Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28884 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28884 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/11/2025
Il Tribunale di Lucca ha dichiarato l’insussistenza dell’indebito relativo agli importi che l’RAGIONE_SOCIALE aveva trattenuto a NOME COGNOME ed agli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti medici convenzionati per la medicina generale del RAGIONE_SOCIALE, assumendo che erano stati corrisposti per la tardiva cancellazione degli assistiti deceduti.
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE nel mese di febbraio 2016 aveva comunicato a detti medici che avrebbe proceduto al recupero delle quote di assistenza indebitamente erogate, in quanto si riferivano ad emolumenti percepiti dai professionisti in relazione ad assistiti il cui decesso e la conseguente cancellazione erano stati comunicati tardivamente rispetto alla verificazione dell’evento.
A seguito della tardiva comunicazione, erano state corrisposte ai medici quote non dovute per i pazienti deceduti dalla data del decesso a quella della cancellazione; a partire dal mese di febbraio 2016, pertanto, l’RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato trattenute mensili sui compensi dovuti ai medici, con rateizzazione degli importi complessivi da ciascuno indebitamente riscossi, calcolati nell’arco temporale dei precedenti dieci anni (2005-2015).
La Corte di Appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato la sussistenza dell’indebito con esclusivo riguardo a NOME COGNOME e limitatamente alle quote relative all’ assistita NOME COGNOME dal decesso alla richiesta di ripetizione, ed ha pertanto dichiarato legittima la ripetizione del relativo importo netto da parte dell’RAGIONE_SOCIALE appellante, limitando la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto tratten uto per la restante parte dell’indebito, ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Richiamate le disposizioni contenute nell’ACN, la Corte territoriale ha ritenuto che le quote recuperabili dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti del medico restano
limitate all’anno precedente alla cancellazione, come previsto dalla preintesa di cui alla delibera n. 1015 del 17.10.2005 e dall’accordo di cui alla delibera n. 216 del 27.3.2006.
Ha inoltre rilevato che era rimasto inadempiuto l’onere di comunicazione previsto dall’art. 11, comma 42, dell’ACN ed ha rilevato che nel caso di specie la richiesta di recupero, intervenuta nel febbraio 2016 a seguito di aggiornamenti degli elenchi degli assistiti con registrazione dei decessi avvenuti a fine 2015, era riferita ad un arco di tempo di dieci anni precedente ed era priva dell’indicazione dei dati necessari.
Il giudice di appello ha qualificato l’azione come accertamento negativo dell’indebito ed ha ritenuto che l’onere della prova fosse a carico della parte che aveva affermato la sussistenza dell’indebito; ha inoltre evidenziato che nella memoria di co stituzione in giudizio l’azienda avrebbe dovuto specificare i dati fattuali in base ai quali era stato calcolato l’indebito per ciascun medico, con l’allegazione dei fatti rilevanti e con la produzione dei relativi tabulati, ed ha pertanto considerato tard iva la produzione documentale dell’RAGIONE_SOCIALE..
Ha dunque escluso che il giudice fosse tenuto ad esercitare i propri poteri d’ufficio (peraltro mai sollecitati nel giudizio di primo grado) ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ. per l’acquisizione di documenti tardivamente prodotti in udienza.
Ha ritenuto che l’obbligo di comunicazione della cancellazione entro un anno dal decesso previsto dall’art. 42 dell’ACN sia sanzionato dalla perdita, prevista dagli accordi regionali, della possibilità di effettuare il recupero oltre l’anno.
Ha infine evidenziato che la materia rientra tra quelle che l’ACN demanda alla negoziazione regionale e che il limite di recupero stabilito contrattualmente non incide sul regime legale della prescrizione, ma costituisce un termine di decadenza.
Avverso tale sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME e gli altri medici indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l’onere della prova relativo alla sussistenza dell’indebito gravasse sull’RAGIONE_SOCIALE.
Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che l’onere di dimostrare il fatto costitutivo del diritto azionato grava sulla parte che propone l’azione di accertamento negativo del diritto alla ripetizione dell’indebito.
La censura è infondata, alla luce dei principi di diritto già enunciati da questa Corte con plurime pronunce (Cass. n. 22628/2023; Cass. n. 22397/2023 e 22399/2023 in fattispecie analoghe) alle quali il Collegio intende dare continuità.
In tema di indebito si è, infatti, chiarito che in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio non è determinante la posizione processuale assunta dalle parti (attore-convenuto), quanto piuttosto quella sostanziale riferibile al rapporto obbligatorio sottostante.
In particolare questo criterio, spostando il focus argomentativo dalla sfera processuale a quella sostanziale, al fine della distribuzione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., impone di dare rilievo non all’iniziativa processuale, bensì alla posizione delle parti riguardo alla titolarità del diritto oggetto del giudizio.
In altri termini, grava su chi invoca la ripetizione dell’indebito – e cioè su colui il quale si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio e non attore l’onere di dimostrare non solo l’esecuzion e del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi, con l’ulteriore specificazione che tale prova può essere fornita dimostrando l’esistenza di un fatto negativo contrario, o anche mediante presunzioni.
La ragione della scelta di una lettura sostanzialistica dell’art. 2697 cod. civ., rispetto a quella ‘classica’ secondo la quale onus probandi incumbit ei qui dicit , risiede proprio nella peculiare situazione di fatto in cui vertono le parti di un
procedimento giudiziale avente ad oggetto l’accertamento negativo di un indebito oggettivo.
Invero, in questi casi, il piano processuale rende un’immagine capovolta della corrispondente situazione sostanziale, dove il datore di lavoro, sulla base di accertamenti da lui stesso effettuati e a distanza di anni dall’adempimento dell’obbligo retributivo, è già di fatto pervenuto ad una ripetizione dell’indebito mediante la trattenuta mensile di una parte dello stipendio dei lavoratori.
Dunque, è solo a seguito di una ‘ripetizione sostanziale dell’indebito’, che i medici agiscono in giudizio, vedendo mutare la propria posizione da soggetti passivi delle ritenute stipendiali ad attori nell’azione di accertamento negativo di un indebito oggettivo.
Come già affermato da Cass. 4 ottobre 2012, n. 16917, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo.
Più di recente il principio è stato ribadito con la precisazione che chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell’ accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma versata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta’ (Cass. 23 novembre 2022, n. 34427).
Dunque, l’onere di provare il carattere indebito delle somme non poteva che gravare sull’RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), che aveva un vero e proprio obbligo negoziale (ex art. 30 d.P.R. n. 270/2000 e delle disposizioni dei successivi ACN del 23.3.2005 e del 27.05.2009 che, per quanto qui rileva, sono sostanzialmente riproduttive delle norme di cui al d.P.R.) di verificare la correttezza degli elenchi nominativi degli assistiti e la congruenza con le somme liquidate mensilmente ai m edici ai sensi dell’art. 15 ter e 45 d.P.R. n. 270/2000 e degli artt. 8, 43, 44 e 59 dei successivi ACN del 23.3.2005 e del 27.5.2009.
Si è di conseguenza escluso che operi il principio di cui alla sentenza della Sezioni unite n. 18046 del 4 agosto 2010, secondo la quale: ‘ In tema d’indebito
previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutiv i del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico’, espresso nella diversa materia previdenziale e riguardo ai fatti costitutivi oggetto della prestazione previdenziale sicuramente nella diponibilità dell’assistito o pensionato.
La sentenza impugnata, secondo cui gravava sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare la sussistenza dell’indebito, è dunque conforme a tali principi.
3. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 421, 437 e 210 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto tardiva la produzione documentale dell’RAGIONE_SOCIALE all’udienza del 7.3.2018 e per avere erroneamente escluso l’applicabilità degli artt. 421 e 437 c.p.c. che, invece, imponevano al giudice di attivare il proprio potere-dovere istruttorio per accertare la verità materiale dei fatti, tanto più che vi era stata una richiesta di esibizione da parte dei medici ricorrenti.
Critica la sentenza impugnata per non avere considerato che l’esistenza di un indebito e le relative ragioni erano state comunicata ai medici in data 1.2.2016, con la indicazione della somma da recuperare per ciascun medico, calcolata dall’ente prepost o alla gestione delle competenze dei medici convenzionati; erano stati fissati ed espletati appuntamenti individuali per gli opportuni chiarimenti in ordine al calcolo delle somme da restituire; era stata concordata con i medici la rateizzazione dell’inde bito e che su tali circostanze era stata richiesta la prova testimoniale.
Sostiene che l’indebito non era in contestazione in toto , essendo contestata solo la ripetizione nel limite dei 12 mesi dalla data di cancellazione del paziente defunto; a richiesta del medico interessato l’RAGIONE_SOCIALE aveva fornito i tabulati concernenti le quote da recuperare, come accaduto nel caso del DottCOGNOME.
Precisa che il legale dell’RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto i tabulati in data 26.2.2018.
4. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata è conforme ai principi espressi da questa Corte, secondo cui nel rito del lavoro, i poteri istruttori officiosi di cui all’ art. 421 cod. proc. civ. – il cui esercizio è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità – non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di que lli propri del procedimento penale’ (Cass., sez. lav. n. 14923/2024).
Nel ricorso i medici avevano ampiamente dedotto l’assenza di qualsiasi elemento istruttorio che consentisse di comprendere le modalità di calcolo degli asseriti indebiti formatisi negli anni 2005 -2015; ciò nonostante nella propria memoria di co stituzione di primo grado l’RAGIONE_SOCIALE non ha specificamente allegato i dati utilizzati per il calcolo degli indebiti né ha prodotto i tabulati con i nominativi dei pazienti e le date dei relativi decessi e delle conseguenti cancellazioni.
Dunque, come correttamente affermato dalla Corte d’Appello, la produzione offerta alla prima udienza del giudizio di primo grado, oltre a risultare tardiva, avrebbe alterato in radice la posizione delle parti e le loro prerogative difensive.
