Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12183 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12183 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3971 R.G. anno 2024 proposto da:
COGNOME quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. dall ‘ avvocato NOME COGNOME
, rappresentata e difesa controricorrente
avverso la sentenza n. 1411/2023 della Corte di appello di Palermo pubblicata il 26 luglio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con sentenza del 10 aprile 2018 il Tribunale di Agrigento ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.: domande aventi ad oggetto l ‘accertamento dell’illegittimità di alcuni addebiti operati sul conto corrente intratten uto dalla società con la banca e la condanna di quest’ultima alla restituzione di quanto da essa conseguentemente riscosso senza valido titolo.
2 . ─ La Corte di appello di Palermo ha pronunciato, in data 26 luglio 2023, sentenza con cui ha respinto l’appello proposto da COGNOME.
– Questi ora ricorre per cassazione, facendo valere tre motivi di impugnazione cui resiste, con controricorso, Banca Monte dei Paschi di Siena.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue.
«Il ricorso contiene i seguenti motivi.
«Primo mezzo. Violazione e/o falsa applicazione art. 1283, 1284, 1422, 1460, 2697, 2946 c.c., 117-120, comma 2, 127 Tub, delibera CICR del 9 febbraio 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
«Secondo mezzo. Violazione e/o falsa applicazione art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
«Terzo mezzo. Nullità della sentenza ex art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 24 e 111 comma 6 Cost., 112-115 e 116 c.p.c., tutti in relazione all’art. 360 n. 4.
«Quarto mezzo. Manifesta illogicità, affermazioni tra loro inconciliabili, omesso esame fatto storico decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5.
« Il ricorso è manifestamente inammissibile. «È difatti inammissibile il primo mezzo.
« La società originaria attrice, cui è poi subentrato l’odierno ricorrente, ha agito in giudizio per la rideterminazione del saldo di un rapporto di conto corrente bancario e conseguente ripetizione di indebito, assumendo che la banca avesse proceduto all’ad debito di somme non dovute, avesse applicato interessi superiori al tasso legale non previsti per iscritto, avesse preteso interessi in violazione del tasso soglia usurario, avesse proceduto alla capitalizzazione trimestrale dei detti interessi, avesse op erato l’addebito di commissioni di massimo scoperto: a fronte di ciò il giudice di primo grado, conformemente a quello dell’impugnazione, ha osservato che la parte attrice non aveva prodotto il contratto di conto corrente, e dunque non aveva soddisfatto il proprio onere probatorio concernente la dimostrazione della presenza in esso di clausole nulle. Sostiene viceversa il ricorrente che: ‘ La Banca, però, nonostante avesse espressamente contestato la mancanza di pattuizione scritta degli interessi ultralegali ed anatocistici, non provvedeva a provare quanto da lei asserito, ossia che sussisteva tra le parti un contratto scritto che determinava il tasso convenzionale, in misura superiore al legale, e la pari capitalizzazione trimestrale per gli interessi sia d ebitori che creditori, nel rispetto dell’art. 120, comma 2, TUB e della delibera CICR del 9 febbraio 2000, sicché le dette affermazioni sono rimaste sfornite di prova ‘ .
«La tesi svolta dal ricorrente è destituita di fondamento.
«Vale anzitutto osservare che la censura in esame non ha nulla a che vedere con il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate in rubrica: gli articoli 1283, 1284, 1422, 1460, 2697, 2946 c.c., 117-120, comma 2, 127 del testo unico bancario. Alcune di queste disposizioni sono richiamate per ragioni inspiegabili: così l’articolo 1460, visto che la causa non ha prossimità con una domanda di risoluzione per inadempimento e tanto meno con una eccezione di inadempimento; così l’articolo 1283 c.c., dal momento che nel ricorso non v’è nulla che abbia qualcosa a che vedere con uno specifico
addebito di anatocismo rivolto alla banca; così per l’articolo 1422 c.c. concernente l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, salvi gli effetti della prescrizione; così per l’articolo 2946 c.c., concernente la prescrizione ordinaria; così per gli articoli 117 bis, 118, 118 bis, 119 e 120 del testo unico bancario.
« Quanto all’articolo 2697 c.c., poi, costituisce nozione basilare quella secondo cui la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata 4 secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949). Ora, quest’ultima è l’unica disposizione comprensibilmente richiamata: ma nondimeno il richiamo è errato.
