Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1760 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29446/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1500/2019 depositata il 28/02/2019.
Udita la relazione svolta nell ‘udienza del 3/12/2024 dal consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., il Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (promissario acquirente) avevano stipulato in data 27/06/2007 un contratto preliminare di compravendita immobiliare. L’oggetto del contratto era una porzione immobiliare da realizzare sull’area di proprietà della società venditrice. Il prezzo di vendita era stato pattuito in € 440.000, da corrispondersi in diverse tranches. Erano state versate alcune somme a titolo di caparra confirmatoria e acconti. Con scrittura aggiuntiva del 30/09/2008, le parti avevano concordato alcune migliorie con conseguen te aumento del prezzo finale di € 7.950. Era stato inoltre stabilito come termine per la consegna dell’immobile il 15/04/2009. In data 06/08/2009 era avvenuta la consegna dell’immobile ad Esposito. In tale occasione quest’ultimo , invece di versare il saldo in contanti, aveva consegnato un assegno di € 38.331,44 e tre effetti cambiari per complessivi € 28.709 , con scadenza 10/11/2009. Si era pattuito che il rogito dovesse avvenire entro il 31/12/2009. Tuttavia, alla data prevista il rogito non era stato stipulato e alcuni effetti cambiari emessi dal promissario acquirente non erano stati onorati. NOME era rimasto nel possesso dell’immobile. La società costruttrice conveniva dinanzi al Tribunale di Roma l’acquirente in risoluzione del contratto, con rilascio immediato dell’immobile e condanna al risarcimento del danno p er ogni mese di illegittima occupazione. Il convenuto contestava la mancanza del certificato di abitabilità e la presenza di vizi, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione delle somme versate. Il Tribunale di Roma dichiarava la risoluzione del contratto, condannava il convenuto al rilascio e, operata la compensazione tra le reciproche pretese restitutorie, condannava la società costruttrice a restituire € 43.280. Il convenuto ha impugnato la sentenza, domandandone la riforma con riferimento alla quantificazione delle somme da restituire, sostenendo che il Tribunale ha erroneamente
omesso di computare in ciò il pagamento di € 38.331,44 da parte sua, come ulteriore. La Corte di appello ha rigettato l’appello. Ha rilevato che tale somma era già inclusa nell’importo complessivo di € 137.280 che lo stesso appellante aveva dichiarato di aver versato al momento dell’immissione in possesso dell’immobile. Più in particolare, la Corte ha ritenuto che il Tribunale ha correttamente quantificato in € 137.280 la somma versata da NOME al momento dell’immissione in possesso dell’immobile il 06/08/2009, come ammesso dallo stesso appellante nella comparsa di costituzione in primo grado. La Corte ha precisato che l’assegn o di € 38.331,44 dell’11/08/2009, di cui Esposito chiedeva il conteggio aggiuntivo, era in realtà già compreso nella somma di € 137.280 versata il 06/08/2009, come risultava dal verbale di consegna dell’immobile.
Ricorre in cassazione l’acquirente con sei motivi, illustrati da memoria. Rimane intimata la venditrice. La Procura generale ha depositato osservazioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– La questione su cui si incentrano, da diverse prospettive, tutti e sei i motivi di ricorso riguarda l ‘ indebita ritenzione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, d ell’importo di € 38.331,44 versato dal ricorrente in data 11/08/2009. Egli sostiene che tale somma non sia stata correttamente computata nel saldo finale.
