Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8473 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8473 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/03/2025
OGGETTO:
successione
ereditaria
RG. 25644/2019
C.C. 12-3-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25644/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso NOME COGNOME
dall’avv.
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1242/2019 della Corte d’ appello di Firenze, depositata il 21-5-2019,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12-32025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 1242/2019 depositata il 21-5-2019 la Corte d’appello di Firenze ha integralmente rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME alla sentenza n. 2596/2018 depositata il 3-10-2018 con la quale il Tribunale di Firenze aveva rigettato le domande dell’attrice NOME COGNOME e aveva accolto le domande riconvenzionali di NOME COGNOME
condannando l’attrice a restituirgli un armadio dipinto e un quadro su tela, nonché a pagargli Euro 21.545,00, oltre accessori e spese legali.
La sentenza ha rigettato l’eccezione di improcedibilità per violazione del termine per la mediazione, sia in quanto sollevata in primo grado oltre l’udienza fissata per la prosecuzione del processo, in violazione dell’art. 5 co. 1 d.lgs. 28/2010, sia perché infondata nel merito in ragione della natura ordinatoria del termine di quindici giorni, nella specie neppure assegnato nel verbale di udienza del 16-1-2014; ha aggiunto che il ritardo era stato contenuto e non aveva impedito o ritardato la successiva udienza, per cui si doveva fare applicazione dell’art. 156 co. 3 cod. proc. civ. con conservazione degli atti processuali.
La sentenza ha dichiarato che la domanda riconvenzionale di restituzione di quanto contenuto nella cassetta di sicurezza era stata fondata sull’esistenza di un appunto con la descrizione dei beni di NOME COGNOME e con l’annotazione a margine dei valori asseverati in sede di apertura della cassetta dalla stessa NOME COGNOME ha rilevato che tali circostanze non erano mai state contestate o contraddette nel corso del giudizio di primo grado, nel quale l’appellante si era sempre limitata a dedurre la sua proprietà su tutto quanto contenuto nella cassetta di sicurezza, pacificamente in origine in comproprietà tra la defunta e il suo convivente, che ne aveva piena disponibilità; perciò ha dichiarato che la sentenza di primo grado aveva operato una corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in quanto il fatto che l’eredità fosse stata attribuita a NOME COGNOME non comportava una presunzione di proprietà di tutti i beni contenuti nella cassetta di sicurezza, attese le contestazioni e allegazioni di NOME COGNOME Ha aggiunto che anche sull’armadio e sul quadro rivendicati come propri dal convenuto non risultava contestazione specifica dall’appellante e che per le spese di inumazione e IMU, pacificamente a carico dell’erede, l’appellato aveva
prodotto la relativa documentazione. In ordine alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione dell’immobile compreso nell’ere dità, ha dichiarato che era stato provato da tutti i testimoni escussi, anche dal teste indicato dall’appellante, che NOME COGNOME abitava more uxorio con la defunta nel suo appartamento al momento della morte e quindi era ragionevole il ritardo di circa quattro mesi per il rilascio, consentito in alcune missive della stessa COGNOME, per la necessità di NOME COGNOME di organizzarsi e recuperare il suo appartamento. Infine, ha dichiarato che erano inammissibili le prove per testi sui beni mobili e il vestiario genericamente descritti e quindi non identificabili e non rinvenuti.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 12-3-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è rubricato ‘ richiesta di pronuncia, (in relazione alle sentenze difformi e contraddittorie del Tribunale di Firenze), se ai sensi dell’art. 5 II comma del D.LGS. n. 2010 D.LGS, e segg. (rectius d.lgs. 28/2010) in tema di mediazione delegata o disposta dal Giudice il termine per iniziare la mediazione disposta dal Giudice, in mancanza di richiesta dalle parti di proroga ex lege, debba essere considerato termine perentorio con la conseguenza dell’improcedibilità d elle domande o debba essere considerato termine ordinatori o’. La ricorrente dichiara di non optare per alcuna delle due soluzioni, ma di richiedere una pronuncia sul punto ‘di interesse
nazionale data la molteplicità delle sentenze contraddittorie fondate sulle seguenti motivazioni’, che di seguito trascrive.