«Occorre premettere che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello hanno giudicato incontestata la stipulazione del contratto per iscritto, ritenendo che l’originaria parte attrice avesse agito in vista della dichiarazione di nullità di alcune clausole in esso contenuto e conseguente ripetizione di indebito; a tal proposito, in particolare, la C orte d’appello ha osservato che «nel caso di specie, la Società ha agito nel primo grado di questo giudizio al fine di sentire dichiarare la nullità di singole clausole dei contratti di conto corrente, evocando a fondamento della sua richiesta l’illegittima applicazione del tasso di interesse e la sua usurarietà, la capitalizzazione trimestrale degli interessi addebitati dalla Banca, nonché l’addebito di spese e commissioni di massimo scoperto non previste dal contratto o, comunque, illegittimamente previste. In tal modo, il thema decidendum
del giudizio veniva focalizzato sull’invalidità di singole e specifiche clausole contrattuali, risultando, per contro, incontestata e data per presupposta l’esistenza del contratto di conto corrente», intendendosi con ciò, con tutta evidenza, l’esistenza d i un contratto in sé valido, e dunque dotato del requisito formale richiesto dalla legge.
«A tal riguardo il motivo in esame, per la verità prospettato dal ricorrente in modo non del tutto perspicuo, con l’intermezzo della trascrizione di superflue decisioni giurisprudenziali di merito, per di più di dubbia pertinenza, ed il richiamo ad orientamenti della Corte di cassazione, com’è quello concernente il riparto dell’onere probatorio in caso di eccezione di inadempimento, di nessuna pertinenza, ovvero quello adottato da Cass. n. 4718 del 14 febbraio 2022, che non sfiora neppure alla lontana la qu estione se l’onere probatorio del correntista si estenda alla produzione del contratto, il motivo in esame – si diceva – sembra voler tra l’altro sostenere che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado contenesse (anche) la deduzione dell’inesistenza di un contratto redatto per iscritto, e che dunque la stipulazione per iscritto del contratto di conto corrente non fosse pacifica e dovesse essere dimostrata dalla banca.
«Ma, a parte il fatto che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680), ferma restando la sindacabilità del giudizio per vizio motivazionale (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490), vizio col motivo in esame peraltro neppure dedotto, è appena il caso di osservare che l’unico passaggio, riportato il ricorso, che sembra voler alludere al radicale difetto del requisito formale è il seguente: ‘ Sono stati, quindi, espressamente contestati gli addebiti di interessi ultralegali ex art. 1284 cc, che testualmente così recita : Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale ‘ , proposizione che,
viceversa, reca per l’appunto la deduzione di nullità della clausola, e non certo la conclusione del contratto verbis , tacitamente o per fatti concludenti. Detto in parole più chiare, stabilire se un determinato fatto è o non è contestato è per regola affare del giudice di merito, ma pure a voler reiterare in sede di legittimità detta valutazione sotto il profilo del vizio motivazionale, sta di fatto che il motivo non espone assolutamente nulla che induca a riconsiderare il Concorde giudizio del Tribunale e della C orte d’appello.
«Il motivo, dunque, manca di qualsiasi attitudine a scalfire l’accertamento di merito operato dalla Corte distrettuale nel ritenere pacifica la stipulazione del contratto di conto corrente per iscritto.
«Quanto alla tesi svolta dal ricorrente, laddove essa invoca l’applicazione dell’articolo 2697 c.c., ovviamente del secondo comma, nei confronti della Banca, essa è affetta da un evidente errore, dal momento che detta norma opera nell’ipotesi della deduzion e di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell’avversa pretesa, del che nel caso di specie non vi è alcuna traccia, dal momento che la banca si è limitata a negare la sussistenza dei fatti allegati dalla parte attrice a fondamento della domanda, di tal che non è rimasta assoggettata ad alcun onere probatorio. Dunque la deduzione della violazione dell’articolo 2697 c.c. è fuor di luogo. Così stando le cose, è certo che dovesse trovare applicazione l’orientamento applicato in sede di merito e del tutto fermo – che non nasce con riguardo alle controversie bancarie, ma viene da una tradizione pluridecennale formatasi al largo spettro in materia di ripetizione di indebito – secondo cui, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di danaro, che afferma essere stato indebitamente corrisposto all’istituto di credito nel corso dell’intera durata del rapporto – sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente o per addebiti non previsti in contratto – è onerato della prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi (a mero titolo di esempio
tra le innumerevoli Cass. n. 35979 del 7/12/2022).