– I l primo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. , sotto il profilo del principio di non contestazione. Si denuncia che la Corte di appello abbia omesso di considerare che la società RAGIONE_SOCIALE nell’atto di citazione di primo grado, aveva espressamente ammesso di aver ricevuto, oltre al pagamento di € 137.280, 00 (entro il 6/8/2009), l’assegno bancario di € 38.331,44 e tre effetti cambiari, e che solo questi ultimi non erano stati onorati. Tale ammissione conferma che l’assegno di € 3 8.331,44 costituisce una somma ulteriore rispetto ai pagamenti già effettuati. Più in particolare, s econdo il ricorrente, l’ammissione della società sia
nell’atto di citazione sia nei documenti denominati «RAGIONE_SOCIALE» -confermava che l’assegno di € 38.331,44 costituiva una somma ulteriore rispetto ai versamenti già effettuati e doveva essere computato come tale. Cioè l ‘assegno era stato emesso in data 11/08/2009 e rappresentava un saldo prezzo aggiuntivo rispetto alle somme precedentemente versate. La Corte di appello, invece, ha ritenuto erroneamente che tale assegno fosse incluso nei pagamenti effettuati fino al 6 agosto 2009.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Si censura che la Corte di appello non abbia considerato che l’assegno di € 38.331,44 rappresentava una somma aggiuntiva rispetto ai € 137.280,00 già versati, come dedotto e documentato dal promissario acquirente nella comparsa di costituzione. Si aggiunge che la Corte avrebbe erroneamente trascurato tale documento, nonostante fosse presente nel fascicolo d’ufficio.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Si contesta che la Corte di appello abbia travisato il significato letterale delle deduzioni del promissario acquirente e omesso di considerare che la società venditrice aveva ammesso di aver ricevuto, oltre a € 137.280,00, l’assegno di € 38.331,44. La Corte avrebbe espresso il proprio giudizio basandosi unicamente sulla narrativa della sentenza di primo grado, ignorando la comparsa di costituzione di COGNOME, regolarmen te presente nel fascicolo d’uf ficio e i conteggi prodotti dalla società stessa.
Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 111 Cost., 101 e 347 co. 3 c.p.c., e degli artt. 72 e 123 bis disp. att. c.p.c. Si contesta che la Corte di appello non abbia verificato se il fascicolo d’ufficio di primo grado fosse stato acquisito e che tale fascicolo avrebbe dovuto contenere anche quello di parte di COGNOME.
Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Si contesta che la Corte di appello abbia travisato il significato di « saldo prezzo » attribuito dalle parti nei « Conteggi Lucchina Lotto A », ritenendo
erroneamente che l’assegno di € 38.331,44 fosse compreso nei pagamenti effettuati fino al 6 agosto 2009. La questione rilevante era accertare se tale somma costituisse una somma aggiuntiva rispetto a quanto già versato.
Il sesto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo della controversia. Si censura che la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto la somma di € 38.331,44 come ricompresa nei € 137.280,00, omettendo di esaminare il fatto che l’assegno era stato tratto da NOME e incassato dalla società come pagamento ulteriore. Tale esame avrebbe condotto a una decisione favorevole al ricorrente.
– Sui sei motivi il Collegio si pronuncia congiuntamente, poiché essi (come già anticipato nel paragrafo n. 1) sono accomunati dalla questione relativa al mancato computo della cifra di € 38.331,44 nell’importo che la società venditrice è tenuta a restituire .
Essi sono infondati.
Conviene muovere da un ampio stralcio della parte saliente censurata della sentenza: « I motivi sono infondati. il Tribunale è partito dall’allegazione dello stesso COGNOME NOME di aver corrisposto, al momento dell’immissione in possesso del 6 agosto 2009, la somma complessiva di € 137.280,00. Oggi, COGNOME NOME mette in discussione la sua stessa allegazione, che costituisce ammissione di non aver pagato maggiori somme alla data del 6 agosto 2009, assumendo che all’importo di € 137.280,00 si dovrebbe aggiungere l’assegno di € 38.331,44 dell’11 agosto 2009 versato a titolo di ‘ primo assegno saldo prezzo ‘ regolarmente incassato. Tuttavia, è lo stesso COGNOME a dire nella comparsa di costituzione (secondo quanto è dato apprendere dalla narrativa della sentenza in mancanza del fascicolo del primo grado dell’appellante) che l’assegno venne consegnato in occasione del verbale di consegna dell’immobile del 6 agosto 2009, che pure dà atto del pagamento del saldo del prezzo. Sicché la somma incassata di € 38.331,44 è parte della
maggior somma di € 137.280,00 ricevuta dalla Di COGNOME RAGIONE_SOCIALE al momento dell’immissione in possesso del 6 agosto 2009. Peraltro, la circostanza che l’assegno sia stato consegnato il 6 agosto 2009, e non dopo tale data, è pacifica. La Di COGNOME RAGIONE_SOCIALE sostiene che in occasione dell’immissione in possesso NOME NOME, anziché pagare in contanti il saldo del prezzo, consegnò l’assegno di € 38.331,44 e rilasciò tre effetti cambiari, questi ultimi rimasti poi impagati. Oltretutto, l’appellante COGNOME NOME non mette questa Corte nelle condizioni di esaminare i documenti sub 8 e 10 della sua produzione in Tribunale, mancando di depositare in appello il proprio fascicolo del primo grado ».
Gli elementi decisivi tratti da ll’ampio stralcio di motivazione riportato sono i seguenti: (a) l’attuale ricorrente, convenuto in giudizio e appellante soccombente, ha dichiarato nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo che l’assegno venne rilasciato in occasione del verbale di consegna dell’immobile del 6/8/2009, ove pure si dà atto del pagamento del saldo del prezzo; (b) ciò risulta dalla sentenza di primo grado; (c) il ricorrente non ha depositato in appello il proprio fascicolo di parte del giudizio di primo grado, cosicché egli non ha messo la Corte di appello in condizione di esaminare i documenti prodotti in primo grado; (d) nonostante ciò, egli ha inteso rimettere in discussione la propria dichiarazione sub (a), così come è attestata nella sentenza di primo grado. Dinanzi a tutto ciò, l’affermazione della Corte di appello che « la somma incassata di € 38.331,44 è parte della maggior somma di € 137.280,00 ricevuta dalla RAGIONE_SOCIALE al momento dell’immissione in possesso del 6 agosto 2009 » non è censurabile in sede di giudizio di legittimità sotto alcuno dei profili fatti valere nei motivi di ricorso.
L’esito è in linea con i principi di diritto stabiliti da Cass. SU 4835/2023. Tale pronuncia affronta appunto la questione delle conseguenze della mancata disponibilità da parte del giudice d’appello dei documenti posti a base della decisione di primo grado. Nel profilo
immediatamente rilevante per il caso attuale, le Sezioni Unite hanno statuito che « il giudice d’appello può porre a fondamento della propria decisione il documento in formato cartaceo già prodotto e non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto trascritto (oppure indicato) nella sentenza impugnata o in altro provvedimento o atto del processo ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti nel primo grado » .
Nel caso di specie, Cass. 4835/2023, cassando la sentenza di appello , l’aveva criticata espressamente per il fatto di non aver considerato: « che i fatti storici dimostrati dai documenti prodotti in primo grado ed acquisiti come fonti di conoscenza erano stati apprezzati nella pronuncia impugnata, la cui presunzione di legittimità non può dirsi superata dalla mancata allegazione del fascicolo delle parti appellate che li conteneva ». Affermazione che vale parallelamente anche per la mancata produzione del fascicolo di parte appellante dinanzi alla prospettiva di conferma della sentenza impugnata (che è il caso attuale).
Né vale obiettare che « La Corte di appello non ha verificato se fosse stato acquisito il fascicolo d’ufficio di primo grado, né se nel predetto fascicolo fosse contenuto – com’era doveroso – quello di parte del Sig. COGNOME che non l’aveva ritirato (così nel quarto motivo del ricorso, ma l’argomento è ripreso anche nel secondo e nel terzo motivo di ricorso). Infatti, rispetto al fascicolo d’ufficio, conserva una funzione distinta e un’autonomia propria il fascicolo di parte, che ciascuna delle parti deposita nel costituirsi in giudizio. Tale funzione (e corrispondente contenuto) del fascicolo di parte, di regola, non trova equivalente nella funzione e contenuto del fascicolo d’ufficio. Ciò vale rigorosamente con riferimento ai documenti prodotti dalle parti, che – indipendentemente dal modo della loro produzione in giudizio -sono da conservare nel fascicolo di parte. Si veda in questo senso Cass. 36417/2023, cui si rinvia per una
motivazione più ampia e per l’indicazione di ulteriori precedenti. Né tale esito collide con il principio della non dispersione (o di acquisizione) della prova, così come riproposto da Cass. SU 4835/2023. Infatti, la prescrizione che la prova non debba essere dispersa presuppone logicamente che essa sia stata acquisita e conservata correttamente, negli atti di causa specificamente e distintamente deputati a ciò.
– Il ricorso è rigettato, senza necessità di provvedere sulle spese poiché la controparte non ha svolto attività difensiva in questo giudizio.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024.