l’onere della prova spettava alla parte opposta, quale attrice in senso sostanziale, che era tenuta a dare dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa creditoria vantata in giudizio. La sentenza ha inoltre colpevolmente ignorato che tale prova era stata fornita alla luce della perizia tecnica dell’arch. COGNOME e risultava sia dal preliminare che dal contratto definitivo di vendita.
7. Il mezzo è infondato.
Dalla lettura della decisione emerge chiaramente che la Corte di appello non ha fondato il suo convincimento sulla base del mero mancato assolvimento da parte della opponente dell’ onere della prova, ma ha ritenuto che la parte opposta avesse fornito la prova diretta, attraverso la documentazione prodotta, che la pratica edilizia da lei conclusa concerneva le irregolarità urbanistiche presenti nel bene al momento del suo acquisto e non opere abusive successive. A tal fine ha sottolineato che la richiesta del comune di ulteriori esborsi, oggetto della domanda di rimborso, era riferita alla istanza presentata dalla Perrier il 1.4.1995, prot. n. 4238/S, e che i lavori riguardanti il sottotetto non potevano essere successivi all’acquisto della Borsellino, avvenuto nel 2006, risultando descritti dalla denunzia presentata dall’arch. COGNOME al comune nel 2004, ove tra le opere abusive è indicata ‘ la trasformazione dei locali sottotetto posti al di sopra dell’appartamento in spazi abitabili ‘. La Corte ha pertanto deciso la causa in ragione della prova diretta che la pratica edilizia pendente al momento dell’acquisto da parte della COGNOME aveva ad oggetto anche le mod ifiche apportate al sottotetto, respingendo così la contestazione della odierna ricorrente, secondo cui tali opere erano state eseguite successivamente dalla
acquirente e di, conseguenza, non era da lei dovuto alcun rimborso per i costi della sanatoria. Il rilievo che la parte non avesse dato prova della sua contestazione rappresenta solo una corretta precisazione in ordine alla mancanza di prova contraria ai fatti allegati dalla controparte e ritenuti provati. 8. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 39 legge n. 724 del 1994, 35 legge n.47 del 1985 e 26 legge Regione Sicilia n. 37 del 1985, censurando la decisione per avere escluso che l’originaria domanda di condono edilizio potesse ritenersi definita con esito positivo in forza del maturato silenzio assenso da parte dell’Amministrazione, con conseguente prescrizione ed inesigibilità di ogni eventuale somma a conguaglio. La Corte ha ignorato che la venditrice, nel 1995 , aveva presentato l’istanza di sanatoria producendo tutta la documentazione tecnica necessaria e la ricevuta di pagamento della somma di lire 5.000.000 per oneri concessori ed oblazione, sicché si era perfezionata la fattispecie del silenzio assenzo. La stessa acquirente, nel rogito di compravendita, aveva dato atto, tramite il proprio tecnico di fiducia, della regolarità della domanda di sanatoria e dei relativi pagamenti. Il diritto del comune di esigere ulteriori pagamenti, al momento della concessione in sanatoria (6.8.2014), era pertanto prescritto ed i conguagli non dovuti. D’altra parte la venditrice si era fatta carico di tutte le spese successive dovute in dipendenza della domanda di sanatoria , non di quelle non esigibili perché estinte.
9. Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha ritenuto infondata l’eccezione sollevata dall’ opponente sul rilievo, non oggetto di censura, che il diritto del comune al versamento di ulteriori somme per oneri ed altro potesse sorgere solo dopo che tutta la documentazione necessaria per l’esame della pratica fosse stata prodotta , potendo solo in tale momento l’Amministrazione calcolare il dovuto. Ha aggiunto che nel caso di specie risultava che la COGNOME aveva dovuto produrre, su sollecito del comune, ulteriori elaborati tecnici, provvedendo al loro deposito nel 2014. Ha q uindi richiamato l’art. 35, comma 18, legge n. 47 del 1985, che condiziona la formazione del silenzio assenso sulla richiesta di condono non solo al pagamento del dovuto ma anche alla presentazione all’ufficio tecnico erariale
della documentazione necessaria per l’accatastamento, facendo decorrere la prescrizione dal decorso del termine di 24 mesi dal formarsi del provvedimento positivo in virtù del silenzio assenso.
Il motivo è inammissibile in quanto muove da un presupposto di fatto diverso, che vale a dire, risultando la documentazione prodotta al momento dell’istanza completa, concernendo essa il solo frazionamento dell’immobile, che la fattispecie del silenzio assenso si sarebbe formata in data anteriore, con conseguente maturarsi della prescrizione sui conguagli. Si tratta, però, di una ricostruzione dei fatti che non è stata accolta dalla Corte di appello, che ha invece accertato che la documentazione originaria non era sufficiente e che il comune ne aveva chiesto l’integrazione con nuovi elaborati tecnici. La denuncia di violazione di legge è pertanto inammissibile, perché alimentata da una ricostruzione dei fatti alternativa a quella fatta propria dalla sentenza impugnata, denunciando così non tanto un errore di diritto quanto proprio l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito.
10. Il quinto motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla diversità dell’oggetto della pratica di condono richiesta dalla esponente, come risultante dalla perizia in atti e dallo stesso contratto di vendita, rispetto a quella per la quale la controparte aveva chiesto il rimborso delle spese.
Il motivo altresì contesta la rilevanza probatoria attribuita dalla Corte di appello alla denuncia fatta al comune dall’arch. COGNOME che era un inquilino moroso dell’immobile in questione, ispirata da mera avversione verso la proprietaria. L’ inattendibilità della menzionata denunzia era altresì comprovata dal fatto che, nel preliminare di compravendita, la consistenza dell’immobile era descritta indicando i sottotetti di remota fattura e non agibili e/o abitabili.
Sotto altro profilo, la Corte ha omesso di considerare le comunicazioni intercorse tra la COGNOME ed i pubblici uffici, che avevano portato ad una lievitazione del conguaglio di ben quattro volte, documentazione che avrebbe dovuto acquisire anche d’uffic i o richiedendo al comune l’incartamento della pratica edilizia ovvero incaricando degli opportuni accertamenti un consulente tecnico.
Né, infine, è stata valutata la circostanza che la richiesta della controparte era pervenuta alla odierna ricorrente a sei anni di distanza dall’atto di vendita e che alcuni dirigenti degli uffici comunali erano stati sottoposti a indagine penale.
Il motivo è inammissibile ai sensi del richiamato art. 348 ter, comma 5, c.p.c. e alla luce della considerazione che le censure sollevate investono accertamenti di fatto, riservati dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito e non sindacabili, in quanto tali, nel giudizio di legittimità.
Va infine dato atto dell’inammissibilità del motivo che ha eccepito la nullità del giudizio per mancato espletamento del procedimento di mediazione, risultando sollevato solo con la memoria ex art. 378 c.p.c. che, per la sua natura e funzione meramente illustrativa, non può contenere motivi aggiunti.
13. Il ricorso è pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2025.