« Ed è ovvio che, se l’attore, agendo in ripetizione di indebito, deduce l’insussistenza della causa debendi , in ordine ai pagamenti effettuati in favore della banca, per essere nulle le clausole contenute in contratto, debba provare che quelle clausole nel contratto ci sono davvero.
«Del tutto correttamente, in fin dei conti, ed in conformità alla giurisprudenza della Corte di cassazione, il giudice di merito ha ritenuto che fosse onere della correntista dimostrare l’insussistenza della causa debendi, sotto specie di collocazione in contratto di clausole nulle. Ed è parimenti del tutto ovvio che, pacifica l’esistenza del contratto, il giudice di merito abbia addossato all’originaria attrice la sua mancata produzione: per la lampante considerazione che la deduzione di nullità di una determinata clausola contrattuale richiede anzitutto di verificare se quella clausola, in contratto, così come allegata, fosse presente oppure no.
«Errato è anche il riferimento al carattere relativo della nullità del contratto per difetto di forma, suscettibile di essere fatta valere soltanto dal cliente: qui il contratto entra in gioco evidentemente come fatto, non al fine di far valere obbligazioni da esso scaturenti, sicché la regola in forza della quale la nullità può essere fatta valere soltanto dal cliente non è richiamata a proposito (v. Cass. 4 aprile 2023, n. 9295).
« In conclusione, l’originaria attrice è venuta meno ad un onere elementare, ed il giudice di merito non ha fatto altro che prenderne doverosamente atto.
«Occorre ancora aggiungere che nel corpo del motivo il ricorrente si dilunga tanto diffusamente quanto inutilmente anche sull’onere del correntista di produzione degli estratti conto: tema che non ha nulla a che vedere con quello concernente l’esistenza in contratto di clausole nulle.
«Il secondo mezzo è inammissibile, nel senso che non ha nulla a
che vedere con la ratio decidendi posta dal giudice di merito a sostegno della decisione impugnata: vi si discorre difatti, nuovamente, della produzione parziale degli estratti conto, tema che la sentenza d’appello non tocca.
« Il rigetto dell’appello, insomma, non è stato determinato dalla mancanza di estratti conto, di cui la Corte territoriale non si è affatto occupata, ma dalla mancata produzione del contratto con conseguente impossibilità di verificare se e quali clausole contrattuali fossero nulle.
«Anche il terzo mezzo è palesemente inammissibile.
«Esso verte da un diverso angolo visuale su un tema già fatto oggetto del primo mezzo. Secondo il ricorrente: ‘ La Corte territoriale, in ogni caso, ha senz’altro errato, a ritenere che l’odierno ricorrente si fosse limitato alla sola contestazione della nullità delle clausole negoziali (non prodotte), stante che, invece, per come già fatto rilevare sub. I, nell’att o introduttivo aveva specificatamente contestato la mancata pattuizione degli interessi ultralegali ‘ .
«Sarebbe tuttavia occorso spiegare per quale incomprensibile ragione quella concernente la misura degli interessi, all’interno di un contratto di conto corrente, non sia una clausola negoziale facente parte del contratto: per quale incomprensibile ragione il giudice avrebbe dovuto desumere dalla frase riportata che l’originaria attrice avesse inteso dedurre ab origine non l’inesistenza di una clausola contrattuale determinativa di interessi ultralegali, bensì l’inesistenza di un contratto di conto corrente redatto per iscritto.
«Dopodiché resta soltanto da dire che la censura invoca contro l’evidenza sia l’articolo 132 c.p.c., a fronte di una sentenza chiaramente motivata, sia gli articoli 115 e 116 c.p.c., quantunque sia noto che: -) per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al 9 notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; -) la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘ , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (tra le tante Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867). La censura è dunque totalmente estranea all’effettivo ambito applicativo degli articoli 115 e 116 c.p.c.
« L’ultimo mezzo è inammissibile.
« Nell’ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della s entenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 15 marzo 2022, n. 8320; Cass. 9 agosto 2022, n. 24508; Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947). Tale onere non è stato in alcun modo
soddisfatto».
Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che non sono state nemmeno contrastate da parte ricorrente.
─ Il ricorso è dichiarato inammissibile.
─ Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Tr ovano applicazione le statuizioni di cui all’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, dell’ulteriore somma di euro 3.000,00; condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione