Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4377 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4377 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18905/2023 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore
COGNOME NOME COGNOME
elettivamente domiciliati in COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti – contro
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Conto corrente
Capitalizzazione
R.G.N. 18905/2023
Ud. 08/01/2025 CC
SPV FINO RAGIONE_SOCIALE rappresentante pro tempore, e per essa, quale mandataria,
, in persona del legale
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Agrigento INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO PALERMO n. 541/2023 depositata il 15/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 541/2023, la Corte d’appello di Palermo, nella regolare costituzione degli appellati COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALEe, per essa, quale mandataria, da RAGIONE_SOCIALEavverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 88/2018, pubblicata in data 15 gennaio 2018, e, per l’effetto, ha respinto integralmente le domande proposte dagli appellati, odierni ricorrenti.
Questi ultimi avevano convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALEla società nella veste di correntista e gli altri ricorrenti nella veste di garanti -chiedendo di accertare che sul rapporto di conto corrente da ultimo indicato con il n. 300136025 erano state addebitate poste indebite, ed in particolare tassi debitori non dovuti ed eccessivi;
capitalizzazione trimestrale degli interessi e commissione di massimo scoperto.
Costituitasi regolarmente Unicredit RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Agrigento, in accoglimento della domanda, aveva dichiarato che la convenuta aveva illegittimamente applicato interessi ultralegali, commissione di massimo scoperto e capitalizzazione trimestrale degli interessi, accertando un credito della RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 4.787,47, oltre interessi e condannando Unicredit S.p.ARAGIONE_SOCIALE al pagamento di tale somma a titolo di ripetizione di indebito.
In particolare, il Tribunale aveva affermato che era onere della convenuta provare e quindi produrre il contratto di conto corrente oggetto di contestazione, in assenza del quale risultavano assenti pattuizioni scritte, con conseguente eliminazione delle commissioni di massimo scoperto e degli interessi ultralegali -applicando, in sostituzione di questi ultimi, quelli di cui all’art. 117, TUB nonché delle imputazioni per capitalizzazione trimestrale.
Proposto gravame da parte della RAGIONE_SOCIALE -e, per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE -quale cessionaria dei crediti di Unicredit S.p.A., la Corte d’appello di Palermo, affermata in primo luogo la legittimazione dell’appellante quale cessionaria del credito litigioso -ma non del rapporto -ha accolto il gravame, ritenendo fondato ed assorbente il primo motivo di appello, con il quale veniva dedotta la violazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio.
Ha osservato la Corte territoriale che, avendo gli appellanti agito a titolo di ripetizione di indebito, su di essi gravava l’onere di dimostrare la fondatezza della propria pretesa, con la conseguenza che erano gli appellanti medesimi, quali attori, ad av ere l’onere tramite
la produzione del contratto di conto corrente di provare l’esistenza di eventuali clausole illegittime sulla cui base chiedere la ripetizione dei pagamenti asseritamente non dovuti.
Non risultando prodotto il contratto di conto corrente, la Corte d’appello ha concluso che risultavano precluse sia la verifica della legittimità delle clausole relative al tasso di interesse e alla loro capitalizzazione trimestrale – nonché delle spese e della commissione di massimo scoperto – sia, conseguentemente, la rideterminazione del rapporto di dare e avere tra le parti e l’accoglimento dell’originaria domanda.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorrono COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME
Resiste con controricorso FINO RAGIONE_SOCIALE e, per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati NOME COGNOME NOME COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME
In data 23 febbraio 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2697 c.c.; 111 e 345 c.p.c.; 58 T.U.B.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte territoriale per aver ritenuto provata la legittimazione dell’odierna controricorrente, deducendo una violazione dei principi sull’onere della prova e dell’art. 58 T.U.B., in quanto la prova del trasferimento del credito doveva essere offerta dal cessionario e tale prova non potrebbe essere costituita unicamente dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione, la quale costituisce adempimento meramente pubblicitario e non prova il perfezionamento della fattispecie traslativa.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., deduce, testualmente, ‘motivazione apparente – nullità della sentenza ex art. 132 comma 2 n. 4 cpc- 24 e 111 comma 6 cost. passaggio in cosa giudicata della sentenza appellata ex art. 2909 cc’ .
Il ricorso deduce il carattere contraddittorio della decisione impugnata, nella parte in cui la stessa ha ritenuto non contestata la qualità di cessionaria dell’odierna controricorrente, dal momento che era contestata l’esistenza stessa del credito e quind i la sussistenza della stessa cessione.
Si deduce che la Corte territoriale, in ogni caso, avrebbe dovuto indicare specificatamente da quale passo dell’avviso di cessione aveva tratto la certezza che anche il credito (contestato) era stato ceduto da Unicredit a Fino.
Contesta ulteriormente che la controricorrente abbia agito quale sostituto processuale dell’originaria convenuta -come invece affermato in sentenza -e quindi deduce che, in assenza di impugnazione da parte di Unicredit S.p.A. la sentenza di primo grado è passata in cosa giudicata nei suoi confronti.