Se la produzione fosse stata autorizzata, il giudice di merito non si sarebbe infatti limitato a ‘riempire le lacune probatorie di un accertamento che, pur se incompleto, presenta tuttavia notevoli gradi di fondatezza’ (nei termini indicati da Cass. n. 12550/2020) nel legittimo esercizio dei poteri istruttori previsti dall’art. 421 cod. proc. civ., ma avrebbe supplito alle carenze assertive e probatorie di parte resistente.
5. Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2936 cod. civ., dell’accordo collettivo nazionale del 23.3.2005 nonché degli accordi regionali recepiti con delibera di giunta Regionale RAGIONE_SOCIALE del 17.10.2005 n. 1505 e del 27.3.2016 n. 216 e successive modifiche e integrazioni (in particolare degli artt. 4 e 42, commi 4 e 5), in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima la previsione degli accordi regionali secondo cui il recupero delle somme non dovute da parte della
RAGIONE_SOCIALE non può superare le dodici mensilità di quote pregresse dalla data della cancellazione del paziente deceduto.
Evidenzia che l’accordo nazionale non prevede alcuna sanzione nel caso in cui la comunicazione della cancellazione per decesso al medico interessato avvenga oltre il termine di un anno dall’evento; sostiene che la previsione contenuta nelle delibere regionali, che non avrebbero potuto disporre su tale materia, riguarda solo i medici massimalisti ed è contraria alle previsioni dell’ACN.
Lamenta l’erroneità della qualificazione del termine come decadenziale, sostenendo che l’accordo in sede regionale non potrebbe legittimamente prevedere in tal senso né derogare alla disciplina ordinaria della prescrizione.
La sentenza avrebbe dovuto rilevare la nullità della disciplina regionale per contrasto con la disciplina inderogabile di legge in materia di prescrizione e, per questa via, disapplicare gli accordi regionali in questione.
6. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha riconosciuto l’indebito solo riguardo a NOME COGNOME, limitatamente alle quote pregresse relative alla assistita NOME COGNOME dal decesso (29.4.2015) alla richiesta di ripetizione (maggio 2015-febbraio 2016), ed ha ritenuto legittima la ripetizione del relativo importo netto da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, non risultando altre quote da recuperare in applicazione del limite delle dodici mensilità pregresse.
La disposizione contenuta nell’accordo regionale, e riportata nella sentenza impugnata, secondo cui ‘In caso di morte di iscritto negli elenchi del medico di assistenza primaria l’azienda, in qualsiasi momento venga a conoscenza e provveda alla relativa cancellazione, non dovrà comunque superare il recupero di 12 mensilità di quote pregresse’ è stata dunque interpretata dalla Corte territoriale, che l’ha applicata solo nei confronti di NOME COGNOME ed ha ritenuto il termine di natura decadenziale.
Il motivo, nella parte in cui denuncia la nullità della clausola contrattuale, è inammissibile perché, pur muovendo dalla premessa che l’accordo nazionale consente di prevedere ‘modalità di tutela dei medici massimalisti dalla indisponibilità alla acquisizione di nuove scelte dovuta a ritardo nella
comunicazione’, da un lato, afferma, del tutto apoditticamente, che la limitazione temporale non integrerebbe una modalità di tutela, dall’altro fa leva sulla limitazione ai soli medici massimalisti e nel far ciò non chiarisce se l’unico controricorrente interessato alla censura si trovasse nelle condizioni richieste per l’applicazione della tutela concessa dall’Accordo nazionale e, quindi, se sussista nella fattispecie all’esame della Corte il necessario interesse all’impugnazione.
Al riguardo va rammentato che nel giudizio di cassazione l’interesse all’impugnazione, che va valutato in relazione ad ogni singolo motivo, deve essere apprezzato con riferimento all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, sicché va escluso ogniqualvolta la dedotta violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, non possa spiegare effetti in relazione alla soluzione adottata e sia, quindi, diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass. Cass. n. 10219/2020; Cass. n.20689/2016, Cass. n. 15253/2010, Cass. n. 13373/2008; Cass. n. 11844/2006). Dal richiamato principio discende che, nel rispetto degli oneri di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 cod. proc. civ., il ricorrente è tenuto ad indicare nel ricorso gli elementi che consentano alla Corte di apprezzare l’utilità che potrebbe derivare dall’accoglimento del motivo e dalla cassazione della sentenza impugnata.
Va, poi, aggiunto che il motivo, nel censurare l’operata qualificazione del termine come decadenziale, sollecita una interpretazione diretta dell’accordo regionale, non consentita dall’art. 360 n. 3 c.p.c., ed inoltre non si confronta con l’orientamento, r isalente nel tempo e mai smentito, secondo cui alla base della decadenza sta la necessità obiettiva che particolari atti siano compiuti entro un termine perentorio, senza riguardo alle circostanze subiettive che abbiano determinato l’inutile decorso e senza possibilità di interruzioni, sicché la qualificazione va operata in base alla funzione che il termine medesimo assolve (cfr. Cass. S.U. n. 2690/1972).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 6.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO; dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME