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Onere della prova: chi paga i danni da trasferimento?

Un dipendente pubblico, trasferito illegittimamente, chiede il risarcimento dei costi di viaggio sostenuti con la propria auto. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18903/2025, stabilisce che spetta al datore di lavoro l’onere della prova di dimostrare che il lavoratore avrebbe potuto mitigare il danno utilizzando mezzi alternativi, come i trasporti pubblici. La Corte ribalta la decisione di merito che aveva posto tale onere a carico del dipendente.

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Onere della Prova nel Trasferimento Illegittimo: Chi Paga i Danni?

Quando un lavoratore subisce un trasferimento illegittimo, le conseguenze economiche possono essere significative, specialmente se la nuova sede di lavoro è molto distante. Ma chi deve coprire i costi extra, come le spese di viaggio? E, soprattutto, a chi spetta l’onere della prova riguardo alla possibilità di ridurre tali costi? L’ordinanza n. 18903/2025 della Corte di Cassazione offre un chiarimento cruciale su questo punto, ribaltando un orientamento che spesso penalizzava il dipendente.

I fatti del caso: Un trasferimento illegittimo e le sue conseguenze

Un coordinatore ostetrico di un’azienda sanitaria pubblica veniva trasferito in una nuova sede di lavoro a circa cinquanta chilometri dalla sua residenza. La sede precedente, invece, era a pochi chilometri da casa. Dopo anni, il trasferimento veniva dichiarato illegittimo con una sentenza passata in giudicato.

Il lavoratore, che per oltre sette anni aveva dovuto utilizzare la propria auto per recarsi al lavoro, agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti, chiedendo il rimborso delle spese chilometriche e il pagamento del maggior tempo di viaggio, quantificato in circa due ore e mezza al giorno.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello respingevano le richieste del lavoratore. In particolare, la Corte territoriale, pur ammettendo in astratto la risarcibilità delle spese di viaggio, riteneva che il dipendente non avesse adempiuto al proprio dovere di mitigare il danno, come previsto dall’art. 1227, secondo comma, del codice civile. Secondo i giudici, il lavoratore non aveva fornito la prova dell’impossibilità o dell’eccessiva difficoltà di utilizzare i mezzi pubblici, non solo dalla sua piccola città di residenza, ma anche da comuni limitrofi più grandi. In sostanza, l’onere della prova veniva interamente posto a carico del dipendente danneggiato.

Onere della prova: La svolta della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha completamente ribaltato questa impostazione. Accogliendo il ricorso del lavoratore sul punto delle spese di viaggio, ha affermato un principio fondamentale: in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, la prova che quest’ultimo avrebbe potuto evitare i danni usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante.

In altre parole, non spettava al lavoratore dimostrare l’assenza di alternative praticabili, ma era l’azienda sanitaria a dover provare che esistevano soluzioni di trasporto pubblico efficienti e non eccessivamente gravose che il dipendente avrebbe potuto utilizzare. La Corte d’Appello, invertendo l’onere della prova, ha violato la legge. Per questo motivo, la sentenza è stata cassata con rinvio, e la Corte d’Appello dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo principio.

La questione del tempo di viaggio come orario di lavoro

Diversa è stata la sorte della seconda domanda del lavoratore, quella relativa al pagamento del tempo di viaggio come orario di lavoro. Su questo punto, la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito. Il tempo di trasferimento dalla residenza alla sede di lavoro non può essere qualificato come tempo di lavoro retribuibile, ai sensi della normativa vigente (art. 8 d.lgs. 66/2003). Di conseguenza, una volta esclusa tale qualificazione, viene meno anche la possibilità di fondare su di esso una richiesta di risarcimento del danno, a meno che non vengano allegate e provate specifiche lesioni alla sfera giuridica del lavoratore, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Le motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si articola su due binari distinti.

Sul primo motivo, relativo alle spese di viaggio, i giudici hanno richiamato la consolidata giurisprudenza secondo cui l’art. 1227 c.c. pone a carico del danneggiante l’onere di provare il fatto colposo del creditore che avrebbe aggravato o non mitigato il danno. Il comportamento esigibile dal danneggiato, infatti, deve rientrare nell’ordinaria diligenza e non può comportare attività gravose o eccezionali. La Corte d’Appello ha errato nel pretendere che il lavoratore dimostrasse l’inutilizzabilità dei mezzi pubblici da vari comuni, imponendogli un onere probatorio eccessivo e non previsto dalla norma.

Sul secondo motivo, relativo al tempo di viaggio, la Corte ha ritenuto la decisione d’appello corretta e adeguatamente motivata. La netta distinzione tra tempo di viaggio e orario di lavoro esclude in radice la pretesa retributiva. Anche la richiesta risarcitoria alternativa è stata considerata infondata, poiché la decisione di escludere la natura lavorativa del tempo di viaggio comportava un rigetto implicito di qualsiasi pretesa di indennizzo basata su di esso, in assenza di allegazioni specifiche su altri tipi di danno (es. danno alla salute).

Le conclusioni

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza la posizione del lavoratore che subisce un danno a seguito di un comportamento illegittimo del datore di lavoro. Non è il dipendente a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per limitare il danno, ma è il datore di lavoro a dover provare che esistevano alternative concrete e non eccessivamente onerose. In secondo luogo, conferma la rigida distinzione tra il tempo necessario per recarsi al lavoro e l’orario di lavoro effettivo, chiudendo la porta a richieste retributive o risarcitorie generiche basate sulla durata degli spostamenti casa-lavoro.

In caso di trasferimento illegittimo, chi deve provare che il dipendente avrebbe potuto usare i mezzi pubblici per ridurre i costi?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta al datore di lavoro (il danneggiante). È quest’ultimo che deve dimostrare che il lavoratore, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare o ridurre il danno, ad esempio utilizzando un servizio di trasporto pubblico efficiente e non eccessivamente gravoso.

Il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro è considerato orario di lavoro retribuito?
No. La Corte ha confermato che il tempo di trasferimento dalla residenza del lavoratore alla sede di lavoro non rientra nella nozione di orario di lavoro e, pertanto, non deve essere retribuito come tale.

Cosa significa che il datore di lavoro ha l’onere della prova sulla mitigazione del danno?
Significa che se il datore di lavoro vuole essere esonerato, in tutto o in parte, dal risarcire il danno (in questo caso, le spese di viaggio), deve fornire in giudizio la prova concreta che il dipendente aveva a disposizione alternative praticabili e non eccessivamente onerose per ridurre i propri costi, e che colpevolmente non le ha utilizzate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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