1.1.Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
La ricorrente, proponendo il motivo nei termini esposti, non censura la sentenza impugnata che ha rigettato la sua eccezione di improcedibilità della domanda per tardiva instaurazione del procedimento di mediazione e quindi dimostra di non avere interesse alla pronuncia richiesta. Infatti, anche con riguardo al ricorso per cassazione vale il principio secondo il quale l’interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire un risultato pratico favorevole (Cass. Sez. 2 19-7-2023 n. 21230 Rv. 668484-01, Cass. Sez. 3 8-62017 n. 14279 Rv. 644642-01, Cass. Sez. 5 27-5-2011 n. 11731 Rv. 618101-01).
2.Il secondo motivo è rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 588 cod. civ. per la ragione che la ricorrente nominata erede universale nel testamento senza legato di NOME COGNOME è stata nella sentenza impugnata privata di oggetti preziosi di sua pertinenza’; la ricorrente evidenzia che, in forza del testamento con il quale NOME COGNOME era stata unica nominata erede universale, alla morte della testatrice tutti i beni erano divenuti di proprietà della stessa COGNOME e null’altro aggiunge.
2.1.Il motivo è inammissibile, perché non individua nella sentenza impugnata una qualche violazione o erronea applicazione dell’art. 588 cod. civ., che sarebbe sussistente se la sentenza avesse negato il diritto dell’unico erede sui beni ereditari. La sentenza impugnata ha rigettato l’appello e le domande dell’erede esclusivamente in base all’assunto che l’erede non avesse dimostrato che i beni oggetto della sua domanda fossero compresi nell’eredità di NOME COGNOME. Quindi, si rimane eventualmente ne ll’amb ito di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, che in quanto tale è estranea al vizio ex art. 360
co. 1 n. 3 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 1 5-2-2019 n. 3340 Rv. 65254902, Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-03).
3.Il terzo motivo è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. per la mancanza totale e assoluta della prova sull’an e sul quantum che i predetti oggetti preziosi fossero di proprietà di NOME COGNOME (art. 360 n. 3) ‘ e con esso la ricorrente evidenzia che il convenuto, né erede né legatario, poiché aveva invocato la proprietà sugli oggetti contenuti nella cassetta di sicurezza di NOME COGNOME, ne doveva fornire la prova. Rileva che il convenuto non aveva fornito alcuna prova, ma aveva soltanto prodotto una scrittura non sottoscritta, contenente un elenco di beni preziosi da rinvenire nella cassetta di sicurezza, da lui stesso redatto, con a margine dei numeri indicanti il valore assegnato ai beni dal funzionario dell’agenzia delle entrate al momento del ritrovamento di tali beni e annotato sul foglio da NOME COGNOME lamenta che la sentenza di primo grado, confermata da quella di appello, abbia ritenuto la prova della proprietà degli oggetti in capo ad NOME COGNOME sulla base di quel dato; dichiara che non sia dato capire l’affermazione della mancata contestazione, in quanto NOME COGNOME aveva rivendicato il suo diritto di proprietà sui beni rinvenuti nella cassetta di sicurezza, che provenivano alla de cuius NOME COGNOME da eredità del padre, della nonna e delle zie o erano stati da lei acquistati o a lei donati, mentre la cointestazione della cassetta tra COGNOME e COGNOME era iniziata nel 1989 e cessata già nel 1991, per cui i beni rimasti nella cassetta erano quelli di proprietà della de cuis; quindi dichiara che non vi era stata una mancata contestazione della domanda riconvenzionale, della quale era stato chiesto il rigetto sia in primo che in secondo grado.
3.1.Il motivo, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, è ammissibile, in quanto individua in modo sufficientemente specifico e chiaro i vizi attribuiti alla sentenza impugnata; il motivo, seppure nell’intitolazione denunci soltanto la
violazione dell’art. 2697 cod. civ., con le argomentazioni svolte riesce a fare emergere anche la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e risulta fondato in primo luogo sotto questo profilo.
La sentenza impugnata (punto 2.2.1) ha rigettato il motivo di appello con il quale NOME COGNOME si lamentava dell’accoglimento della domanda riconvenzionale di restituzione degli oggetti rinvenuti nella cassetta di sicurezza sulla base dell’assunto che la s entenza di primo grado era ‘corretta in applicazione dell’art. 115 c.p.c.’; seppure abbia dato atto che in tutto il processo di primo grado l’attrice aveva dedotto di essere proprietaria, in quanto erede, di tutto quanto contenuto nella cassetta di sicurezza intestata alla defunta e in origine in comproprietà con il suo convivente, ha rilevato che l’attrice non aveva contestato quanto dichiarato dal convenuto in ordine all’esistenza di un appunto con la descrizione di NOME COGNOME e con l’annotazione a margine dei valori , asseverati in sede di apertura della cassetta di sicurezza dalla stessa COGNOME. In questo modo la sentenza è incorsa in una falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. perché, come dichiara la stessa sentenza, l’attrice aveva sempre continuato a sostenere la sua proprietà su quanto contenuto nella cassetta di sicurezza intestata alla de cuius e, secondo il principio al quale deve essere data continuità, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di ‘contestare l’altrui contestazione’, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo (Cass. Sez. L 14-3-2018 n. 6183 Rv. 647534-01). Come si legge in Cass. 6183/2018, se così non fosse, il processo di trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all’infinito le immagini riflesse, per cui ciascuna parte avrebbe sempre l’onere di contestare l’altrui contestazione e così via, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l’ultimo che contesti (nello stesso senso, per tutte, Cass. Sez. 2 19-7-2022 n. 22639, non
massimata, Cass. Sez. 3 21-11-2019 n. 30315 Rv. 656146-01, Cass. Sez. 2 27-8-2018 n. 21214, non massimata).
Tale errore ha comportato anche la violazione dell’art. 2697 cod. civ., perché la sentenza non ha neppure esposto in quali termini l’esistenza di quell’ appunto sugli oggetti contenuti nella cassetta di sicurezza e le modalità di apertura della cassetta di sicurezza medesima comportassero la dimostrazione della proprietà in capo ad NOME COGNOME dei beni contenuti nella cassetta di sicurezza della quale egli non era intestatario; quindi, in definitiva, la sentenza ha posto l’onere della prova a carico della parte diversa da quella che ne era onerata, in quanto era NOME COGNOME che aveva l’onere di dimostrare di avere diritto alla restituzione dei beni da lui richiesti, contenuti nella cassetta di sicurezza della quale non era intestatario.
4.Il quarto motivo è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c. che prevede che le conclusioni definitive debbano essere formulate nei limiti degli atti introduttivi e dell’art. 183 c.p.c. (dunque memorie 1,2,3 e non solo 1 -art360 n. 3 c.p.c.)’ e con esso la ricorrente evidenzia che nelle conclusioni definitive era sempre stato chiesto il rigetto delle domande riconvenzionali.
4.1.Il motivo è assorbito nella parte in cui fa riferimento alla domanda riconvenzionale relativa ai preziosi contenuti nella cassetta di sicurezza in quanto, dovendo il giudice del rinvio nuovamente esaminare tale domanda riconvenzionale per le ragioni esposte, è superata ogni questione sulle modalità di precisazione delle conclusioni nel corso del processo. Il motivo è inammissibile nella parte in cui fa riferimento alla domanda riconvenzionale relativa a oggetti diversi, in quanto non spiega in quali termini la sentenza impugnata sia incorsa nell’errore lamentato.
5.Con il quinto motivo, intitolato ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5)’, la ricorrente dichiara che è stata
aberrante la decisione del giudice di primo grado che, dopo avere respinto tutte le istanze istruttorie proposte dall’attrice, ha concluso che l’attrice non aveva fornito la prova; aggiunge che il ragionamento non si comprende e lamenta che, diversamente, le domande del convenuto prive di prova sono state dichiarate fondate.
5.1. Il motivo è assorbito in quanto faccia riferimento a istanze istruttorie relative al contenuto della cassetta di sicurezza, perché il giudice del rinvio dovrà nuovamente esaminare anche le relative istanze istruttorie. Per il resto il motivo è inammissibile sotto diversi profili, tra i quali si rileva in via assorbente che la censura è rivolta alla sentenza di primo grado e non alla sentenza di appello qui impugnata. La sentenza impugnata ha dichiarato che la prova per testi sul vestiario era inammissibile per la genericità della descrizione e dunque non identificabilità degli oggetti e quindi la ricorrente avrebbe dovuto censurare tale statuizione al fine di farne emergere l’erroneità.
6.In conclusione è accolto soltanto il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata è cassata limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, che deciderà facendo applicazione dei principi esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, regolamentando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo, dichiara inammissibili il quarto e il quinto motivo in parte, per il resto assorbiti;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 12-3-2025
Il Presidente
NOME COGNOME