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Onere della prova: chi paga il lavoro supplementare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza 6894/2024, ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova nelle cause per lavoro supplementare. Una lavoratrice part-time ha dimostrato di aver svolto ore aggiuntive; la Corte ha stabilito che, una volta provata la prestazione, spetta al datore di lavoro dimostrare di averla retribuita. Non riuscendo a fornire tale prova, l’azienda è stata condannata al pagamento delle differenze retributive. Il ricorso del datore di lavoro è stato rigettato, consolidando il principio che l’onere della prova del pagamento incombe su di esso.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova nel Lavoro Supplementare: Chi Deve Dimostrare Cosa?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nel diritto del lavoro, relativo alla ripartizione dell’onere della prova in caso di richiesta di pagamento per lavoro supplementare. La decisione chiarisce che, una volta che il lavoratore ha dimostrato di aver effettuato ore di lavoro extra rispetto a quelle previste dal suo contratto part-time, spetta al datore di lavoro provare di averle regolarmente retribuite. Analizziamo insieme questo caso per capirne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Dalla Richiesta al Ricorso in Cassazione

Una segretaria, assunta con un contratto di lavoro part-time di quattro ore al giorno, ha citato in giudizio il suo ex datore di lavoro, un avvocato, sostenendo di aver sistematicamente lavorato anche di pomeriggio per un lungo periodo, svolgendo quindi lavoro supplementare mai retribuito. La lavoratrice chiedeva il pagamento di una cospicua somma a titolo di differenze retributive, mensilità aggiuntive, ferie non godute e trattamento di fine rapporto.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente respinto la sua domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo integralmente le richieste della lavoratrice. Secondo i giudici di secondo grado, le testimonianze raccolte confermavano in modo inequivocabile che la dipendente aveva prestato la sua attività lavorativa anche nelle ore pomeridiane. A questo punto, l’onere della prova si era spostato sul datore di lavoro, che avrebbe dovuto dimostrare di aver corrisposto la dovuta retribuzione per tali ore extra, prova che non è stata fornita. Insoddisfatto, il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, confermando la sentenza d’appello. I motivi del ricorso, basati su presunte violazioni procedurali e vizi di motivazione, sono stati ritenuti inammissibili o infondati.

In particolare, la Corte ha sottolineato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti e le prove, come le testimonianze. Il ruolo della Cassazione è limitato al controllo della corretta applicazione delle norme di diritto e alla verifica che la motivazione della sentenza impugnata non sia meramente apparente, contraddittoria o incomprensibile.

Il punto cruciale della decisione risiede proprio nella corretta applicazione del principio sull’onere della prova (art. 2697 c.c.):
1. Il lavoratore ha l’onere di provare di aver eseguito la prestazione lavorativa, incluse le ore supplementari.
2. Il datore di lavoro, una volta che la prestazione è stata provata, ha l’onere di dimostrare di aver adempiuto al suo obbligo di pagamento.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la lavoratrice avesse assolto al suo onere attraverso le prove testimoniali, e che, di conseguenza, la mancata prova del pagamento da parte del datore di lavoro comportasse la sua condanna.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi consolidati. I giudici hanno chiarito che le censure mosse dal ricorrente riguardo alla valutazione delle prove e alla presunta illogicità della motivazione non rientrano nei limiti del giudizio di legittimità, specialmente dopo la riforma del 2012. Questa riforma ha ristretto la possibilità di contestare la motivazione di una sentenza in Cassazione al solo caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il ricorrente, invece, chiedeva una rivalutazione delle testimonianze e delle dichiarazioni, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione. La motivazione della Corte d’Appello, secondo la Cassazione, era chiara, articolata e logicamente coerente, avendo spiegato perché le prove a sostegno della lavoratrice fossero state ritenute più convincenti. Pertanto, non sussisteva alcun vizio di motivazione apparente o contraddittorio che potesse giustificare l’annullamento della sentenza.

Conclusioni

Questa sentenza offre importanti indicazioni pratiche sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Per i lavoratori, sottolinea l’importanza di raccogliere prove (documentali o testimoniali) che possano attestare lo svolgimento di ore di lavoro supplementare. Per i datori di lavoro, emerge con forza la necessità di mantenere una documentazione contabile impeccabile e di conservare le prove di ogni pagamento effettuato (come buste paga firmate o tracciati di bonifico). In un contenzioso, non basta negare il mancato pagamento: è indispensabile poterlo dimostrare. L’onere della prova del pagamento, una volta dimostrata la prestazione, grava inesorabilmente sulla parte datoriale.

In una causa per lavoro supplementare, chi deve provare cosa?
Il lavoratore deve provare di aver svolto le ore di lavoro supplementare. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul datore di lavoro, che deve dimostrare di averle regolarmente pagate.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove testimoniali fatta dal giudice d’appello?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove, come le testimonianze. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza, non di effettuare una nuova valutazione dei fatti.

Cosa succede se il datore di lavoro non riesce a dimostrare di aver pagato il lavoro supplementare?
Se il lavoratore ha provato di aver svolto il lavoro supplementare e il datore di lavoro non riesce a dimostrare di averlo pagato, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle relative differenze retributive, oltre agli accessori di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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