Conclude, affermando che ‘In virtù dei superiori principi, pertanto, è evidente che la Corte di Appello doveva rigettare l’appello, dichiarando il difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE ed il passaggio in cosa giudicata della sentenza impugnata’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1422, 1460, 2033, 2697 e 2946 c.c.
Si censura la decisione impugnata in quanto la stessa avrebbe erroneamente escluso che gravasse sulla controricorrente l’onere di provare l’assenza di illegittime imputazioni sul rapporto di conto corrente, anche in considerazione dell’assenza di prova del la pattuizione scritta.
Il ricorso argomenta che, anche a prescindere dalla produzione o meno del contratto scritto, era onere del giudice di merito esaminare gli estratti conto prodotti in giudizio per verificare la presenza o meno di addebiti illegittimi.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., deduce, testualmente: ‘manifesta illogicità – affermazioni tra loro inconciliabiliomesso esame fatto storico decisivo’ .
Argomenta il ricorso:
‘Sotto altro profilo giuridico la sentenza impugnata è altamente contraddittoria, ingarbugliata, errata, manifestamente illogica, sotto vari profili.
Infatti per come ampiamente esposto sub III, da ritenersi qui integralmente trascritto e ripetuto (ai fini di economia processuale e sinteticità del ricorso), ha omesso di esaminare il contenuto degli estratti conto ritualmente prodotti in giudizio e quanto accertato dal CTU nominato durante il giudizio di I^ grado.
Ha stravolto i principi di diritto, enunciati da codesta Corte, in ordine all’onere probatorio ed all’obbligo del Giudice di accogliere, anche parzialmente la domanda, in caso di produzione parziale degli estratti conto.
Non ha letto il reale contenuto degli estratti conto prodotti in giudizio, dall’esame dei quali si evinceva l’applicazione di tassi superiori a quello legale, l’applicazione di interessi su interessi (anatocismo), l’applicazione di commissioni di massimo scoperto’ .
Secondo i ricorrenti, infine, la decisione risulterebbe anche affetta dall’ulteriore vizio di omesso esame di un fatto decisivo gli estratti conto -che avrebbe condotto ad un diverso esito della decisione.
I motivi di ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
2.1. Come osservato nella proposta ex art. 380bis c.p.c., il primo ed il secondo motivo di gravame non censurano adeguatamente la ratio della decisione impugnata, la quale è venuta a basarsi su una duplice considerazione: la contestazione era stata mossa solo nella seconda comparsa conclusionale -sebbene l’appello fosse stato proposto proprio dall’odierna controricorrente e le deduzioni degli odierni consistevano nella tesi per cui la sentenza di prime cure aveva accertato un debito e non un credito della banca originariamente convenuta.
Orbene, del tutto correttamente la Corte territoriale ha omesso di statuire su una contestazione operata unicamente nella comparsa conclusionale, e cioè in uno scritto che ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, sicché, ove con tale atto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il giudice del gravame non può, e non deve, pronunciarsi al riguardo, senza, con ciò, incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 20232 del 23/06/2022).
Va, ulteriormente, osservato, del resto che, avendo gli odierni ricorrenti sollevato le proprie contestazioni solo al termine di un giudizio di appello promosso proprio dal l’odierna controricorrente, il fatto storico della titolarità del credito in capo alla controricorrente medesima doveva ritenersi ormai definitivamente collocato al di fuori del thema probandum , ben potendo, del resto, il giudice del merito -cui è rimesso, come quaestio facti , l’accertamento relativo alla sussistenza di adeguata prova della cessione del credito (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 4277 del 10/02/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 31188 del 29/12/2017) -desumere argomenti di prova in ordine alla sussistenza della cessione anche dall ‘atteggiamento processuale della parte, avendo questa Corte chiarito che l’avviso ex art. 58 TUB non può ritenersi idoneo a provare la cessione solo allorquando vi siano delle tempestive contestazioni (Sez. 3 – Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8975 del 15/05/2020; Sez. 1, Sentenza n. 4116 del 02/03/2016).
In relazione al secondo motivo, poi, si deve rilevare che un ulteriore profilo di inammissibilità è costituito dal principio per cui in materia di vizi in procedendo , non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la relativa censura in termini di omessa motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21944 del 02/09/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22130 del 24/11/2004).
2.2. Il terzo motivo di ricorso è, invece, inammissibile ex art. 360bis , n. 1), c.p.c., in quanto la decisione impugnata ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1 – Ordinanza
n. 1550 del 19/01/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14428 del 26/05/2021 ) e l’esame del motivo non offre elementi per confermare o mutare detto orientamento, dovendosi osservare che la verifica dell’ipotetica pattuizione di interessi superiore al tasso di legge postulava, appunto, che i ricorrenti fornissero prova della pattuizione medesima.
2.3. L’inammissibilità del quarto ed ultimo motivo deriva, in primo luogo, dal suo dedurre un vizio di motivazione che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, può essere dedotto unicamente come anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) ed esulando dal vizio i questione la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
L’inammissibilità del motivo, in secondo luogo, discende dal fatto che lo stesso, in realtà, si sostanzia in censure riferite alla valutazione del merito della controversia, dovendosi qui ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5 .000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 2.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 2.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima